“La mia personale idea di inferno” è il romanzo d’esordio di Giulio Somazzi, un viaggio ironico e sarcastico nella Roma di oggi, tra passato e presente del suo protagonista Damiano, costretto a riflettere sul mondo che lo circonda…
Tre scene all’apparenza semplici. Tre punti sulla cartina di Roma e sulla metaforica mappa della vita di un protagonista. Questa è la base di partenza di La mia personale idea di inferno, il romanzo d’esordio di Giulio Somazzi, firmato per Accento, che porta un po’ di sollievo in queste calde giornate estive.
Partenza per cosa? Per quell’irriverente e bizzarro viaggio che è questo libro, in cui chi legge pensa di conoscere da dove si parte, e sicuramente non può aspettarsi la destinazione.
“È morta. È morta Paola”
Damiano Rodetti, quasi laureato in filosofia e “autore di dossier, interviste e reportage per il settimanale W” (come si definisce lui stesso), è il nostro punto di vista privilegiato, il protagonista attorno a cui ruota la storia, che d’un tratto si ritrova a riflettere sulle persone che lo circondano e lo hanno circondato durante tutti questi anni.
Sì, perché all’improvviso sua madre lo avverte che “È morta. È morta Paola“. Eppure, proprio quella fine diventa il primo passo, in un ribaltamento di posizioni atto quasi a dimostrare che anche la morte può essere inizio. Almeno per chi resta.
E allora a Damiano non rimane che continuare a spostarsi tra passato e presente, quasi che ogni elemento dell’oggi sia la chiave per un cassetto della memoria e l’opportunità di raccontare ciò che è accaduto, anzi renderci partecipi delle scorribande, degli eccessi, degli abbandoni e delle ipocrisie della sua vita.
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Ma appare presto chiaro che la vita di Damiano, come del resto la vita di ognuno di noi, è la vita di molti: genitori, parenti, amici e fidanzate.
Una grande critica sociale capace di divertire e divertirsi
Fin qui potrebbe sembrare la premessa di un romanzo familiare, uno di quelli che ultimamente vanno tanto di moda. E invece La mia personale idea di inferno è una grande critica sociale capace di divertire e divertirsi, in cui gli episodi tragici assumono i contorni della commedia, e viceversa.
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Il libro è composto da tre grandi capitoli: L’hotel, Il funerale e La festa. Titoli didascalici che rimandano ai luoghi di cui sopra. Damiano in ognuno di questi non era certo di voler andare.
All’hotel è programmata un’intervista con una famosa attrice francese. Non ha mai visto un suo film, non ha molte domande preparate a causa della serata precedente e la star del grande schermo accumula un ritardo dopo l’altro. Al funerale, quello di Paola, amica dei genitori di Damiano dai tempi del liceo e poi maestra elementare di Damiano, lui farebbe anche a meno di presenziare. E alla festa… malvolentieri, per accontentare la fidanzata, partecipa.
Ma proprio in queste tre situazioni la narrazione si spacca e si dilata permettendo alla voce narrante di spiegare per filo e per segno come siamo capitati lì; e il lettore (e la lettrice) che vuole scoprire il presente… be’ deve aspettare molte pagine e molte parentesi. Bisogna prima “immergersi” nell’intimità dei personaggi.
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Come nella vita di Lidia, giovane promettente che Damiano incontra a una festa, lei che viene descritta come “non poco al di fuori del suo range per quel che riguardava le conquiste sentimentali”. Eppure finiscono la serata insieme, passeggiando per una Roma deserta e silenziosa, “che di notte sembra una scenografia, il set di un film senza la troupe”. E all’indomani lei sparisce. Lidia è una faccia del nostro presente, una ragazza che potenzialmente poteva avere tutto e che finisce per fuggire ogni volta, a Berlino, nelle braccia di Damiano o nella droga.
O come l’immersione nella vita di Massimiliano “Massi” Mazza, uomo di successo non più giovanissimo, che dall’oggi al domani si reinventa dopo un periodo di clausura e ipocondria. Mazza che viveva “nel tentativo permanente di gestire il mismatch tra il suo fisico minuto e un’ipertrofica personalità“. Mazza dalle mille vite, contro il volere del padre che anche in punto di morte lo definisce un “fallimento”…
E poi ci si immerge, nel capitolo centrale, nel passato più remoto. Gli anni in cui i genitori di Damiano erano al liceo e inconsapevolmente plasmano tutta la rete di conoscenze con la quale Damiano si scontra nelle sue elucubrazioni. Tre coppie di amici, della borghesia romana, che fra tradimenti – di varia sorte -, segreti e ipocrisie vivono assieme per anni e costringono i figli a seguire le loro stesse orme. Così, per Damiano, Paola è un’amica di famiglia, una zia e la maestra elementare. Ma, come verrà svelato poi, anche una nemica davanti alla quale il giovane Damiano si masturba, fatto d’erba.
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Questi piccoli accenni alle “parentesi” lungo il libro sono il libro stesso. Sono le deviazioni che caratterizzano e rendono tale il cammino di un eroe nell’epica classica. Ma sono anche i frammenti di uno specchio che ci rende ora una faccia della realtà, ora un’altra. E insieme compongono la visione ironica e sarcastica di Roma, dei suoi quartieri e dei suoi abitanti, tanto da azzardare e definire l’opera di Somazzi antropologica.
E allora Damiano, soggetto delle nostre osservazioni, è anche il protagonista sul palcoscenico della letteratura che viene ridimensionato mentre la vita attorno a lui accade (come recita una poesia di Sylvia Plath), termina e si ripiega su sé stessa: “Basta col tuo teatro! La vita è molto meno di così!” gli urla Lidia, scomparendo per l’ennesima (e ultima?) volta.
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