Cosa succede quando un “ti amo” finisce nella chat sbagliata? Domenico Starnone parte da un errore di digitazione e costruisce un’intera esplorazione del desiderio contemporaneo: pallido, esitante, più alibi che incendio. “Destinazione errata” non racconta davvero un tradimento, ma la sua ombra: l’imbarazzo, il silenzio, l’autosabotaggio di chi non sa più neppure cosa vuole. Lontano dalle tragedie di “Lacci” e “Confidenza”, qui il caos non esplode: scivola. E nel farlo rivela una verità spietata: forse oggi il dramma non è tradire, ma non sapere nemmeno come si desidera…

Ci sono autori che si riconoscono all’istante, da una singola frase, da un incipit.

Quelli di Domenico Starnone non introducono semplicemente una storia: spalancano un crinale. Un dettaglio banale, un inciampo minimo nella quotidianità, diventa il sasso che si stacca e annuncia la valanga.

È una slavina che travolge matrimoni, certezze e identità, lasciando i personaggi a nudo, tremanti, a interrogarsi su come sia potuto succedere. Con Destinazione errata, il suo nuovo romanzo edito da Einaudi, Starnone ci scaraventa ancora una volta dentro una di queste catastrofi esistenziali, dimostrando come il caos sia sempre in agguato, a un errore di digitazione di distanza.

Copertina del nuovo romanzo di Domenico Starnone, Destinazione Errata

Un dramma da camera

Entriamo così in un dramma da camera, che ha tutti gli ingredienti cari all’autore: la famiglia borghese, la stanchezza, una nevrosi sottile che serpeggia sotto una superficie di apparente quiete. Il protagonista è un uomo, uno sceneggiatore, sbiadito e innamorato – o almeno così pare – della sua vita. Ha due bellissime figlie, un neonato, e soprattutto lei: Livia, la moglie carismatica e affascinante, una di quelle donne la cui perfezione quasi impone di amarla, perché l’alternativa sarebbe insostenibile. Lui non si lamenta, sembra aderire con gratitudine a ciò che ha scelto. Almeno fino all’errore fatale.

Siamo alle prime righe, in un caotico pomeriggio domestico: le bambine si lagnano, il neonato piange.

La collega di lui, Claudia, scrive per chiedere il nome di un personaggio della serie a cui stanno lavorando. Lui intanto chiede alla moglie dove sono i biscotti.

Livia risponde. Lui digita due messaggi in contemporanea, ma li inverte.

A Claudia, la collega, invia “Ti amo“, un ringraziamento affettuoso destinato a Livia.

Alla moglie, invia “Tea“, il nome del personaggio.

“E chi è questa Tea?”, chiede la moglie.

Finalmente ti sei deciso. Ti amo anche io” risponde la collega.

Finalmente.

Basterebbe così poco: scusarsi, riderci su, ritrattare all’istante. Nella sua testa, il narratore esplora ogni scenario possibile – e qui Starnone è al suo meglio, nel mostrarci il labirinto del pensiero – ma alla fine sceglie di non fare niente. Lascia che l’errore sedimenti.

Ma quell’errore non svanisce; si espande, contamina la percezione, altera la realtà: “Da quel momento era cresciuta un’impressione di mondo guasto, dalle comunicazioni telefoniche e ferroviarie fino a quel mio stupido sfornare insulse sceneggiature cinetelevisive che mi aveva privato perfino della capacità di scrivere due righe vere”. Si capisce subito che non lo afferreremo mai davvero, e non perché sia complesso, ma perché lui per primo si sottrae. Si rifugia nella scusa del malinteso digitale, come se fosse colpa dei mezzi, dei messaggi finiti al destinatario sbagliato. Ma il guasto non è tecnologico: è umano. È lui che non sa dirsi la verità, che non sa riconoscere ciò che vuole (o non osa farlo).

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Ed è in questo vuoto, in questo silenzio trattenuto, che Claudia comincia a prendere forma: si colora di dettagli prima inesistenti, si fa immagine, presenza, tentazione. Un desiderio che sale piano, come un fumo grigio.

“Probabilmente quel cappottone l’aveva già messo l’inverno scorso […]; probabilmente quella sua andatura un po’ pigra […] non erano una reazione allo specifico momento imbarazzante che stavamo vivendo, ma un suo corredo d’ogni giorno. Io tuttavia, soltanto nell’attimo in cui la vidi sullo sfondo vorticoso del fogliame morto, ci feci caso”.

Che cos’è davvero il desiderio?

Il nostro protagonista, marionetta nelle mani di un desiderio nato per caso, si scopre infatuato.

Ma cos’è davvero il desiderio?

In un’epoca che lo ha sviscerato, analizzato e messo al centro di ogni narrazione, Starnone sembra suggerire che questa ipertrofia abbia generato il suo opposto: un desiderio debole, intermittente, quasi un alibi. A farsene portavoce è l’amico di famiglia, Carlo, anziano scrittore mefistofelico, che smonta ogni residuo di romanticismo: “Comunque, amore, boh, si esagera sempre, sarà solo un po’ di desiderio. […] Ci si sbraccia subito come se fosse chissacché e poi si scopre che è soprattutto abbaglio e confusione“.

Schiacciato tra una relazione che non capisce e l’amore che ancora prova per la sua famiglia, il marito si tormenta, impaurito e ringalluzzito da una nuova situazione elettrizzante, che lo fa sentire come un adolescente alla soglia dei quarant’anni.

Il tradimento nei libri di Starnone

Il tradimento è un territorio che Starnone conosce bene: in Lacci era una bomba a orologeria, un atto che squarciava il quotidiano come una detonazione, lasciando macerie e rancori incandescenti. In Confidenza, Pietro era divorato dalla colpa, perseguitato da un segreto condiviso che diventava gabbia. Lì il tradimento aveva ancora la dignità di una tragedia. In Destinazione errata, invece, è quasi un equivoco. Non esplode mai: scivola.

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A differenza di quelle tensioni roventi, qui il tradimento si riduce a una sequenza di baci trafugati e uscite in punta di piedi, vissute con un misto di eccitazione e irritazione. Non è un fuoco che consuma, è quasi un fastidio addosso. E Starnone pare dirci che oggi il tradimento non è più un gesto tragico: è un gesto stanco. Non è un atto di ribellione, ma un alibi. Non un desiderio, ma il suo surrogato.

E infatti questo protagonista non è neanche davvero tormentato: non ha la furia di chi trasgredisce, né la compostezza di chi resiste. È come se fosse trascinato da un sentimento che non lo riguarda, più subìto che agito. Non sa se vuole tradire o se vuole essere scoperto. Non sa se quella deviazione è un fraintendimento o una richiesta di aiuto.

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Il riflesso di un’inadeguatezza più grande

Il finale, forse volutamente “sgonfio“, potrebbe confermare proprio questo: non accade niente di decisivo perché niente, nella realtà emotiva del nostro uomo, ha consistenza sufficiente per esplodere. L’infedeltà non è più un dramma: è un sintomo. Il riflesso di un’inadeguatezza più grande. Alla fine resta lì, come un burattino che non vede i fili, incapace di capire se ciò che è accaduto è stato un lapsus o una volontà nascosta. “Forse dovevo ipotizzare – pur avendo dato sempre poco credito al pozzo nero dell’inconscio – che in qualche pezzetto malconcio del cervello mi si era annidata la voglia di scrivere ti amo e sbagliare destinataria”.

Ma a quel punto, viene da chiedersi, che importa? Si può pure sbagliare destinatario, ma si continua comunque ad andare. Si devia, ma non si arriva mai. Si resta dove si è: intrappolati tra ciò che si potrebbe volere e ciò che non si ha il coraggio di perdere.

Forse il vero dramma non è tradire, ma non sapere più neanche come si desidera.

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Fotografia header: Destinazione errata di Domenico Starnone (nella foto Getty)

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