“Il miracolo dell’amore che dura è il miracolo di una torsione del tempo: non ci allontaniamo come ordinariamente accade dal tempo dell’inizio – dal primo bacio – ma lo rinnoviamo di continuo – in altri infiniti primi baci -. È qualcosa che può sempre accadere. Nel nostro tempo la difficoltà supplementare è costituita dall’attaccamento agli oggetti: uno schermo, una tastiera, una realtà virtuale. In questo senso dico che il nostro tempo, privilegiando il consumo autistico degli oggetti, è un tempo ostile all’amore e al suo evento. È un tempo senza poesia”

Protagonista in tv con “Lessico Amoroso”, lo psicanalista Massimo Recalcati si racconta a ilLibraio.it in occasione dell’uscita di “Mantieni il bacio – Lezioni brevi dell’amore”. Nel corso dell’intervista sono numerosi i riferimenti alla letteratura di ieri e di oggi, ma si parla anche di temi come l’educazione sessuale: “Bisognerebbe sostituire quella che oggi viene fatta con aride slides nelle scuole, che hanno come tema gli organi genitali e il loro funzionamento, con una vera e propria educazione sentimentale, che solo i poeti possono aiutarci a fare”

«Il bacio è forse l’immagine che, più di ogni altra, condensa la bellezza e la poesia dell’amore». E ancora: «Il bacio è il tempo di un’intimità che unisce in modo sorprendente il luogo della parola con quello del corpo. Se non c’è amore senza dichiarazione d’amore, non c’è amore senza bacio. Ogni amore è tenuto a mantenere il bacio. È solo il bacio a coniugare la lingua che dichiara l’amore con il corpo dell’amante».

Lo sa bene lo psicanalista Massimo Recalcati: sono i poeti i veri maestri dell’amore. E non è un caso che Mantieni il bacio (Feltrinelli, pag. 128), le sue sette “lezioni brevi sull’amore” attingano a piene mani dal mondo della letteratura per descrivere il sentimento paradossalmente più ineffabile.

Solo Edmond Rostand, aldilà del noto e forse un po’ logorato “apostrofo roseo”, aveva inanellato in soli nove versi del Cyrano ben sette definizioni del bacio: «un giuramento fatto / un poco più da presso, un più preciso patto, / una confessione che sigillar si vuole», «un segreto detto sulla bocca, un istante / d’infinito che ha il fruscio di un’ape tra le piante, / una comunione che ha gusto di fiore, / un mezzo per potersi respirare un po’ il cuore / e assaporarsi l’anima a fior di labbra».

E allora cosa può dire la psicanalisi in più sull’amore?

Sulle orme dei Frammenti di Barthes, Recalcati mette al centro della sua ricerca la necessità di riappropriarsi di un linguaggio adatto a parlare d’amore, un Lessico Amoroso appunto, titolo della trasmissione andata in onda tra gennaio e marzo su Rai3 e oggetto persino di imitazione (sinonimo di successo) di un dissacrante Maurizio Crozza.

In Mantieni il bacio l’autore di A libro aperto. Una vita è i suoi libri (Feltrinelli) riprende e arricchisce quel copione facendone scaturire questo volume. Un inno alla poesia dell’amore in un tempo che sembra aver dimenticato la poesia. E, forse, anche l’amore.

 Massimo Recalcati Mantieni il bacio

Recalcati, il titolo di questo libro, Mantieni il bacio nasce da una lezione di pilates e dalla sua rielaborazione onirica. La creatività è sempre figlia dell’inconscio?
“Freud diceva che l’attributo fondamentale di uno psicoanalista, ma anche di coloro che gli si rivolgono in cerca di aiuto, è la fede nei confronti dell’esistenza dell’inconscio. Io ho questa fede. Le cose migliori vengono sempre dai sogni. La creatività è sempre figlia dell’inconscio”.

Come nei Frammenti di un discorso amoroso di Roland Barthes, lei fa ampio uso di citazioni letterarie. La letteratura è la forma migliore per parlare d’amore?
“Si, lo diceva chiaramente Novalis: non si può in nessun modo spiegare l’amore. Si può solo conservarne il mistero. È quello che fanno i poeti. Bisognerebbe sostituire, lo dico da un po’ di tempo a questa parte, l’educazione sessuale che oggi viene fatta con aride slides nelle scuole che hanno come tema gli organi genitali e il loro funzionamento, con una vera e propria educazione sentimentale, che solo i poeti possono aiutarci a fare”.

Non è un caso che lei dedichi questo libro a Roberto Benigni, “che conosce la poesia della durata”.
“La poesia anticipa anche la psicoanalisi. Lo diceva del resto già Freud. Come dire che leggere Stendhal o Proust, ma anche Paolo Giordano o Andrea Bajani, per citare due autori italiani contemporanei che io stimo molto, vale di più che studiare un manuale di anatomia. E forse anche uno di psicoanalisi”.

Ma la psicoanalisi che altri strumenti può fornire al discorso amoroso? Lacan sostiene che non si possa dire ti amo senza aggiungere “anche se non so bene perché”.
“La psicoanalisi situa l’amore in una posizione centrale del suo discorso. Non esiste forma umana della vita senza il sostegno dell’amore. Lo mostra bene la vita dei bambini, che cadrebbe nel vuoto e nell’angoscia senza le cure amorose della madre o di chi si occupa di loro. Tra gli adulti l’amore porta con sé un enigma che non si può pretendere di spiegare – come a volte la psicoanalisi vorrebbe fare – riconducendo le vicissitudini della vita amorosa alle relazione affettive primarie del soggetto con la madre, il padre, i fratelli e le sorelle”.

Ci può fare un esempio?
“Potremmo dire che le nostre esperienze infantili sono la legna dalla quale scaturisce il fuoco del nostro amore attuale. Ma la legna non è il fuoco. Il fuoco esorbita sempre la legna; il suo evento non è riducibile a quello inerte della legna. In questo senso ogni vero amore è nuovo, nel senso che non è la semplice ripetizione di un vecchio amore infantile. Ogni amore non è l’incontro con le ombre del passato, ma con ciò che non ho mai visto, conosciuto, saputo”.

Bruciare o durare? È questo il dilemma che fa da filo rosso alle sette lezioni, dalla promessa alla separazione. Non è possibile una mediazione tra l’ardere e il “per sempre”?
“L’idea che il durare e il bruciare siano rigidamente alternativi è sponsorizzata dal nostro tempo. Ma è, appunto, un’idea. Talvolta  questa idea viene confermata dall’esperienza: all’inizio l’amore divampa, poi, nel tempo, si spegne. Il desiderio diviene l’ombra di se stesso. La noia si impossessa della vita dei Due. E l’apparizione della noia segnala sempre che non brucia più, che non c’è più desiderio, che qualcosa è morto. Eppure questo ritratto non esaurisce le possibilità dell’amore. Anzi. Esistono amori che sanno durare nel tempo senza smettere di bruciare. La loro sa essere, come diceva Ungaretti, una “quiete accesa”.

Come è possibile?
“Accade quando la vita quotidiana, la vita insieme non si allontana dal tempo dell’incontro ma lo rinnova ogni volta. È la stessa cosa che capita quando riguardiamo lo stesso tramonto o le stesse primule che ogni anno appaiono nel prato con il primo vento di primavera. Sono sempre le stesse primule ma sono sempre nuove. Non ci stancheremmo mai di guardarle”.

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Lei afferma che il sacrificio non dovrebbe mai esistere in amore, in particolare nei confronti dei figli. Ma il sacrificio ha necessariamente un’accezione negativa? Non può essere espressione del dono per eccellenza?
“Noi confondiamo spesso la logica del sacrificio con quella della donazione. Il sacrificio implica sempre un risarcimento: io mi sacrifico in vista di un fine superiore che mi rimborserà ampiamente. Sacrifico questa vita che è fatta di niente per avere un’altra vita più piena e sottratta al suo destino mortale. In questo caso il valore non risiede nell’atto del sacrificio, ma in ciò che il sacrificio permette di ottenere in un secondo tempo. È il fondamento di ogni superstizione religiosa. Diversamente, in ogni atto di donazione la soddisfazione non si trova se non nell’atto stesso”.

E in che cosa si soddisfa un atto di amore?
“Solo in se stesso. Non certo dall’amore che ci consente di ottenere dall’altro. La gloria investe sempre chi ama, e chi ama non lo fa per essere ricambiato, ma come puro atto di donazione che esclude radicalmente ogni forma di sacrificio. Quando una madre ama il su piccolo non si attende da lui nessuna ricompensa, non si sacrifica, ma dona se stessa, sperimenta il suo amore nel donarsi senza riserve a colui di cui si prende cura”.

L’amore si nutre del segreto dell’altro, della libertà del segreto dell’altro. Se spegnessimo questo segreto si creerebbe l’intimità alienante. Oggi è ancora possibile tutelare il segreto?
“La distanza, la differenza, la non omogeneità, se volete – per essere paradossale – l’assenza di empatia e di immedesimazione, tutelano il segreto. Amare non significa rendere chi amiamo uguale a noi o alla nostra immagine dell’amore. Amare è sempre l’incontro con uno straniero, uno sconosciuto. Il familismo nega il segreto dell’Altro e spesso annienta l’amore. L’incontro esorbita sempre la sfera del familiare”.

Citando un brano da Il professore del desiderio di Philip Roth, lei evidenzia “la differenza tra un modo di amare di tipo femminile e un modo di amare di tipo maschile. Quello femminile si rivolge alla parola, al segno dell’amore, allo scambio, alla relazione. Quello maschile si rivela invece nella sua pura idiozia feticistica frantumando l’essere dell’Altro in pezzi”. Sono comunque entrambe forme di “idiozia”?
“Sono due idiozie diverse, ma egualmente incorreggibili. Cercare feticisticamente il pezzo, desiderare parti del corpo, riflette il feticismo di fondo del fantasma erotico maschile. Mentre reiterare infinitamente la domanda ‘Mi ami? Mi ami?’ senza che nessuna risposta risulti soddisfacente, definisce il fantasma di fondo del femminile. Ma maschile e femminile non corrispondono solo ad anatomie differenti. Sono piuttosto due posture amorose. Nel senso che vi sono uomini che l’amore rende femminili e donne che restano catturate dal fantasma erotico del pezzo. In generale potremmo dire con Lacan che quando uno ama è sempre nella posizione della donna, ovvero è sempre in un rapporto di amicizia con la propria mancanza”.

“Anziché vivere l’amore come esposizione assoluta alla libertà assoluta dell’Altro, il geloso vorrebbe ridurre l’amata a un oggetto tra gli altri di cui essere il proprietario”. Ma quando ci si può definire davvero liberi in un rapporto di coppia?
“Quando si ama la libertà dell’altro. Per questo l’ammirazione è una componente essenziale dell’amore. Non l’idealizzazione. L’ammirazione non è l’effetto di una fascinazione come invece l’idealizzazione. Consiste nell’ammirare l’altro nella sua differenza, nella sua libertà irriducibile, appunto”.

A proposito di gelosia e tradimento lei cita diversi autori, da Shakespeare a Proust da Moravia ad Améry, ma riguardo al perdono si rifà all’antica arte giapponese del Kintsugy. Come “la ferita riesce a diventare poesia”?
“Ho citato l’arte del Kintsugi per provare a dire in che cosa consiste il lavoro atroce del perdono che segue la frantumazione dell’amore. Il vaso della coppia una volta rotto non si può più aggiustare, non può più ritornare com’era prima. Un rapporto ferito dal tradimento non si può restaurare. Si impone una alternativa secca: o muore o rinasce”.

Ma come può rinascere?
“Per rinascere è necessaria una vera e propria ripartenza. Nell’arte del Kintsugi le ferite non vengono occultate, riparate, ricucite, ma esibite, dipinte d’oro, messe in valore. È questo l’esito generativo del lavoro atroce del perdono quando riesce: trasformare le ferite del tradimento in pittura d’oro, trasformare la cicatrice del trauma in una poesia”.

Eppure non sempre ciò avviene. Anche i più grandi amori possono finire. Lei a tal proposito parla di “separtizione”. Cosa intende?
“Quando facciamo esperienza della perdita di un legame affettivo importante non perdiamo solo la persona che si è staccata da noi perché, andandosene, questa persona ha portato via anche un pezzo di noi stessi. In questo senso ogni separazione è una separtizione”.

L’ultimo capitolo è dedicato all’amore che dura. Si apre con i versi di Peter Handke: “Il canto della durata è una poesia d’amore. / Parla di un amore al primo sguardo / seguito da numerosi altri primi sguardi”. Come si alimentano i primi sguardi se ci sono sempre più spesso uno schermo e una tastiera a frapporsi?
“Il miracolo dell’amore che dura è il miracolo di una torsione del tempo: non ci allontaniamo come ordinariamente accade dal tempo dell’inizio – dal primo bacio – ma lo rinnoviamo di continuo – in altri infiniti primi baci -. È qualcosa che può sempre accadere. Nel nostro tempo la difficoltà supplementare è costituita dall’attaccamento agli oggetti: uno schermo, una tastiera, una realtà virtuale. In questo senso io dico che il nostro tempo, privilegiando il consumo autistico degli oggetti, è un tempo ostile all’amore e al suo evento. È un tempo senza poesia”.

 

 

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