“La verità è che può capitare, se si è fortunati, di continuare a vivere anche senza il proprio cuore. Pensi ai trapianti. Credo di essermi mossa, di aver portato a patologia, questo pensiero. Poi, in fondo, volevo scrivere un romanzo d’amore, una storia che canticchiasse allegramente che i sentimenti sono in parte involontari, come sono involontari certi organi…”. In occasione dell’uscita del romanzo “Il cuore non si vede”, ilLibraio.it ha intervistato Chiara Valerio, per parlare dei temi affrontati nel libro, del suo lavoro come responsabile della narrativa italiana Marsilio (con le anticipazioni sul 2020), del ruolo delle donne nell’editoria (pregiudizi inclusi): “Ho avuto un trattamento diverso da altre che lavorano in ambiente letterario e culturale perché, avendo fatto matematica, è indubbio che sia ‘almeno’ intelligente…”. Spazio anche per la situazione politica e sociale: “In tempi come i nostri è importantissimo riappropriarsi e diffondere una cultura del collettivo, una cultura delle regole”

Traduttrice, saggista, autrice per la radio e per la televisione, editor, Chiara Valerio (nella foto di Lavinia Azzone, ndr) torna in libreria con Il cuore non si vede (Einaudi), un romanzo che racconta la storia di un uomo che, improvvisamente, si ritrova senza cuore.

Dopo aver pubblicato, tra gli altri, Spiaggia libera tutti (Laterza), La gioia piccola d’esser quasi salvi (nottetempo), Almanacco del giorno prima e Storia umana della matematica (entrambi per Einaudi), la scrittrice, che ha studiato matematica e conseguito un dottorato di ricerca in calcolo delle probabilità, scrive una storia di quasi amore, sulle mancanze che ci sono ma possono essere colmate, sulle solitudini che fanno paura, sui sentimenti traballanti e imperfetti – ma allo stesso tempo vitali – su cui restano in equilibrio le relazioni.

Il cuore non si vede

Il cuore non si vede inizia con un’immagine dal forte valore simbolico: un uomo si sveglia una mattina come tante e, senza alcun motivo apparente, si ritrova senza cuore. In che modo, e perché, un individuo può perderlo?
“La verità è che può capitare, se si è fortunati, di continuare a vivere anche senza il proprio cuore. Pensi ai trapianti. Credo di essermi mossa, di aver portato a patologia, questo pensiero. Poi, in fondo, volevo scrivere un romanzo d’amore, una storia che canticchiasse allegramente che i sentimenti sono in parte involontari, come sono involontari certi organi. E così siamo ad Andrea Dileva che si sveglia senza il cuore e che chissà come e dove va a finire”.

Il centro del romanzo sono le relazioni sentimentali, che vengono raccontate come incomplete, mancanti di qualcosa: “Carla lo voleva fino a un certo punto, e lui la voleva da un certo punto in poi. Dunque per loro due, quel punto era l’unica possibilità”. O ancora: “Qualsiasi relazione umana è, per la maggior parte del tempo, un improponibile baratto tra il terrore di restare soli e la gioia della condivisione”. Sembra che, nei rapporti amorosi descritti, ci sia solitudine e distanza. Perché? 
“Non credo solitudine e distanza. Credo una sorta di distrazione. Ma la mia interpretazione vale quanto la sua dunque, dopo la sua lettura, nei rapporti tra Andrea, Carla, Laura, Angelica e gli altri ci saranno anche solitudine e distanza. Come si sente con una responsabilità del genere?”.

Eppure, allo stesso tempo, sembra che siano proprio le relazioni a tenerci in vita (probabilmente Andrea sopravvive senza organi vitali grazie alle donne che gli stanno accanto). Come si legano queste due visioni opposte? 
“L’idea era quella. Anzi, l’idea era di mia sorella Silvia, tanti anni fa. Quando nostro papà stava male (ora sta bene) continuava a ripetere: ‘Ci deve essere qualcosa nella guarigione che dipende dal fatto che il corpo di papà è un corpo amato’. E questa cosa se c’è deve essere sintetizzabile. Mi aveva sempre affascinato quella storia che ovviamente qui sto banalizzando. Diciamo che ho ripreso l’intenzione della ricerca di mia sorella Silvia, facendone racconto. Era più di dodici anni fa, i romanzi sono una forma stratificata di esperienze. Non tutte dell’autore”. 

Il riferimento alla mitologia greca è molto presente all’interno del romanzo. Nasce (anche) da qui l’idea di scrivere questa storia?
“Torno alla stratificazione. I libri sono fatti di incontri con altri libri e con altri esseri umani. E uno degli incontri che ho fatto grazie alla Marsilio è stato quello con Maria Grazia Ciani, la grecista (della quale abbiamo pubblicato lo scorso maggio La morte di Penelope). Ecco, uno dei miei libri preferiti è il Libro delle Meraviglie di Flegonte di Tralle. Così la risalente frequentazione delle meraviglie di Flegonte nelle quali non c’è l’organo mancante mi ha portato alla domanda: ‘Ma esiste una mitologia dell’organo mancante?’. Senza la Ciani sarebbe rimasta una intuizione, invece Maria Grazia ha sostenuto la mia curiosità con i suoi studi”. 

Parliamo di generi letterari. Tra un proliferare di non fiction e memoir, Il cuore non si vede è un romanzo che si distingue, con atmosfere quasi da realismo magico. Lei come definirebbe il libro?
“Un romanzo realista che comincia con un grande gesto di irrealismo. Inizia con un pugno su un tavolo dopo il quale gli oggetti traballanti si sistemano ritrovando un loro posto e un loro equilibrio”. 

Il protagonista è quasi esclusivamente circondato da donne: la fidanzata, l’amante, l’amica. In anni in cui finalmente si torna a parlare di femminismo, il suo iniziare a scomparire è simbolo di una sorta di indebolimento culturale della figura maschile?
“Gli uomini sono spesso circondati da donne. Poi Andrea Dileva è amabile, è bello, ha un’aria elegante, è intelligente e galante. Io non vorrei che Andrea Dileva scomparisse, ma d’altronde, come scrivo nel libro è un po’ uno scomparso di suo, nel senso che non si sa mai dove sia e con chi. In fondo è un timido, i timidi hanno bisogno di credere che nessuno li veda. Anche quando sanno che è una finzione, hanno bisogno di quella finzione. Parlo per un amico. C’è poi quella battuta di Nanette di Hannah Gadsby (trova tutto su Netflix) che dice (più o meno): ‘Il maschio bianco eterosessuale è come un canarino nelle miniere, se non c’è più aria per lui, tutti gli altri sono già morti’. Ecco, io credo che le categorie ci stiano facendo scomparire, estinguere addirittura, per noia pure. L’ossessione dell’identità, della presenza, della reperibilità”.

A questo proposito, recentemente si è parlato la copertina di D di Repubblica, tutta dedicata ad autrici italiane (Teresa Ciabatti, Claudia Durastanti, Rosella Postorino, Veronica Raimo e Nadia Terranova). Oggi nel mondo culturale si è davvero arrivati alla meritata considerazione e visibilità per le scrittrici, o siamo ancora indietro?
“Sa, aver studiato matematica e lavorare in un ambiente letterario e culturale che ritiene, come quasi il resto del mondo, la matematica una disciplina per illuminati, predisposti e geni, mi ha facilitato la vita. Come donna inoltre, ho avuto un trattamento diverso da altre donne che lavorano in ambiente letterario e culturale perché, avendo fatto matematica, è indubbio che sia ‘almeno’ intelligente. Altre hanno dovuto dimostrare o rivendicare, volta per volta, di essere intelligenti e a me, è stato risparmiato. Il mio essere donna è stato dunque tollerato grazie ad anni passati ad appiattirmi le terga in una biblioteca, studiando matematica. A causa di questa leggerezza, facilità e accettazione negli ambienti culturali nei quali via via entravo per lavorare, discutere, parlare, non mi sono resa conto subito, e ho talvolta colpevolmente ignorato, la disparità di trattamento tra donne e uomini. Quindi anni fa le avrei detto, forse anche con una punta di snobismo e indignazione: ‘No, non c’è alcuna disparità!’, oggi invece le rispondo lieta: ‘Viva la copertina che dà luce ai volti delle donne e ai loro scritti’ (e con un’estetica da Charlie’s Angels che mi fa sentire anche più giovane e con la testa al vento)”.

In questo senso, come si orientano le sue scelte da responsabile della narrativa italiana di Marsilio? 
“Sono molto forte sulle categorie ma poco sui generi, e dunque, nonostante la risposta di prima, questo è rimasto: io leggo i libri e solo dopo mi interesso agli autori. E non ho nemmeno l’ossessione del nuovo, a me piace di più l’idea di contemporaneo che significa, per esempio, leggere Sonecka di Marina Cvetaeva (tradotta per Adelphi da Serena Vitale) e ritrovarsi perfettamente nelle interruzioni e nelle circolarità delle conversazioni contemporanee su qualsiasi mezzo di comunicazione le venga in mente, il corpo o il social”.

Si è imbattuta in nuove voci interessanti?
“Dunque nel 2020 avremo un flabello di voci che vanno dal romanzo di esordio di Giorgio Zanchini (su un personaggio ingombrante e importante della storia d’Italia, Padre Tacchi Venturi, gesuita di Mussolini e prozio di Zanchini), ai memoir di Federica Sgaggio (sulla morte e sulla madre) e di Elisa Fuksas (su come e perché si decide di battezzarsi a quarant’anni), alla commedia favolosamente brillantemente e finalmente Muriel Sparks di Antonio Leotti, a un ritorno in libreria di Saverio Fattori con un romanzo amaramente ironico sulla dipendenza, all’atteso romanzo/memoriale di Gaja Cenciarelli sulla scuola e a un libro delicato e importante che ci avvicina ad Aciman e che si intitola Un giorno uno di noi scritto da Giancarlo Pastore. Avremo poi il romanzo, direi romanzone non solo per importanza ma per numero di pagine, di Marcello Domini, un medico bolognese alla sua prima prova narrativa che racconta la storia di due fratelli orfani dal 1922 al ‘45 e che mi ha ricordato Patria di Aramburu per la nitidezza con la quale racconta il come e perché membri di una stessa famiglia potevano trovarsi su due fronti politicamente avversi pur amandosi incondizionatamente. Ci sarà anche il romanzo sugli amori Giorgio Manganelli, scritto da Romana Petri, entusiasmante e direi comico, e, in contemporanea con Grasset, il romanzo di Maurizio Serra che trovate in questi giorni in libreria (per Neri Pozza) con una biografia di Gabriele D’Annunzio”.

Altro?
“Il 2019 finisce con uno scrittore solidamente Marsilio come Giuseppe Lupo e una novità per Marsilio (esemplare per me su quali sono il ruolo, il compito e le possibilità della narrativa contemporanea) che è Perché comincio dalla fine di Ginevra Lamberti”.

Quanto alla collana passaparola?
“Ci saranno di certo Francesco Pacifico su Mrs. Dalloway (anche gli uomini possono parlare di Woolf, come ha dimostrato recentemente Hisham Matar), Teresa Ciabatti e la sua ossessione per le bambole a partire da Mrs Havisham in Grandi speranze di Dickens, Enrico Deaglio su J.D. Salinger e Laura Pugno su L’ultimo dei Mohicani“.

Populismo, forme di chiusura e razzismo, diseguaglianze, crisi economica: da scrittrice e da intellettuale come si pone davanti ai tempi politicamente confusi e complessi che stiamo vivendo? 
“Questa estate ho scritto un piccolo saggio (sempre per Einaudi) su Matematica e Democrazia, e l’idea sottostante è che in tempi come i nostri è importantissimo riappropriarsi e diffondere una cultura del collettivo, una cultura delle regole. E la matematica che pare una disciplina per geni solitari è invece di grande aiuto perché le verità matematiche sono tutte assolute ma tutte transeunti (come d’altronde sono i sentimenti che paiono diventati componente esclusiva del dibattito politico) e soprattutto non sono tali se non sono condivise. Adesso la condivisione di una verità, di una regola è alla base di qualsiasi democrazia. Quindi la mia posizione è cerchiamo una grammatica con la quale confrontarci e parlare. Senza regole condivise non si fa la guerra (pensi agli scacchi, dove le regole sono condivise), figuriamoci la pace, dunque la civiltà”.

 

GLI APPUNTAMENTI – Chiara Valerio parlerà del nuovo libro al Festivalfilosofia di Modena sabato 14 settembre alle 21 e a Pordenonelegge sabato 21 settembre alle 15.30.

Fotografia header: Chiara_Valerio (foto di Lavinia Azzone, ndr)

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