“Con Gesù la condizione della donna cambia radicalmente, ma il comportamento del Signore non verrà compreso e accettato, e dopo di lui la donna sarà ricacciata nella sua condizione servile di sottomissione all’uomo”. La riflessione del biblista frate Alberto Maggi a partire da una frase pronunciata da Gesù nel Vangelo ancora oggi tenuta “accuratamente nascosta” e che “non si legge mai nella liturgia domenicale”

Gesù più chiaramente non poteva affermarlo: “In verità io vi dico: dovunque sarà proclamato il Vangelo, per il mondo intero, in ricordo di lei si dirà anche quello che ha fatto” (Mc 14,9; Mt 26,13).

È il solo episodio della sua vita che Gesù chiede espressamente venga fatto conoscere ovunque. Quel che non ha chiesto per la moltiplicazione dei pani, per la risurrezione di Lazzaro o altri episodi prodigiosi, Gesù lo desidera per l’azione che un’anonima donna ha compiuto su di lui. Eppure, nonostante l’esplicita richiesta di Gesù, questo episodio, riportato dagli evangelisti Marco e Matteo, è ancora tenuto accuratamente nascosto e non si legge mai nella liturgia domenicale, che è spesso l’unica possibilità per i credenti di ascoltare brani della Scrittura, se non una sola volta, ogni tre anni, nella lettura della passione, la Domenica delle Palme (ciclo B), ma può essere omesso scegliendo la “forma breve”.

Che cosa ha di straordinario e di importante, e anche di imbarazzante questo brano?

Gesù si trova a Betània (“Casa del Povero”), sulla sommità del Monte degli Olivi, “in casa di Simone il lebbroso” (Mc 14,3). Mentre egli è a tavola, “giunge una donna che aveva un vaso di alabastro, pieno di profumo di puro nardo, di grande valore” (Mc 14,3). Nel Cantico dei cantici il profumo del nardo è espressione dell’amore della sposa verso il re-sposo (“Mentre il re è nel suo convito, il mio nardo spande il suo profumo”, Ct 1,12). Definito “di grande valore”, questo profumo è segno dell’amore che viene offerto.

Questa donna, anonima, compie su Gesù un gesto dall’alto valore simbolico: “Ella ruppe il vaso di alabastro e versò il profumo sul suo capo” (Mc 14,3). L’azione di questa donna non va confusa né con quella di Maria, sorella di Lazzaro, (Gv 12,1-8), né con quella dell’anonima peccatrice di Luca (Lc 7,36-50), donne che non ungono il capo, ma i piedi di Gesù, in segno di riconoscenza o di venerazione.

Nei Salmi e nei Profeti l’unzione del capo è un atto divino con il quale si veniva consacrati (“Ungi di olio il mio capo”, Sal 23,5; “Il Signore mi ha consacrato con l’unzione”, Is 61,1). Pertanto l’azione della donna di versare il profumo non sui piedi di Gesù, ma specificatamente sulla sua testa, richiama esplicitamente l’unzione della testa dei sacerdoti (Es 29,4-7) e dei re (2 Re 9,1-6; 1 Sam 10,1), e la consacrazione del Messia, compito dei sacerdoti e dei profeti.

L’imprevista, inaccettabile azione della donna provoca la furibonda reazione dei discepoli che “erano infuriati contro di lei” (Mc 14,5). Essi prendono a pretesto del loro sdegno lo spreco di profumo (trecento denari, pari allo stipendio annuo di un bracciante), ma in realtà non possono tollerare che una femmina, essere costituzionalmente impuro, abbia potuto compiere un’azione riservata non solo ai maschi, ma ai sacerdoti e ai profeti. In una cultura dove il termine “discepolo” esisteva solo al maschile e la supremazia del maschio era indiscussa e avallata dalla Parola di Dio, il comportamento della donna è inaccettabile e destabilizzante.

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Le donne, per la loro condizione fisiologica erano relegate in una situazione di perenne impurità, per questo ritenute gli esseri umani più lontani da Dio. Con Gesù la condizione della donna cambia radicalmente, ma il comportamento del Signore non verrà compreso e accettato, e dopo di lui la donna sarà ricacciata nella sua condizione servile di sottomissione all’uomo. Nella Prima Lettera a Timoteo si legge: “La donna impari in silenzio, in piena sottomissione. Non permetto alla donna di insegnare… rimanga piuttosto in atteggiamento tranquillo… lei sarà salvata partorendo figli…” (1 Tm 2,11-12.15), e, rincara Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi, “Come in tutte le comunità dei santi, le donne nelle assemblee tacciano perché non è loro permesso parlare; stiano invece sottomesse, come dice anche la Legge. Se vogliono imparare qualche cosa, interroghino a casa i loro mariti, perché è sconveniente per una donna parlare in assemblea” (1 Cor 14,33-35). Per ricacciare la donna in una condizione di sottomissione san Paolo si deve rifare alla Legge di Mosè (“come dice anche la Legge”), perché non può certo appellarsi al vangelo di Gesù, che non sottomette, ma libera, non abbassa la donna ma l’innalza. Quale fosse l’atmosfera nella chiesa primitiva, lo si può intuire negli apocrifi, dove viene riportata la protesta di Pietro, che non sopportando più la presenza delle femmine all’interno della comunità, chiede a Gesù, che, se proprio devono starci, almeno le trasformi in maschi: “Maria deve andar via da noi! Perché le femmine non sono degne della vita!”. E Gesù acconsente: “Ecco, io la guiderò in modo da farne un maschio, affinché lei diventi uno spirito vivo uguale a noi maschi. Poiché ogni femmina che si fa maschio entrerà nel regno dei cieli” (Vangelo di Tommaso, 114).

Ma nei vangeli le donne sono sempre presentate positivamente, contrariamente agli uomini. Il loro coraggio e la loro fedeltà superano di molto quella dei discepoli. Il messaggio evangelico che ancora nella Chiesa si fa difficoltà ad ammettere e quindi ad accogliere, è che nella comunità di Gesù la funzione profetico-sacerdotale dell’unzione non è stata svolta dai maschi, ma da una femmina: l’Unto del Signore è unto da una donna. Nei vangeli le donne non solo vengono elevate alla stessa dignità degli uomini, ma poste a un livello superiore. Infatti, mentre gli angeli erano ritenuti gli esseri più vicini a Dio e le donne i più lontani, con Gesù il compito degli angeli, quello di essere annunciatori della vita, viene affidato proprio alle donne. Sono le donne quelle che per prime riconoscono in Gesù il Messia inviato da Dio (Gv 4,25-26), quelle che sono capaci di seguirlo fedelmente e, al momento della crocifissione, secondo i vangeli di Matteo, Marco e Luca, solo le donne saranno presenti e nessun discepolo (Mt 27,55-56; Mc 15,40-41; Lc 23,49). Infine saranno le donne a incontrare per prime il Cristo risuscitato e ad annunciarlo ai discepoli (Mt 28,9-10; Mc 16,6-7; Lc 24,8-11), i quali però non ci crederanno perché la testimonianza di una donna non era credibile (Mc 16,11; Lc 24,11), ritardando così il prezioso incontro con il Risorto, non solo per quel tempo, ma anche per la vita della Chiesa di oggi.

L’AUTORE – Alberto Maggi, frate dell’Ordine dei Servi di Maria, ha studiato nelle Pontificie Facoltà Teologiche Marianum e Gregoriana di Roma e all’École Biblique et Archéologique française di Gerusalemme. Fondatore del Centro Studi Biblici«G. Vannucci» a Montefano (Macerata), cura la divulgazione delle sacre scritture interpretandole sempre al servizio della giustizia, mai del potere. Ha pubblicato, tra gli altri: Chi non muore si rivede – Il mio viaggio di fede e allegria tra il dolore e la vitaRoba da preti; Nostra Signora degli eretici; Come leggere il Vangelo (e non perdere la fede)Parabole come pietreLa follia di Dio e Versetti pericolosi. E’ da poco uscito per Garzanti L’ultima beatitudine – La morte come pienezza di vita.

Qui tutti gli articoli scritti da Alberto Maggi per ilLibraio.it.

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