Se n’è andato a 90 anni Dario Fo, Premio Nobel per la letteratura ’97. Artista, attore, scrittore, regista, uomo della risata e della cultura italiana, protagonista di numerose battaglie al fianco dell’amata Franca Rame. Abbiamo ripercorso la sua vita piena di passioni

Scrittore, autore, drammaturgo, attore, regista, illustratore, pittore, scenografo, attivista. Novant’anni e un frizzante spirito da “giullare”. Dario Fo, morto il 13 ottobre 2016 dopo 12 giorni di ricovero in ospedale, a Milano, è stato tante cose, ha avuto una vita piena. Ha dato tanto – tanta arte, tante idee, tanto amore, considerando il cordoglio sentito che molte voci stanno dimostrando in queste ore – e ha anche ricevuto: quel Nobel nel 1997 per esempio, che ha fatto tanto discutere e sorridere perché inaspettato, ma anche molto apprezzato.

Il Libraio

Dario e Franca sulla copertina del numero di maggio 2009 della rivista “Il Libraio”

Nasce nel 1924 a San Giano, un paesino sul Lago Maggiore: “Io venni al mondo fra un omnibus e un “merci”, in quella fermata sussidiaria a quattro passi dal Lago”, da una mamma artista e un papà capostazione da cui prende i geni, il nome e una voce potente come un fischio di locomotiva.

Lo usa tanto, quel treno, durante la sua giovinezza da pendolare: diplomato a Brera prima, studente in architettura al Politecnico poi (dopo la guerra), passa gli anni azzurri in viaggio tra una casa itinerante a inseguire gli impieghi del padre e la sua bella, amata Milano, sentita come casa adottiva. Durante la guerra Fo è chiamato alle armi sotto la Repubblica di Salò, ma avendo nelle vene sangue socialista, si nasconde in un sottotetto, mentre la famiglia dà un letto ai ricercati e ricuce i partigiani.

dario fo

Dopo la guerra Fo ritorna studente senza però laurearsi mai: lo spirito d’artista gli brucia tra le mani e così si dedica alla scenografia e lavora come aiuto architetto nello studio Chiuti. E intanto comincia a scrivere. Il suo stile è quello paradossale della fabulazione, che viene subito plaudito dai compagni di viaggio che affollano i treni e dagli studenti dell’accademia di Brera.

Finalmente si trasferisce con la famiglia a Milano, città in pieno fermento teatrale: nascono i primi teatri stabili e su tutti impera certamente Il Piccolo, che sviluppa la sua idea di “scena nazional-popolare”. Fo quel teatro se lo mangia. Sul fondo della sala, in piedi, racimolando a stento i soldi per acquistare il biglietto. Poi, nel ’50, decide di passare dai corridoi al palco. Si presenta all’attore Franco Parenti che di lì a pochi mesi lo scrittura. Fo abbandona tutto il resto: il posto nello studio Chiuti, anche l’università a pochi esami dalla fine. Il teatro diventa la sua vita; ed è qui che incontra l’altro amore che lo accompagnerà di lì in poi: Franca Rame.

Dario e Franca si sposano nel 1954 nella bella basilica milanese di Sant’Ambrogio, ma è a Roma che nasce il figlio Jacopo l’anno successivo. Fo lavora qui per la Rai già da qualche anno e, in collaborazione con la moglie, prepara una serie di pezzi brevi per il varietà Canzonissima, i quali vengono però continuamente attentati dalla censura. Fo è frustrato da questo bavaglio – che lo perseguiterà per tutta la vita, lui, così anticonformista e radicale – e decide dunque di abbandonare la televisione per dedicarsi anima e corpo alla sua passione teatrale. Commedie dal sapore farsesco, divertente e attenta satira di costume (tutte, per altro, poi redatte e pubblicate da varie case editrici nei decenni successivi). Fo ricorda la difficoltà con cui da giovane doveva aggiudicarsi i biglietti del Piccolo, decide perciò di parlare al suo pubblico in luoghi alternativi: piazze, fabbriche, case del popolo a cui chiunque potesse accedere, indipendentemente dal proprio salario.

Nel ’68 fonda anche un suo gruppo teatrale: si chiama Nuova Scena e si propone di ricordare al teatro la propria originaria valenza sociale. A La Spezia porta per la prima volta in scena la “giullarata” Mistero buffo: Fo, unico attore in scena, recita testi antichi in “grammelot” – linguaggio teatrale giullaresco che riprende la Commedia dell’Arte, è composto da suoni presi a prestito da dialetti differenti, con il risultato di allegra parodia -, traendone una satira tanto divertente quanto affilata.

Gli anni Settanta sono anche quelli dell’immersione politica: schieratosi con le organizzazioni extraparlamentari di estrema sinistra, fonda il collettivo La Comune, con cui stimolare il teatro di strada. È proprio del 1970, infatti, Morte accidentale di un anarchico: chiaramente ispirata al caso dell’anarchico Pinelli (anche se ufficialmente si ispira a un evento analogo avvenuto negli Usa all’inizio del ‘900); l’opera vede il commissario Sportivo, posizionare gli interrogati a cavalcioni di una finestra, intervenendo dunque nella polemica seguita alla morte del Commissario Calabresi. Sempre in prima linea dunque, su ogni questione.

Fo diventa famoso. Piace, piace moltissimo la sua vena anticonformista e anticlericale (che gli costa una feroce critica dal Vaticano), piace la sua costante opposizione a ogni forma di potere costituito, che lo rende non solo “scomodo”, ma antitesi degli intellettuali “tradizionali”. L’artista è capace di costruire perfette “macchine” per far ridere, sul modello delle farse e dei vaudeville, con rimandi alla Commedia dell’Arte, al circo e al cinema muto. Scrive testi che oltre ad avere una straordinaria vis comica, risultano anche godibili alla lettura.

ECCO ALCUNI DEI LIBRI DI DARIO FO:

Suo strumento preferito resta sempre la farsa, che fonde con una satira di rara efficacia. Col tempo la sua commedia si inserisce in un filone demistificatorio, nel tentativo di raccontare fatti e personaggi storici e d’attualità sotto una prospettiva alternativa – magari immaginaria – ma priva di degli stereotipi dipintovi dalla cultura ufficiale. Fo usa la risata per per mostrare che c’è sempre un motivo per cogliere il lato buffo della vita.

 

“Auspico un mondo senza corrotti, corruttori e corruttibili”: l’augurio di Dario Fo

Per tutto il tempo lavora come paroliere per molti cantanti e finalmente sbarca alla Scala di Milano, come regista, con Histoire du soldat, che poi porta in tutta Italia. Iniziato all’Opera, comincia a viaggiare per l’Europa: Parigi, Amsterdam. Porta in scena più volte Rossini.

Tra gli anni ’80 e ’90 collabora di nuovo con televisione e cinema, riuscendo – questo era l’intento – a parlare a un pubblico ogni giorno maggiore e di ogni estrazione sociale. Porta la risata nelle case degli italiani, una risata sincera sempre accompagnata da una sapiente critica alla società: ogni frase, ogni verso, ogni parola che Fo pronuncia o mima è intrisa fino all’ultima nota di scottante attualità – è per questo che suscita tanto scandalo.

Ma – forse – lo “scandalo” più grande gli arriva insieme al maggior riconoscimento: criticato come pochi è il premio Nobel per la Letteratura conferitogli dall’accademia Svedese nel 1997. Fo lo accetta, e ci ride su.

Due sono le lauree honoris causa che riceve – una nel ’99 e l’altra nel 2005 – la prima, insieme alla moglie Franca, dall’Università di Wolverhampton, la seconda dalla Sorbona. La sua carriera prosegue su ogni mezzo di informazione che gli permetta di parlare e di sentirsi vicino al suo pubblico. Anche quando nel 2013 muore la sua amata Franca, Fo non si abbatte e non smette di farsi sentire. Una voce allegra e perennemente fuori dal coro, squillante come quel familiare fischio di locomotiva.

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