“Elogio delle donne mature”, scritto in Canada da Stephen Vizinczey e uscito per la prima volta nel ’65, racconta la storia di un giovanissimo profugo ungherese con la passione per le donne più anziane di lui. L’adolescente Andras, alter ego dell’autore, trova le sue coetanee goffe e minacciose, e preferisce di gran lunga i rapporti con femmine adulte e responsabili, donne che hanno qualcosa da insegnargli, forse anche oltre al perimetro del sesso. Ma senza troppe sublimazioni: è proprio la sessualità quella che secondo l’autore ci preserva dall’amore eccessivo per il potere. Il sesso è la via alla libertà – come avrebbe detto e sottoscritto Henry Miller… – La riflessione di Mario Baudino

“In quel continente perduto che è stato la vecchia Europa, erano le relazioni tra gli uomini più giovani e le loro mature amanti ad avere la malìa della perfezione”. L’affermazione non è, anche se lo potrebbe sembrare, di Sebastien Japrisot, (pseudonimo di Jean-Baptiste Rossi), il cui romanzo La cattiva strada, scritto a 19 anni e pubblicato in Francia nel lontano 1950, è certamente delle più interessanti riscoperte di Adelphi in questo scorcio di anno. Japrisot, come sanno i lettori di ilLibraio.it, narra dell’innamoramento, nella Marsiglia occupata dai tedeschi, fra Denis, alunno quattordicenne d’un tetro collegio religioso, e suor Clotilde, che di anni ne ha 26 anni. Abbastanza scandaloso (e infatti venne ignorato) ma in fondo, come è stato osservato, non estraneo alla tradizione francese di autori giovanissimi e “coraggiosissimi”, come Raymond Radiguet o Francoise Sagan. E, si potrebbe aggiungere, alla lunga filiera libertina e illuminista legata al nome di Diderot e al suo romanzo sulla storia di una monacazione forzata (senza dimenticare la nostra Monaca di Monza, va da sé).

Il libro di Japrisot potrebbe però contenere una piccola trappola per il lettore. Siamo sicuri che si tratti proprio di questo, e cioè che ci stia parlando di una religiosa innamorata, e non forse di un altro tipo di rapporto? Qualcosa che ha a che vedere con la frase citata all’inizio, prelevata da un romanzo in apparenza di tutt’altro tenore, degno forse di rilettura? Il libro in questione è lElogio delle donne mature (Marsilio, traduzione di Maria Giulia Castagnone), scritto in Canada dall’ungherese Stephen Vizinczey e uscito per la prima volta nel ’65, con estrema difficoltà, ma destinato a una lunghissima vita. Venne considerato talmente scandaloso che sulle prime nessuno accettò di pubblicarlo. Lo scrittore fece tutto da solo: prese denaro a prestito, si improvvisò editore, distributore, pubblicitario di se stesso. Finì sui giornali e in tv come un caso bizzarro, e fu il successo. Si fecero avanti le grandi case americane, ne venne scelta una piccola e raffinata.

elogio delle donne mature

Vizinczey vendette più d’un milione di copie, ma non vide, ha sempre sostenuto, il becco d’un quattrino, perché aveva accettato senza pensarci un contratto capestro. Nulla lo apparenta a Japrisot, divenuto poi un giallista di fama, sceneggiatore, regista: salvo la straordinaria longevità di un romanzo nato nel cuore di un continente perduto. Venne ristampato nel tempo, e nel 2000 tornò ad avere un grande successo in Francia, per arrivare da noi (tradotto da Marsilio) nel 2004. Sono passati gli anni, ed è un peccato che oggi non sia così agevole trovarlo, anche se l’impresa non è impossibile. Ne vale la pena. La storia del giovanissimo profugo ungherese che, dopo una appassionata educazione sentimentale negli anni della guerra, impugna le armi contro i sovietici e prende nel ’56 la via dell’esilio, a onta del contesto drammatico, è una lieve, ironica saga dove al centro di tutto, proprio come un libertino del ‘700, il protagonista sembra voler narrare soprattutto la particolarità della sua scelta erotica: l’amore, appunto, per le donne di lui più anziane.

L’adolescente Andras, alter ego dell’autore (il romanzo ha una forte componente autobiografica) inizia a Napoli, nella città liberata dagli americani dove è arrivato fortunosamente, sbattuto dalle burrasche della guerra, la propria personale scoperta della sessualità, e di lì in poi non cambierà opzioni. Anche quando, tornato in patria e ricongiunto alla madre, alle coetanee che trova goffe e forse minacciose preferirà di gran lunga i rapporti chiari con femmine adulte e responsabili, donne che hanno qualcosa da insegnargli, forse anche oltre al perimetro del sesso. Ma senza troppe sublimazioni: è proprio la sessualità quella che secondo l’autore ci preserva dall’amore eccessivo per il potere. Il sesso è la via alla libertà – come avrebbe detto e sottoscritto Henry Miller. Per Vizinczey lo era nell’Ungheria stalinista, ma lo è stato anche nelle democrazie occidentali, dove lo scrittore approdò dopo la rivolta del ’56 contro gli invasori sovietici.

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Ebbe ancora una breve esperienza in Italia, aiutato da Ignazio Silone, dove scrisse per la rivista Il Mulino a proposito dei fatti ungheresi, ma presto si stabilì appunto in Canada: nel giro di cinque anni riuscì a impadronirsi dell’inglese letterario tanto da utilizzarlo per scrivere il suo capolavoro. Una volta gli abbiamo chiesto perché abbandonò l’ungherese, e la risposta fu: “Non ho mai creduto in una letteratura dell’esilio. L’esilio esiste, certo, ma in quanto mi permetteva e mi permette di guardare la realtà in cui mi trovo con un certo distacco, con una distanza. Niente di più”. Se proprio vogliamo trovare un riferimento, forse è a Nabokov – da lui specularmente rovesciato – che dobbiamo guardare: la sessualità che si indirizza verso le donne mature non è un gorgo, una vertigine o un’ossessione, semmai il punto più alto di gentilezza, amichevolezza, felicità, insomma, perfezione. Ma non è detto che il piccolo Denis di Japrisot, se proprio non lo ha pensato, non abbia oscuramente provato, tra brividi e commozioni, un sentimento assai simile.

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