La protagonista di “Sex and Rage. Consigli a giovani donne che hanno voglia di divertirsi” (originariamente scritto nel 1979) è Jacaranda Laven, una ragazza sopra le righe che si circonda di relazioni che la portano continuamente fuori rotta. Si presenta come un personaggio irresistibile, in perenne sospensione tra l’angoscia di non sapere cosa fare per se stessa e serate trascorse partecipando a feste esclusive di Los Angeles. Infatti Jacaranda conduce una vita da party girl. Che ricorda molto quella dell’autrice del libro: Eve Babitz… – L’approfondimento

«Motel, money, murder, madness 

Let’s change the mood from glad to sadness.»

(L.A. Woman, The Doors)

Sex and Rage. Consigli a giovani donne che hanno voglia di divertirsi di Eve Babitz, originariamente scritto nel 1979, è stato pubblicato qualche settimana fa da Bompiani, tradotto da Tiziana Lo Porto. Jacaranda Laven, la sua irrequieta protagonista, è una giovane donna in preda alla confusione esistenziale, benzina delle sue relazioni quanto del suo lavoro. Al sicuro pienamente solo quando ha l’oceano a due isolati, si circonda di amori e relazioni che la portano continuamente fuori rotta: per un periodo abita a West Hollywood, poi su una chiatta a Sacramento, per tornare sempre a Santa Monica.

sex and rage Bompiani

Divertente, a tratti lunatico, diviso in piccoli capitoli che sembrano quasi appunti di vita, la storia di Jacaranda è un racconto di una vita sopra le righe, che all’inizio stranisce e allo stesso tempo meraviglia il lettore per i suoi eccessi e le sue opportunità. Arricchito dai contrappunti del narratore, pagina dopo pagina Jacaranda diventa invidiabile, ma destinata all’inconcludenza, a ritrovarsi circondata da vite patinate e persone che abitano luoghi inaccessibili. Il frame del romanzo è Los Angeles, la città che si muove lenta e non pretende nulla, che offre incontri inaspettati e giornate futili.

Surfista, di famiglia di artisti e intellettuali benestanti, Jacaranda vive in simbiosi con la città, in uno stato rallentato, in perenne sospensione, fra l’accomodarsi nel jet set e l’angoscia di non sapere cosa fare per se stessa. Passa le sue giornate con persone conosciute a feste esclusive, coltivando rapporti elusivi, e quando la sua vita cambia perché arriva la possibilità di scrivere un libro, si tuffa in un’inutile attesa prima di correre a vedere cosa succede. Questa occasione arriva quasi per caso, e quasi controvoglia; arriva da una città che vive all’opposto e per lei respingente: New York City. Dovrebbe solo prendere un aereo, stare lì qualche giorno, accettare delle interviste, conoscere alcuni direttori di riviste, ma tanto basta per provocarle un improvviso ripensamento sulla sua vita sino a quel momento.

Il sesso e la rabbia a cui il titolo del romanzo allude trovano piena decodifica solo nelle battute finali, quando il narratore-Babitz accompagna Jacaranda e tutte le donne che hanno voglia di divertirsi a casa, dopo le giornate sobrie di New York City, e ci esplicita finalmente la ragione per la quale Jacaranda ha vissuto come abbiamo letto e il perché noi siamo rimasti inteneriti da lei, abbiamo tifato per lei, l’abbiamo sostenuta quando doveva seguire la sua occasione e l’abbiamo aspettata quando aveva bisogno d’aiuto. Le dipendenze di Jacaranda, quelle dall’alcol come quella dall’oceano, disegnano il contesto emotivo del romanzo e appaiono l’unica cosa che guida la vita della ragazza, l’unico mezzo possibile per decifrare il presente.

Il modo di raccontare di Eve Babitz è privo di sovrastrutture, è una terza persona naturale, che ci racconta di Jacaranda per quella che è, dei suoi blocchi come fossero esistenziali e dunque normalissimi, senza un peccato originale da espiare o una spiegazione morale e necessaria da condividere. A nessuno interessa quale sia la ragione profonda dell’irrequietezza di Jacaranda, né perché sia affascinata dall’idea di tirarsi indietro rispetto alla possibilità di dare un colore alla sua vita. Ci intriga solo sapere cosa le accade la pagina dopo. Jacaranda è irresistibile, a modo suo, e il filo che ci tiene legati a lei per tutto il romanzo è la pura narrazione, i fatti, gli incontri, gli scontri, i grilli parlanti che si avvicendano per portarla sulla giusta via e la sua ostinata fuga dalle decisioni importanti. A Jacaranda non chiediamo una redenzione, ma solo che alla fine possa essere felice.

Eve Babitz scrive un romanzo con protagonista una giovane donna che conosce a menadito: facciamo fatica a pensare che non sia lei e che la sua vita non le riguardi e automatico è il confronto con Slow Days, Fast Company. Il mondo, la carne, L.A. (Bompiani, 2017, trad. it. Tiziana Lo Porto), il suo memoir narrativo dove racconta degli anni Settanta a Los Angeles.

A Jacaranda potrebbe accadere una qualsiasi delle cose accadute a Eve Babitz, persino giocare nuda a scacchi con Marcel Duchamp, e l’esercizio ci verrebbe facile: di Babitz sappiamo abbastanza per trovare anche nella vita di Jacaranda i dettagli da party girl che le accomunano. 

La sua gioventù festaiola è la vita di Jacaranda; gli incontri tra attori e produttori, artisti e intellettuali che Babitz propiziava sono gli stessi che Jacaranda vede accadere; la famiglia Babitz è molto simile a quella Laven. E gli amori di entrambe hanno i toni del gossip e della rivelazione, ma Max, l’amore più importante nella vita di Jacaranda, sembra il dettaglio più stonato di tutto il romanzo, eppure il filo invisibile che guida le due parti del libro.

Nel rapporto con Max, Jacaranda accoglie idiosincrasie da ragazza poco abituata alla seduzione, staccandosi da Eve Babitz e rivelando la parte più insicura e fragile. Ciò che la perseguita – l’incapacità di decidere, la paura della delusione, il terrore di Max – ne fa un personaggio lontano quanto basta dalla sua creatrice. Dan Wakefield, scrittore, giornalista e sceneggiatore statunitense, racconta il suo anno insieme a Eve Babitz nel 1971, mettendo subito le cose in chiaro: “Men didn’t conquer Eve Babitz, she conquered them”, e Jacaranda non ne sembra mai nemmeno una volta capace.

Per domare un’onda bisogna avere una dote irrinunciabile: l’equilibrio, arte che Jacaranda rincorre per tutta la vita e a cui torna ogni volta che deve ripartire. Los Angeles è la città che propone il meglio che lei possa immaginare e l’oceano rispecchia la più profonda realizzazione per lei, anche se questa sembra essere fatta di niente. Ogni volta che con la tavola Jacaranda cavalca un’onda, rivive il copione di questa incessante e instancabile ricerca.

 

 

nota: l’autrice nel 1974 (lo scatto è di Mirandi Babitz)

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