“Girl”, imperdibile film d’esordio del ventisettenne Lukas Dhont, nelle sale dal 27 settembre, racconta la storia di Lara, un’adolescente nel corpo di un maschio che sogna di diventare una ballerina di danza classica – La recensione

Si è sempre un po’ scettici quando si sente parlare di “capolavori”, di “casi cinematografici della stagione”, anche quando ci sono recensioni, nomination e premi che confermerebbero il valore dell’opera in questione. Ma è difficile descrivere Girl, il film d’esordio del ventisettenne Lukas Dhont, senza fare riferimento a queste definizioni.

Forse si potrebbe iniziare raccontando la trama: Lara ha quindici anni e sogna di diventare una ballerina di danza classica. Si trasferisce insieme al padre e al fratellino di sei anni in un’altra città per frequentare una prestigiosa scuola di balletto, a cui dedica tutta se stessa.

Fin qui niente di particolare, se non fosse che gli sceneggiatori (lo stesso Dhont insieme a Angelo Tijssen), seguendo pedissequamente una delle principali regole della scrittura di un film, hanno preso il personaggio protagonista e l’hanno posizionato il più lontano possibile dal suo obiettivo: Lara infatti è un ragazzo, e per riuscire a farsi valere come ballerina deve confrontarsi ogni giorno non solo con le compagne di accademia, ma anche con il proprio corpo.

Il corpo di un maschio che cerca di assomigliare a quello di una femmina, attraverso le cure ormonali, i vestiti eleganti, il portamento raffinato, il nastro adesivo con cui schiaccia il pene fino a farlo completamente scomparire. Il corpo di un maschio che non aspetta altro che essere modificato, tagliato, operato, oppure semplicemente bucato ai lobi da un paio di orecchini dorati.

Perché, nonostante quel corpo, Lara è già una ragazza, esattamente come recita il titolo del film. Non è un caso che la scena iniziale ce la presenti inseme a suo fratello minore, mentre giocano di mattina tra le lenzuola. Il primo aggettivo con cui lo spettatore la descriverebbe è “materna”. Lara però è una ragazza, appunto, non una donna. Non ancora. E il film, in fondo, non è altro che la storia di un’adolescente che ha fretta di diventare grande, solo che, in questo caso, la posta in gioco è più alta: perché Lara mette a rischio il suo stesso corpo per diventare la persona che vuole essere.

La trasformazione passa prima di tutto per la danza, una disciplina doppia come la natura della protagonista, perché se da un lato sembra essere l’emblema della femminilità e della grazia, dall’altra è rigore, sopportazione e deformazione di quel fisico che Lara cerca di cambiare con tutte le sue forze.

La definizione personale e sessuale è trattata dal regista con una chiarezza necessaria ma per niente didascalica, in una società in cui identità di genere e orientamento vengono ancora confusi. In auto, quando il padre le chiede se a scuola c’è qualche ragazzo che le interessa, Lara risponde: “e chi ti ha detto che mi piacciono i ragazzi?”. Effettivamente, potrebbero piacerle anche le ragazze, potrebbe per fino non piacerle nessuno, perché di sicuro Lara non ha deciso di cambiare il proprio genere perché è omosessuale.

Ci sono stati vari tentativi di raccontare la transessualità al cinema, tra cui il lontanissimo Transamerica di Duncan Tucker, Tomboy di Céline Sciamma e recentemente The Danish Girl di Tom Hooper, eppure, prima di Girl, forse solo la serie Transparent di Jill Soloway (con cui però il film non ha niente in comune) e Laurence Anyways di Xavier Dolan sono riusciti ad affrontare l’argomento con la stessa precisione e delicatezza. Con quest’ultimo, in particolare, il film di Dhont ha più di un elemento in comune, probabilmente per la presenza di un personaggio protagonista memorabile (interpretato da Victor Polster, premiato come Miglior attore al Certain Regard) e per la giovane età dei due registi. Infatti, già in diversi articoli i loro nomi sono apparsi vicini, quasi a voler augurare a Dhont lo stesso percorso del cineasta canadese, considerato da molti uno dei talenti più brillanti di questo periodo.

 

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