“La guerra di tutti” è il nuovo libro di Raffaele Alberto Ventura (1983), autore di “Teoria della classe disagiata”, caso editoriale del 2017. Il saggio prende in esame alcuni eventi che hanno segnato la politica e la società occidentali dall’inizio degli anni duemila a oggi, e sono segni evidenti della crisi, non soltanto economica, in cui si trova l’Occidente. In un clima di violenza e tensione crescente, l’idea è che la possibilità di una nuova guerra civile sia alle porte e, in un certo senso, già in atto… – L’approfondimento

Autore di Teoria della classe disagiata, un saggio che molto ha fatto parlare fino all’anno scorso, Raffaele Alberto Ventura torna in libreria con La guerra di tutti, sempre pubblicato da Minimum fax.

Classe ’83, laureato in filosofia, Ventura vive a Parigi, dove si occupa di marketing per la prestigiosa casa editrice francese Gallimard. Nel tempo libero fa l’intellettuale part-time: nel corso degli anni i suoi articoli sono usciti su diverse riviste, online e non. Ma la piattaforma che più di ogni altra permette di seguire lo sviluppo del pensiero dell’autore è la pagina Facebook da lui gestita, Eschaton, dove dal 2004 posta e commenta articoli di diverse testate nazionali e internazionali, esprime le proprie opinioni sulla cronaca, la politica e la società.

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Teoria della classe disagiata è stato un caso editoriale nel 2017: presentazione dopo presentazione il volume dato il via a un ampio dibattito, oltre che a laboratori e incontri sul tema; non c’è rivista, blog, o quotidiano che non abbia dedicato qualche riga all’autore e al suo saggio. Il libro trattava della posizione in cui si trovano molti laureati in materie umanistiche che hanno portato a termine gli studi nella speranza di trovare un lavoro all’interno dell’industria culturale, trovandosi poi amaramente sconfitti nello scoprire che non c’erano abbastanza posti per tutti. Il saggio presentava il problema da un punto di vista filosofico, sociale ed economico, dando una forma più ordinata e approfondita a pensieri che l’autore aveva già espresso più volte nei suoi articoli e sulla pagina Eschaton.

Si può dire lo stesso anche del suo nuovo libro: dopo una lunga gestazione, La guerra di tutti elabora in modo più articolato e completo riflessioni cui Ventura ha accennato più volte, seppure a spizzichi e bocconi. Ed è l’autore stesso a confermarlo nella prefazione al libro: “Chi mi ha letto in questi anni ritroverà posizioni e impegni già espressi con una certa coerenza, ma qui ho tentato di inquadrare queste esperienze in un più ampio quadro storico e filosofico-politico come sintomi della dissoluzione di un ordine, quello della modernità”.

In quelle stesse pagine, l’autore scrive che “questo libro è il resoconto di un periodo nel quale siamo passati da una crisi economica a una crisi politica”. Il periodo di tempo, per quanto relativamente limitato, trattando degli anni duemila, è in realtà denso di eventi che si caricano di un significato non soltanto politico e sociale, ma anche simbolico. Si tratta delle “conseguenze culturali degli attentati dell’11 settembre 2001, il dibattito sul velo in Francia a partire dal 2004, l’ascesa dell’antipolitica in Italia dal 2006, gli effetti della crisi dei subprime del 2008, le trasformazioni dell’attivismo digitale a partire dal 2010, la crisi europea dei migranti iniziata dopo il 2013, gli attentati alla sede di Charlie Hebdo e al Bataclan nel 2015, le contraddizioni del politicamente corretto giunte a maturazione con la vittoria di Donald Trump negli Usa nel 2016 e infine la formazione del cosiddetto ‘governo del cambiamento’ nel 2018″. Ma questi sono soltanto i macro-fatti, perché l’autore in realtà espande la sua riflessione alle ricadute che questi hanno avuto sulla politica e sulla società, in un colossale effetto domino che li riunisce tutti in una sola cornice.

Se nella Teoria della classe disagiata Ventura utilizzava anche diversi testi letterari per meglio spiegare la materia trattata – Keynes e Marx venivano chiamati in causa al fianco di Goldoni e Balzac, per intenderci – le cose non sono cambiate, anzi; La guerra di tutti saccheggia l’immaginario collettivo traendone spunto per meglio rappresentare la crisi che vede in atto: icone musicali diventano simboli di teorie complottiste, pellicole cult rappresentano alla perfezione determinate posture sociali e i film di supereroi dicono di più della nostra società di quanto noi siamo disposti ad ascoltare.

Ed è così che tutti i nostri piccoli idoli, cantanti e fumetti preferiti, libri letti, film imparati a memoria, super eroi appesi in cameretta e singoli musicali che potremmo recitare a menadito, perdono la maschera: sono tutti sintomi – e, più spesso, simboli – di un sistema malato sul ciglio dell’implosione, e quand’anche non rappresentino la malattia si trasformano in eroi di una casa persa in partenza. Beyoncé, V per vendetta, Capitan America e Iron Man, Philip K. Dick, Paperon de Paperoni, Nicki Minaj e tanti altri. È La guerra di tutti, non si salva nessuno.

L’idea fondamentale del libro è che l’Occidente sia immerso fino al collo in una crisi che non è soltanto economica, ma anche politica, e in quanto tale investe ogni aspetto della società, consumando le fondamenta del vivere civile. Questa crisi, stretta parente delle illusioni create dalla società del benessere, è il motivo per cui, sostiene Ventura, dietro l’angolo ci aspetta la guerra civile. O almeno: “Non dobbiamo oggi temere una ‘guerra civile’ come quelle dei libri di storia, bensì temere coloro che tentano attivamente di realizzarla colonizzando la zona grigia in cui gesti e parole apparentemente innocenti contribuiscono a rendere accettabile la violenza. E dobbiamo soprattutto temere le conseguenze di questa possibilità, il modo in cui l’ipotesi della guerra civile struttura i rapporti sociali e alimenta una violenza ‘preventiva’: come insegnava la teoria dei giochi ai tempi della guerra fredda, si colpisce sempre per paura di essere colpiti dall’altro. Cosa sono i Salvini e i Trump se non la mossa aggressiva di una specifica fazione all’interno di un conflitto più ampio, una ‘guerra civile fredda’ in cui al posto delle armi ci sono le leggi dello Stato?”.

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