Le protagoniste di “Gun Love”, il romanzo di Jennifer Clement selezionato per il National Book Award 2018, sono due donne sole, che vivono in uno spazio ristretto che confonde quello emotivo: un campo roulotte della Florida – L’approfondimento

The old gunfighter stood on the porch
and stared into the sun
And relieved all the old days
back when he was livin’ by the gun […]
(The Last Gunfighter Ballad, Johnny Cash)

Pearl ha quattordici anni e vive con sua madre Margot in una vecchia Mercury scassata, parcheggiata in un campo roulotte della Florida. Questo ci basta per definire la cornice di Gun Love, il romanzo di Jennifer Clement pubblicato da poco in Italia da Bompiani (traduzione di Silvia Castoldi).

Clement, Presidente del PEN International, poetessa e autrice, è stata selezionata con questo romanzo per il National Book Award 2018.

Margot e Pearl sono due donne sole, empatiche, minute, vivono in uno spazio ristretto che confonde quello emotivo: l’abitacolo che diventa soggiorno, camera da letto e cucina, le mantiene costantemente raccolte, incide profondamente sulla loro capacità di affrontare i sentimenti e accoglierli in modo naturale. Pearl non conosce altro se non la Mercury e il campo roulotte, non ha idea di come sia fatta una casa piena di ricordi e cimeli di famiglia: i suoi sono custoditi come reliquie nel bagagliaio dell’auto.

Esiste un prima nella vita della ragazzina, che è la vita di sua madre, borghese, di buone maniere, che sa usare i guanti bianchi in chiesa, educata, ma è un passato che si intravede a tinte fosche, che ha un neo profondo incarnato dall’esistenza stessa di Pearl.

Esiste un prima e un dopo nella vita di Margot: quando Pearl non c’è e quando Pearl nasce, una cesura scandita dall’amore ed esiste, infine, un prima e un dopo nella formazione di Pearl.

I due campi della narrazione riassunti perfettamente nel titolo del romanzo – una pistola e un amore – sono le guide nelle esistenze di queste due donne, sono ciò che per loro segna il dilemma fra giusto e sbagliato, fra vita e morte, fra dentro e fuori, fra emotività e ragione.

Margot e Pearl sono disegnate a specchio l’una dell’altra, ma il racconto è condotto dalla ragazza, e questo origina la differenza sostanziale fra le due e determina la consapevolezza sottile di Pearl-narratrice della storia ma non di Pearl-figlia. Quest’ultima non ha mai davvero spazio in questo romanzo: si discosta spesso dai fatti descritti, come se i semi della sua narrazione – tempo e spazio – siano ineffabili.

gun love bompiani

Pearl-narratrice, infatti, trova ogni giustificazione possibile per ciò che le accade o accade a sua madre, che è “una tazza di zucchero, potevi prenderla in prestito quanto volevi”, mentre Pearl-figlia fa costantemente i conti con gli irrisolti di Margot e cerca di colmarne le lacune e le mancanze.

Pearl-narratrice fornisce il movente, Pearl-figlia preme costantemente il grilletto. E Margot, come gli altri personaggi, sta nel mezzo, ora in una squadra, ora nell’altra.

Margot è una donna mancata, perché è scappata sedicenne e incinta, sa trovare nell’amore che prova l’unica risposta a un’esistenza assurda.

In una delle precedenti opere dell’autrice, La vedova Basquiat. Una storia d’amore (traduzione italiana a cura di Andrea Vincre, Mondadori Electa, 2016), la compagna e musa di Jean-Michel Basquiat, Suzanne Mallouk, racconta la loro storia d’amore fatta di tormenti e poesia, secondo un’epica dolce e amara al tempo stesso. L’amore in quel caso si trovava spiegato tanto in un contesto intimo quanto in uno pubblico, dove la comunità degli artisti e intellettuali li racchiudeva e li coccolava, in un senso li definiva. Susanne Mallouk era una Margot France più eccessiva e meno spaventata; Margot, invece, non vive di epica, la sua vita somiglia molto di più alla cronaca, non si sublima nel riscatto o nella rivincita, ma anzi: depaupera ogni pagina un po’ di più.

Quando Pearl ci presenta Margot come una tazza di zucchero da poter prendere in prestito ci sta dicendo, come in una perfetta ballata country, che sua madre è in costante prestito emotivo, che le basta una tazza per vivere e la vediamo rannicchiata in uno spazio angusto, lo stesso che Pearl e Margot vivono e lo stesso che anche gli altri nel campo roulotte abitano.

Nel campo non esistono confini né muri che non si possano attraversare: “Nel campo roulotte tutti vendevano qualcosa, promettevano qualcosa o sognavano qualcosa. Nessuno credeva in niente. Non ci voleva molto a capirlo”.

Pearl ruba sigarette, si introduce nelle roulotte altrui, trova spazio dove può quando la Mercury è occupata. Margot pensa per sé, Pearl pensa per sé, si incontrano nella loro auto e quando ciò non è più possibile smettono di incontrare chiunque. Il tempo nella vita di Pearl è scandito da poche cose: la scuola, le uscite con April May, la chiesa alla domenica, le passeggiate lungo il fiume, i momenti sospesi all’interno della Mercury, dove la coscienza di Margot, il suo bagaglio sentimentale occupano tutto il posto possibile.

I personaggi del romanzo hanno una vita esclusivamente inserita nel campo roulotte. Sanno e vedono tutto, costruiscono abitudini e consuetudini da piccola comunità – la chiesa, il vicinato, le dicerìe – e la società di cui fanno parte è ristretta e silenziosa; la comunità che frequentano li soffoca e li spegne.

Il romanzo è diviso in luoghi e spazi circoscritti, descritti nella loro asfitticità e incancreniti dal tempo che passa: il fiume è pieno ora di alligatori, ora di inquinamento, ora è una discarica per giocare e sfidarsi; le roulotte accolgono le famiglie senza far rumore, quasi come se una volta entrate le persone si volatilizzassero all’interno; la Mercury di Margot e Pearl è l’unico posto aperto e all’aperto, l’unica non-casa in cui il futuro è immaginato attraverso il gioco delle bambole: quando si mima a prendere il tè, o si sogna la vita adulta.

Questa storia non è mai felice, nemmeno quando il cielo oltre i finestrini della Mercury è pieno di stelle; la precarietà della vita di Margot e Pearl ci contagia, ogni personaggio che incontriamo – Corazòn, Leo, April May, il pastore Rex, Eli, i genitori di April May, perfino Noelle – sembrano incarnarla appena si avvicinano alla Mercury scassata.

Il suono di una ballata alla Johnny Cash che si amplifica fin dalle prime righe ci fa stare sempre sull’allerta: qualcosa sta per accadere, qualcosa sta montando all’orizzonte, a un certo punto ci arriverà un treno dritto in faccia.

L’AUTRICE – Elena Marinelli vive e lavora a Milano, ma è nata in Molise, vicino a un passaggio a livello. Ha scritto per Abbiamo le prove, l’Ultimo Uomo e Gli 88folli. Il terzo incomodo (2015) è il suo primo romanzo. Qui i suoi articoli per ilLibraio.it.

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