I racconti di Marta Morazzoni mettono in scena le immagini più fosche e quelle più appassionate della mitologia, innescando un meccanismo di immaginazione che, facendole rivivere, le allarga, le approfondisce, mutandole senza che il mito cambi la sua potenza. Regalando ai contorni di queste storie una nuova umanità, che conosce anche la malinconia… – L’approfondimento

“I miti non hanno un luogo, abitano la nostra testa e la fantasia”.

Ne Il dono di Arianna di Marta Morazzoni (Guanda), il sole è abbagliante sulla testa di Teseo che non ricorda nulla del suo duello con Asterione. È un corpo sofferente quello che esce dal labirinto e che, ubriaco di vino e dei canti dei giovinetti in festa, si interroga su quanto è successo. Un Teseo colpevole di delitto e in preda all’amnesia, un Minotauro malato di solitudine, e lei, Arianna, una ragazzina con la gonna corta: i miti greci abitano la fantasia, se ne nutrono e si reinventano, arricchendosi di storie, di terre calpestate dai soldati prima, dai turisti vestiti di bianco adesso.

Ne Il dono di Arianna ci sono monache nere sulle porte dei monasteri, a vegliare sugli dei e a conservarne ricordi e crudeltà, e dei in sembianze umane che escono dalle acque, incontrano i propri figli e li disprezzano per la loro superbia.

“Gli dei sono imprevedibili e non è detto che abbiano un occhio di riguardo per la specie umana”.

In una cena carica di sguardi ha origine la scintilla che scatenerà le più grandi sciagure, un amore clandestino, un oltraggio tra popoli. Elena e Paride Alessandro si guardano e si desiderano, e appaiono niente più di quello che sono, due giovinetti con la stessa leggerezza di “due fratelli per caso riuniti dopo una lunga separazione, con mille sciocchezze da dirsi”.

La storia nasce così, Elena che scappa nella notte, con i suoi gioielli stretti al petto, sballottata su un carro rubato a un contadino. Clitemnestra è una donna forte e matura, consapevole del tempo che passa, e della giovinezza che abbandona il suo corpo, e di fronte a Egisto avverte la seduzione di un giovane con cui fermare il tempo, prima del rientro del re dei re, stanco e reso ancora più rozzo dalla guerra. Scoprirà il veleno dell’ossessione e della gelosia, donna prima che regina.

I racconti di Marta Morazzoni mettono in scena le immagini più fosche e quelle più appassionate della mitologia, innescando un meccanismo di immaginazione che, facendole rivivere, le allarga, le approfondisce, mutandole senza che il mito cambi la sua potenza. Regalando ai contorni di queste storie una nuova umanità, che conosce anche la malinconia. 

Così il vecchio Nestore re di Pilo, uomo di grande saggezza e esperienza, parla con Agamennone, ascolta la “storia di donne” che ha creato il dissidio con Achille e, in riva al mare, rivela la sua debolezza: la nostalgia per la vasca da bagno. Immerso nell’acqua calda, a dare sollievo alle ossa stanche, guardando la baia di Pilo: così si rivede, e quello è il suo sogno di pace. 

C’è la saggezza dell’uomo che ha vissuto e non ha pudore nell’ammettere: “anima e corpo sono davvero molto simili. Hanno le stesse debolezze”.

Il mito ha questa forza, quella di poter parlare a distanza di secoli con la stessa intensità, anche cambiando voce. E, uscendo dalla rigidità del testo scolastico, dimostra di essere ancora vigoroso, capace di offrire le stesse olive profumate sulla piana di Maratona, quelle della migliore annata, nel silenzio carico di tensione prima della battaglia.

Ed è capace, allo stesso tempo, di restituire un dialogo senza età, senza polvere: quello tra una moglie e un marito che si interrogano sul futuro della figlia, un dialogo che si ripete uguale da secoli. È la saggia moglie a riprendere con ironia Alcinoo padre di Nausicaa: “Ma il criterio con cui scegliere un marito per una ragazza non è che sia un amico per il padre di lei, non credi?”. 

Perché Odisseo fa paura, è praticamente un  vecchio, non va bene per un’adolescente, e allontanarlo è un sollievo.

Il dono di Arianna regala una nuova confidenza con la mitologia, i suoi protagonisti, i luoghi e gli eventi e lo fa senza schemi e in totale libertà creativa. Eroi, dei, uomini e donne rinnovano i loro incontri ridando calore all’immortalità e alla storia, con un sorriso a tratti ironico, rivolto a chi ingenuamente pensa di poter competere con gli dei.

“Come sono ridicoli gli umani, assetati di eternità”.

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