In Danimarca l’empatia si studia a scuola, un’ora a settimana, dai 6 ai 16 anni. Su ilLibraio.it il commento della scrittrice e insegnante Simonetta Tassinari, secondo cui le lezioni di empatia servirebbero anche in Italia: “Potremmo chiamarla l’ora del rispetto reciproco…”. E ancora: “Si può essere espansivi e superficiali, espansivi ed egoisti, e non sviluppare, inclini all’individualismo come molti di noi sono (siamo), il necessario rispetto per le motivazioni degli altri, siano compagni di scuola o familiari, colleghi o superiori…”

Empatia significa “sentire dentro”, “mettersi nei panni dell’altro”. L’empatia, come riporta Wikipedia, è la capacità di comprendere a pieno lo stato d’animo altrui, sia che si tratti di gioia, che di dolore. Peccato che, stando a una ricerca  dell’Università del Michigan, tra i giovani americani c’è un calo molto forte del livello di empatia. Aumentano, come ha raccontato il Corriere della Sera, narcisismo e perdita di empatia. Le cose vanno diversamente in Danimarca, dove, addirittura, l’empatia si studia a scuola, un’ora a settimana, dai 6 ai 16 anni. In Danimarca, infatti, l’empatia “è considerata uno strumento fondamentale per avere adulti felici e sereni”. Ecco il commento di Simonetta Tassinari *, insegnante e scrittrice:

Secondo i geografi deterministi dell’Ottocento, che erano quasi tutti tedeschi, l’indole di un popolo è fortemente influenzata dal clima (il che, per certi versi, è anche vero, senonché i deterministi lo prendevano per un dogma). Di conseguenza associavano agli italiani, al di là della barriera delle Alpi e soggetti a un clima sicuramente più dolce del loro, la caratteristica della “espansività”. Ed “espansivi ” ci considerano tuttora all’estero, e ci consideriamo anche noi, insomma contraddistinti da una particolare vivacità nei rapporti sociali, da una disinvoltura e da una facilità nell’instaurare legami di amicizia che non hanno molti paragoni (forse gli spagnoli. E nessun altro). Sicché in apparenza non dovrebbe riguardarci la notizia che nel Nord Europa, in particolare in Danimarca, è stata introdotta nelle scuole l’ora settimanale di “empatia”, con la quale- il termine è mediato dalla psicologia- s’ intende la capacità di comprendere lo stato d’animo altrui e di immedesimarsi nel prossimo per stabilire contatti più sinceri ed efficaci, il che ci renderebbe, in generale, anche più felici e soddisfatti. Durante l’ora di empatia nelle scuole danesi si dialoga, si forniscono informazioni anche personali, si esprime il proprio sé; si assaggia un dolce, ci si apre, insomma, e, mentre si svelano dubbi, paure e conflitti, li si condivide.

Bene, vorremmo dire; tuttavia ci verrebbe anche da aggiungere che i nordici ne hanno molto più bisogno di noi, laconici, riservati e, in fondo, un po’ malinconici come spesso ci appaiono. Addirittura potremmo immaginare l’ora di empatia come una specie di “Bambini e Adolescenti anonimi” radunati in cerchio, alla ricerca di calore umano mentre fuori è freddo e buio. Eppure un’ora così congegnata sarebbe utilissima anche ai nostri bambini e ai nostri ragazzi. Perché “espansivo” non significa automaticamente “attento” a quel che accade nella mente, nell’animo della gente; passare dal soggetto “io” al soggetto “lui/lei/ loro” non è così semplice, né immediato; si può essere espansivi e superficiali, espansivi ed egoisti, e non sviluppare, inclini all’individualismo come molti di noi sono (siamo), il necessario rispetto per le motivazioni degli altri, siano compagni di scuola o familiari, colleghi o superiori. Quel che ci manca è, molto spesso, lo scambio; vogliamo parlare di noi (e tendenza universale è quella di vedere se stessi in una luce più positiva rispetto a come ci vedono gli altri), ma ascoltiamo distrattamente, poco interessati, se qualcun altro lo fa di se stesso; poco ci importa, se la nostra casa è tirata a lucido (non certo la mia), che il marciapiede fuori dal portone sia colmo di rifiuti( chi ci si imbatte, s’arrangi); incontriamo bambini che scorrazzano rumorosamente nei ristoranti, lasciati allo stato brado dai genitori forse stanchi o esasperati (l’ho fatto anch’io), bambini che non si curano affatto delle reazioni o del fastidio degli avventori, non li considerano minimamente, altro che empatia, forse perché nessuno ha insegnato loro a immedesimarsi negli altri, una trasposizione che sicuramente favorirebbe il senso del rispetto.

Ma si può davvero insegnare, l’empatia? Non si tratterà, come l’intelligenza, o la sensibilità, di una qualità naturale, sul genere di una predisposizione per la matematica o la composizione musicale? Alcune persone ne sono dotate naturalmente; penso ai venditori nati, i quali si immedesimano così tanto nelle aspettative altrui, nei desideri e nelle richieste, da prevenirle, addirittura, e da convincere a un acquisto descrivendolo in modo che appaia confacente a una necessità reale o presunta. Alcuni politici, alcuni oratori, alcuni trascinatori, alcune personalità carismatiche, ugualmente, sono talmente (e talvolta disastrosamente) così empatici da piegare gli altri ai loro fini. Eppure la capacità di mettersi nei panni degli altri è presente in chiunque (altrimenti non ci capiremmo neppure); e quello che è presente, magari allo stato latente, e privo di riferimenti, si può sviluppare e e ampliare, così come si fa con l’educazione alla salute e l’ educazione alla cittadinanza. Prevedere anche nella scuola italiana un’ora simile, che potremmo chiamare l”ora del rispetto reciproco”, o, ancora, l’”ora delle competenze sociali” ne farebbe prendere in considerazione il concetto, darebbe importanza a quel che sottointende, senza bisogno di particolari programmi o strutture. Con questo tipo di esercizio, sicuramente anche catartico, e perciò capace di indirizzare verso la felicità e la soddisfazione personale, si cercherebbe di far allargare ai bambini e ai ragazzi la la platea dei proprio confidenti, superando il confine del compagno di banco o della migliore amica. Si comincerebbe dalla scuola a sentirsi come gli altri, perché confessare le proprie insicurezze è anche il primo passo per superarle; si potenzierebbe la capacità di ascolto e di autoascolto. Saranno la vita, saranno gli incontri, saranno le esperienze, con il tempo, a perfezionare l’empatia, o a soffocarla; tuttavia il tentativo di generarla o di rafforzarla, nei nostri alunni, andrebbe perlomeno compiuto.

L’AUTRICE * – Nel 2015 Simonetta Tassinari ha pubblicato La casa di tutte le guerre, romanzo ambientato in Romagna nell’estate 1967. Il 6 ottobre il suo ritorno in libreria, sempre per Corbaccio, con La sorella di Schopenhauer era una escort.

Sarà un libro per i genitori, per i ragazzi, per chi non è genitore e non è neanche un ragazzo, per i curiosi, per chi vuole sorridere, e leggere, della scuola italiana.  Un ritratto divertente della generazione smartphone-munita, che va alla radice del bisogno di fingersi più bravi di quel che si è..
L’autrice è nata a Cattolica ed è cresciuta tra la costa romagnola e Rocca San Casciano, sull’Appennino. Vive da molti anni a Campobasso, in Molise, dove insegna Storia e Filosofia in un liceo scientifico. Ha scritto sceneggiature radiofoniche, libri di saggistica storico- filosofica e romanzi storici.

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