“In superficie si galleggia, o si può nuotare evitando di guardare il fondo. Può essere una tecnica di sopravvivenza, ma il problema è che se rimani in superficie non capisci niente”. Nell’intervista a ilLibraio.it Diego De Silva parla del suo nuovo libro, una raccolta di frammenti a metà tra il divertissement e l’esperimento, che ci portano a riflettere sulle banalità con cui siamo abituati a vivere. E in cui c’è molto spazio per l’amore, “l’esperienza umana in cui si cade più facilmente nel ridicolo”

Diego De Silva è tornato in libreria con Superficie (Einaudi), un librino a metà tra il divertissement e l’esperimento: si tratta di frammenti legati al nostro vivere “in superficie”, frasi fatte e stralci di discorsi che, spesso nostro malgrado, sentiamo per strada o nei negozi. I frammenti, manipolati e riaggregati in vicinanze scomode, creano nell’immediato una risata, ma ci portano anche a riflettere sulle banalità con cui siamo abituati a vivere. O sopravvivere, in superficie, appunto. Per saperne di più, ilLibraio.it ha intervistato l’autore.

Superficie Diego De Silva

Nel suo Superficie, è il quotidiano al centro delle riflessioni e dell’ironia: spesso è la giustapposizione dei luoghi comuni a far scappare immediatamente una risata. Per molte persone vivere in superficie, senza mai scendere in profondità, è rassicurante. Lei cosa ne pensa?
“Che è vero: in superficie si galleggia, o si può nuotare evitando di guardare il fondo. Può essere una tecnica di sopravvivenza, ma il problema è che se rimani in superficie non capisci niente. Allora cosa fai? Vai a orecchio, ti affidi al sapere corrente, che, essendo un sapere di superficie, fatto di pensieri e parole rimasticate e modaiole (che so, ‘Geopolitica’, ‘Narrazione’, ‘Transfert’ – ma molti, fateci caso, omettono la t finale, confondendo Freud con Uber), ti escono di bocca quasi a tua insaputa, come fossi un pappagallo automatico, che si ammaestra di default”.

La politica e le storie d’amore sono due dei temi più ricorrenti in Superficie: distacco ironico per puro divertimento o è un modo come un altro per “sopportare” lo stato delle cose?
“Anche l’amore è pieno di luoghi comuni, battute di dialogo scopiazzate (magari neanche apposta) dal cinema o dalle canzonette. L’amore è l’esperienza umana in cui si cade più facilmente nel ridicolo, per cui era inevitabile che si prendesse i suoi spazi nel libro”.

“L’amore di questo secolo sviluppa molte più patologie di una volta” (p. 31). Sarà per questo che continua a essere una grande fonte d’ispirazione letteraria?
“Continua a esserlo perché racconta il costume di un popolo e la sua psiche, che nel periodo che stiamo attraversando è sempre più fragile e dissestata. Ma il problema – mi pare – è che la maggioranza dei dissesti psichici contemporanei causati da rapporti sentimentali non vengono tanto dal dolore (che è un’esperienza di conoscenza, dunque di profondità), ma dalla stupidità (che è tutta superficie)”.

La domanda compare nel suo libro, e ora la giriamo a lei: ma il tempo è un galantuomo o un tiranno? E il tempo della scrittura?
“Tiranno, ovvio. Basta farsi un selfie ogni otto/dieci mesi e scovare le differenze senza neanche aguzzare più di tanto la vista. Conosco gente – giuro – che si photoshoppa i selfie, perché non resiste alla crudeltà del confronto. Quanto al tempo della scrittura, è una categoria indefinita, sempre più frastagliata e difficile da comprimere in misure predeterminate. Gli scrittori contemporanei (come chiunque altro, del resto) fanno vite troppo stupidamente frenetiche per sedersi alla scrivania otto ore al giorno, come faceva Moravia”.

Ora si sorride ironicamente, ora con un po’ di sarcasmo. Nei suoi frammenti si leggono i grandi frammentisti del passato, che hanno sperimentato l’aforisma o in genere la forma breve, spesso critica della società. Un nome su tutti? Ennio Flaiano, ad esempio. È un lettore di frammenti? Se sì, quali autori sono irrinunciabili?
“No, non sono un archivista di frammenti e di aforismi. Credo che i migliori appartengano al flusso della scrittura: poi capita che ogni tanto ne localizzi qualcuno che la sa più lunga degli altri, e allora lo isoli. Davanti a Flaiano, ovviamente, m’inginocchio”.

Nel suo libro, compaiono anche alcuni luoghi comuni lessicali, come “assolutamente sì”, “attimino”, spesso tacciati di essere parole orrende. Quali espressioni la infastidiscono maggiormente? È anche lei vittima di qualche moda lessicale?
“Certamente. Nessuno è immune alla superficie. Capita spesso di sentirti uscire di bocca delle frasi ridicole che ti fanno vergognare mentre le pronunci, è inevitabile. Infatti quello che mi auguro è che, dopo aver letto Superficie, uno inorridisca nell’attimo in cui sta per rispondere ‘Assolutamente sì’ alla più ovvia delle domande (tipo: ‘Mi passi le sigarette?’), o gli venga da dire ‘Sto elaborando un lutto’, se un amico gli chiede come sta, da quando la fidanzata l’ha lasciato”.

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