Ne “L’artista del coltello” di Irvine Welsh tornano i personaggi del suo romanzo cult, “Trainspotting”, e diventa protagonista assoluto uno dei più sgradevoli e meno empatici, Francis Begbie. Il libro, preso da solo, si lascia leggere come un thriller – o, meglio, come un “polar”, dove nessuno è buono o cattivo…

Aprire un nuovo romanzo di Irvine Welsh nel 2016 è come andare al concerto di un gruppo musicale sperando solo che arrivi il momento in cui suonano la canzone che li ha resi famosi vent’anni fa, anche se loro nel frattempo hanno fatto carrettate di dischi, alcuni molto belli. Il pubblico per un po’ abbozza, poi comincia a chiedere a gran voce quella canzone. E loro, alla fine, la cantano sempre.

Diventato giustamente noto grazie al suo romanzo d’esordio, Trainspotting, che tanti riflettori fece puntare sulla Scozia come astro nascente della letteratura mondiale, e diventato ancora più famoso grazie al film che da Trainspotting fu tratto, Welsh ha continuato a pubblicare un libro ogni due anni, affermandosi al di là del primo successo. A intervalli regolari, però, torna sul luogo del delitto. Abbiamo avuto il sequel di Trainspotting, Porno, con gli stessi anti-eroi ripresi a distanza di un decennio; poi c’è stato un prequel, Skagboys, incentrato sulla loro giovinezza. Welsh, va detto, è uno che si affeziona facilmente alle sue creature, se lo stesso gioco l’ha ripetuto con Crime, ottimo seguito di Il lercio, e con Godetevi la corsa, seguito da Colla. E non stiamo nemmeno a contare le infinite comparsate fatte da questo o quel personaggio minore, che andrebbero a formare un universo a parte. Il risultato è che i suoi romanzi “indipendenti” sono per tanti versi migliori, ma li leggono relativamente in pochi. Arrivato a questo punto, Welsh si gioca l’asso pigliatutto: L’artista del coltello (Guanda) è il primo libro dove diventa protagonista assoluto uno dei suoi personaggi più sgradevoli e meno empatici, Francis Begbie, lo psicopatico violento che si aggira nella serie di Trainspotting, sempre pronto a scatenare il panico senza motivo, temuto come la morte dai suoi stessi compagni di scorribande. Stavolta, però, Welsh gli regala un nuovo inizio tanto improbabile quanto seducente: Begbie ha infilato la retta via grazie all’amore di una donna più giovane, la bella Melanie, psicoterapeuta conosciuta in prigione; si è trasferito con lei al sole della California, è diventato un marito e un padre esemplare, e ha fatto fortuna come scultore, incanalando la sua furia nella realizzazione di busti di celebrità orrendamente sfigurati. Gli va tutto bene, almeno in superficie. Fino a quando un lutto in famiglia lo costringe a tornare in Scozia, dove resta da vedere se l’ex cattivissimo ragazzo riuscirà a mantenere l’autocontrollo necessario a non mandare tutto di nuovo in rovina.

Il romanzo, preso da solo, si lascia leggere come un thriller – o, meglio, come un polar, dove nessun personaggio in campo è buono o cattivo. L’abilità di Welsh sta nell’aver trovato qualcosa di davvero nuovo da raccontare anche sul conto di un personaggio che i suoi lettori affezionati conoscono come un vicino di casa. E il gioco funziona su due livelli: da un lato vorremmo che Begbie restasse buono, dopo tutta la fatica che ha fatto per diventarlo, dall’altro non vediamo l’ora che si sgranchisca le gambe e riprenda a comportarsi come il pazzo che conoscevamo bene. A credito ulteriore di Welsh, la stessa ambiguità si ritrova nei personaggi del romanzo: il Begbie adulto, col beneficio della distanza, capisce quanto gli amici di un tempo cercassero di manipolarlo, provocando i suoi scatti di violenza per risolvere le situazioni senza sporcarsi loro le mani. A trovargli un vero difetto, si sarebbe potuto fare a meno delle ultimissime pagine, che sembrano lasciare il finale aperto solo per preparare l’ennesimo capitolo della saga.


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