Robert Louis Stevenson è uno dei più famosi autori di libri di avventura: non solo per ragazzi, le sue storie di pirati e cavalieri hanno affascinato generazioni e il suo romanzo più celebre è sicuramente “L’isola del tesoro”. Lo ricordiamo con un approfondimento dedicato alla sua vita e ai suoi libri

Da giovane Robert Louis Stevenson ha ben chiara una cosa: non vuole somigliare a suo padre. Lo ha anche messo per iscritto, con il cugino Bob, nell’atto di costituzione dell’LJR Club (dove L sta per liberty, J per justice e R per reverence): “Ignorare tutto quello che i nostri genitori ci hanno insegnato”. Stevenson, magrissimo, con i capelli lunghi e i vestiti che ricordano molto quelli di un suo contemporaneo francese, Charles Baudelaire, si dichiara ateo e socialista e, dopo una carriera universitaria burrascosa che lo porta da ingegneria a giurisprudenza, sceglierà di passare la vita a fare quello che da sempre gli riesce meglio: raccontare storie.

Robert Louis Stevenson: un cantastorie bohémien

Nato in Scozia nel 1850, in una famiglia di costruttori di fari, Robert Lewis Stevenson (cambierà il secondo nome in Louis successivamente) è un bambino gracile, che ha ereditato i polmoni deboli della famiglia materna e soffre spesso di bronchite. Costretto a letto per lunghi periodi, il piccolo Robert viene curato da Cummy, infermiera di fede calvinista che accende la sua passione per le storie raccontandogli episodi della Bibbia. Da allora Stevenson, che pure impara a leggere tardissimo, ben oltre il compimento dei sette anni, non smetterà mai di inventare favole, prima raccontandole a voce e dunque divertendosi a scriverle. Se ci sono autori che scoprono il loro talento in età avanzata, non è certo il caso di Stevenson, e i suoi successivi fallimenti universitari non sono altro che l’inevitabile segno del destino.

Affascinato da uno stile di vita bohémien, Stevenson litiga ben presto con il padre e, già collaboratore di varie riviste per cui scrive saggi, reportage di viaggio e racconti, si dedica anima e corpo alla scrittura; unica attività che gli dà gioia e che non gli crea troppi problemi durante i lunghi periodi di malattia che lo continuano a tormentare. A esacerbare ulteriormente i rapporti famigliari, tuttavia, si aggiunge un ulteriore problema: l’amore. Stevenson infatti resta affascinato da una donna che conosce durante un viaggio in Francia, a Grez. Si chiama Fanny Osbourne, è americana e sposata con un reduce della Guerra Civile, fedifrago impenitente che, stufa dei suoi tradimenti, ha lasciato in patria per trasferirsi in Europa con i due figli.

L'isola del tesoro di Robert Louis Stevenson

L’isola del tesoro, un successo nato per caso

Non è strano che, poco dopo il divorzio di Fanny dal marito, Stevenson la raggiunga in America per sposarla. L’autore, tanto debole fisicamente quanto attratto dalle avventure, per terra e per mare, è abituato a viaggiare, e superare l’oceano non è altro che una nuova esperienza per riempirsi gli occhi e tradurre in parole tutto quello che vedono.
Siamo nella seconda metà dell’Ottocento, e nei circoli letterari vanno di gran moda i romanzi sociali e realisti, ma Robert Louis Stevenson (che peraltro crescendo diventerà conservatore) è interessato a un altro tipo di storie, ispirate al Robinson Crusoe di Daniel Defoe e all’Ivanhoe di Walter Scott.

Assetato di vita come di racconti, i primi anni Ottanta sanciscono la stesura di quel romanzo che, tanto criticato quanto popolare, darà a Stevenson la fama che merita: L’isola del tesoro. Pubblicato nel 1881 a puntate sulla rivista Young Folks, il libro nasce in un momento di gioco, quando l’autore, tornato in Europa con la famiglia, disegna al figlio minore di Fanny una mappa del tesoro. Basta quel foglio creato per gioco a mettere in moto la fantasia irrefrenabile di Stevenson, che vede nascere volti, vicende e relazioni. Come nei suoi reportage (ad esempio Nei mari del sud, che racconta il viaggio alle Hawaii del 1888), Stevenson riesce a trasmettere anche nelle storie fantastiche la potenza degli elementi e della natura che circonda i suoi personaggi.

Il romanzo La freccia nera di Stevenson

Dalla Freccia nera allo Strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde

Sempre del 1883 è un romanzo storico che, pur non essendo fra le massime espressioni della scrittura di Stevenson, diventerà un classico dell’infanzia. Si tratta della Freccia nera, uscito inizialmente a puntate sempre su Young Folks, racconta una vicenda “di armi e di amori” che si svolge nel periodo della guerra tra Lancaster e York in Inghilterra. La freccia nera è un romanzo debole sotto molti aspetti (Fanny, prima critica del lavoro del marito, non aveva esitato a bocciarlo), in cui i personaggi sono raccontati in modo abbastanza superficiale, senza la caratterizzazione psicologica in cui pure Stevenson era molto abile. Nonostante questo i personaggi riescono ad essere credibili e la storia coinvolge comunque il lettore.

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Di ben diversa profondità psicologica è invece Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde, del 1886, che racconta in forma di horror una vicenda di sdoppiamento della personalità. Le atmosfere sono gotiche e ricordano molto da vicino quelle delle storie di Edgar Allan Poe, e d’altronde leggenda vuole che Stevenson abbia sognato parte della trama durante una notte di allucinato malessere. Rilevante che, anche in questo caso, l’opinione di Fanny non sia stata positiva e, anzi, abbia portato Stevenson a riscrivere l’intero racconto. Sembra in fatti che nella prima stesura, velocissima, l’autore avesse impostato la storia come una sorta di resoconto poliziesco e, solo su consiglio di Fanny, abbia poi riscritto il testo per renderlo più allegorico e consegnare ai posteri il capolavoro che tutti conosciamo.

Dottor Jekyll e Mr Hyde di Stevenson

Stevenson, tusitala delle isole Samoa

Tornato dunque in America dopo la morte del padre, Stevenson imbarca – letteralmente – la famiglia per un viaggio nell’oceano Pacifico. Inizialmente organizzato per scriverne un resoconto su commissione, l’avventura per mare darà a Stevenson un tale benessere fisico e psicologico che deciderà di trasferirsi in quelle isole selvagge. La scelta cade dunque – dopo una breve parentesi a Honolulu – su Upolu, una delle isole Samoa, dove Stevenson sviluppa un profondissimo legame con i suoi abitanti: li aiuta a imparare nuovi lavori e li difende dai soprusi dell’uomo bianco. L’affetto dei samoani nei suoi confronti è tale che cominciano a chiamarlo tusitala, letteralmente “narratore di storie”.

Se Stevenson era tusitala già da bambino, quando dettava alla madre e alla nutrice quelle storie che non sapeva scrivere, ha dovuto attraversare un oceano per trovare un popolo che lo battezzasse con un nome che gli è sempre appartenuto. Non è strano allora che abbia deciso di riposare per sempre a Upolu, under the wide and starry sky, come recita l’epigrafe scritta da lui stesso.

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