Italo Calvino è uno dei più amati e importanti scrittori italiani: dalla resistenza all’attività editoriale, da Torino a Parigi, vita e studi hanno influenzato i suoi romanzi, come “Il sentiero dei nidi di ragno” e “Il barone rampante” – L’approfondimento dedicato ai suoi libri

Italo Calvino non credeva nelle biografie, credeva nei libri, come afferma lui stesso nel passo di una celebre lettera, in cui scrive “dati biografici non ne do, o li do falsi, o comunque cerco sempre di cambiarli”. E la sua vita in effetti, benché segnata da numerosi viaggi e da incontri con scrittori e rivoluzionari, ha ben poco di avventuroso: le avventure più grandi Italo Calvino le ha sempre vissute nella sua mente, che si trattasse delle fiabe dal sapore ariostesco con cavalieri erranti e pericolose donne guerriero, o di vicende ben più astratte, fatte della stessa materia della metafisica, di labirinti logici e di giochi combinatori.

Nato a Cuba nell’ottobre del 1923, viene chiamato Italo perché i genitori, che dubitavano di tornare presto in Italia, volevano che il figlio avesse memoria del suo paese d’origine. Il padre, Mario Calvino, agronomo e anarchico, era infatti approdato sull’isola forse a seguito di turbolente vicende, che lo avrebbero visto coinvolto in un attentato fallito allo zar Nicola II, per il quale era stato condannato all’impiccagione un cittadino russo con passaporto italiano, intestato proprio al padre dello scrittore.

Il barone rampante di Italo Calvino

Nascere a Cuba, combattere in Italia

Italo Calvino non crescerà però a Cuba (che, anzi, è destinato a rivedere decenni dopo, quando durante la rivoluzione cubana si legherà in amicizia con Che Guevara): non passa troppo tempo dalla sua nascita che la famiglia Calvino torna in Italia, dove il padre viene riabilitato dal regime e il nome di Italo, in tempi di feroci nazionalismi, acquista un suono decisamente diverso di quello che doveva avere oltreoceano.

Cresciuto in un ambiente aperto e colto, Italo Calvino ha sempre guardato con avversione al fascismo e appena ventenne, all’indomani dell’assassinio di un comandante partigiano, aderisce alla resistenza. È il 1944 e Calvino combatterà con i partigiani fino alla Liberazione: l’esperienza gli offrirà uno sterminato materiale umano e letterario e verrà immortalata nel suo primo libro, pubblicato nel 1947 a soli ventiquattro anni. Si tratta del romanzo realista Il sentiero dei nidi di ragno che verrà battezzato con una recensione di Arrigo Cajumi sulle pagine de La Stampa con un’altra opera prima, anch’essa scaturita dalle esperienze in guerra del suo autore: Se questo è un uomo di Primo Levi.

Il sentiero dei nidi di ragno, romanzo sulla resistenza

Canzonette e riviste letterarie

I ricordi dell’Italia fascista e della resistenza vengono anche riportati in alcuni dei racconti della raccolta Ultimo viene il corvo, del 1949, e nei testi delle canzoni dei Cantacronache, un gruppo musicale formato da poeti e personaggi della cultura. I Cantacronache provano a immaginare un nuovo tipo di canzone, mettendo in musica la realtà sociale italiana e opponendosi alle frivolezze sanremesi. Il gruppo non riscuote molto successo ed è presto dimenticato dal grande pubblico, nonostante alcune canzoni, come Oltre il ponte e Dove vola l’avvoltoio, scritte dallo stesso Calvino, siano abbastanza note e siano state d’ispirazione per autori come De André e – successivamente – Guccini.

Scrittore per vocazione, Calvino comincia all’indomani della Liberazione a collaborare con Einaudi e con i più attivi intellettuali dell’epoca: Elio Vittorini e Cesare Pavese, caro amico dal cui suicidio, qualche anno dopo, uscirà profondamente scosso. Calvino scrive per l’Unità e per Rinascita, nonché per il Politecnico di Vittorini. È sempre con lui che Calvino fonda Il Menabò, rivista letteraria pubblicata da Einaudi alla chiusura della collana I gettoni, nata sempre grazie all’instancabile scrittore siracusano.

Il Menabò passa alla storia: sulle sue pagine vengono pubblicati Pagliarani e Fortini, Ottieri e Sanguineti, Eco, Gadda, Pasolini: tutti i più grandi scrittori italiani del dopoguerra, e la sua storia si concluderà solo a causa della morte di Vittorini. È questo anche il periodo dei romanzi più amati di Calvino, quelli della trilogia dei Nostri antenati, che recuperano tematiche della tradizione con un linguaggio fiabesco: Il visconte dimezzato, del 1952, Il barone rampante, del 1957, e Il cavaliere inesistente, del 1959.

Il visconte dimezzato di Calvino

Italo Calvino: uno scrittore italiano a Parigi

L’impegno in campo letterario di Calvino è insomma a tutto tondo: sarà sempre l’orizzonte ultimo della sua attività, che si trovi a Torino o nella sua casa di Parigi, che lui stesso definisce come una sorta di “rifugio di campagna” in cui ritirarsi per scrivere, lontano dalle incombenze editoriali e mondane torinesi. In realtà, nella capitale francese, Calvino ci resterà per tredici anni, con la moglie argentina Chichita e la figlia Giovanna, vivendo in una zona periferica. Ogni giorno, per andare a comprare i giornali italiani, Calvino deve andare fino a Saint-Germain-des-Prés, quello che è passato alla storia come il quartiere degli intellettuali e che lo scrittore può raggiungere velocemente solo immergendosi nel dedalo della metropolitana. Una discesa nel ventre della città che Calvino, con un occhio all’antico ma proteso sempre verso il nuovo, affronta con piacere.

Il romanzo postmoderno di Calvino

Gli anni parigini sono una babele di lingue e di incontri. Solo restando tra le pareti domestiche si parla l’italiano, lo spagnolo di Chichita e il francese popolare che Giovanna impara a scuola. In più, ogni tanto, si sente anche il portoghese: è la lingua della domestica di Calvino, che nessuno in casa tuttavia comprende. Calvino frequenta Georges Perec, Raymond Queneau e l’OuLiPo e l’influenza delle ricerche letterarie compiute in questo periodo sarà ben visibile in testi più sperimentali come Ti con zero, del 1967, Il castello dei destini incrociati, del 1973, Se una notte d’inverno un viaggiatore, il suo capolavoro postmoderno del 1979, e le Lezioni americane, la raccolta delle lezioni su letteratura e modernità che avrebbe dovuto portare ad Harvard, uscita postuma dopo la morte dello scrittore, causata da un’emorragia cerebrale il 19 settembre 1985.

Calvino, però, non racconterà mai Parigi nei suoi libri: la capitale francese è la città della vita adulta e quotidiana, delle incombenze domestiche, della spesa da fare e della bambina da accompagnare al corso di pianoforte. È l’Italia, che detiene la memoria della giovinezza e gli echi dell’infanzia, a essere l’unico luogo letterario possibile per Calvino. Il luogo dove si era verificato “ogni tirar di carte in questo mazzo di tarocchi, ogni colpo di scena in questo incastro di racconti, finche non si arriva alla fine del gioco”.

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