Italo Svevo (19 dicembre 1861 – 13 settembre 1928) ha avuto la vita sedentaria di un borghese nella Trieste mitteleuropea di inizio secolo, ma romanzi come “La coscienza di Zeno” e “Senilità” riflettono le inquietudini dell’autore e il suo interesse per la psicoanalisi e le teorie di Sigmund Freud – L’approfondimento sulla vita e i libri di un grande scrittore

Quella di Italo Svevo è una storia borghese. È la storia di Aron Hector Schmitz, italianizzato in Ettore, nato a Trieste nel 1861 quando la città era ancora un centro pulsante dell’impero austroungarico. Ebreo convertitosi al cattolicesimo a trentacinque anni per sposare la cugina Livia Veneziani, di famiglia molto ricca e più giovane di lui di tredici anni, Ettore Schmitz studia in Germania, in Baviera, e segue poi a Trieste una formazione prettamente tecnica. Poco avulso, dunque, all’italiano, e abituato a parlare tedesco o triestino, Italo Svevo studia i grandi della letteratura italiana in biblioteca, nelle ore libere dal suo lavoro per la Union, banca viennese con sede anche a Trieste.

Italo Svevo, storia di un impiegato

La storia personale di Italo Svevo è un’anomalia rispetto all’usuale formazione intellettuale degli scrittori europei di fine Ottocento. Senza alcuna formazione umanistica e con una vicenda professionale che ricorda quella di un altro scrittore ebreo, questa volta praghese, che diventerà famoso all’incirca nei medesimi anni, Franz Kafka. Insomma, l’autore triestino, questa la sua colpa, non è un letterato che consacra ai libri tutta la sua carriera: a partire dall’entre-deux-guerre diventerà normale per uno scrittore svolgere diverse professioni, ma negli anni di Svevo questa peculiarità è per lui fonte di grande insicurezza.

Una vita di Italo Svevo

Bobi Bazlen ricorda a Montale, all’indomani della morte di Svevo, come questi fosse prima di tutto dedito all’accumulo di denaro. Sarebbe però più corretto, forse, interpretare l’esperienza di Italo Svevo a cavallo dei due contesti, quello letterario e quello lavorativo, e riconoscere semplicemente le mille sfaccettature a cui i casi della vita conducono. Anche il matrimonio con Livia, d’altronde, porterà a Svevo delle novità professionali: il padre di lei, infatti, ha un’azienda di vernici sottomarine, di quelle utili ad impedire alle alghe di incollarsi al fondo delle barche, e in cui Svevo lavorerà come dirigente.

Da Una vita a La coscienza di Zeno: tre romanzi e poche soddisfazioni

Italo Svevo comincia a occuparsi di critica letteraria e teatrale per un quotidiano irredentista, L’indipendente, ma i suoi articoli non avranno particolare fortuna. Ugualmente non avrà fortuna il suo primo romanzo, Una vita, del 1892, che è anche quello che sancisce l’utilizzo in ambito letterario dello pseudonimo Italo Svevo, uno pseudonimo dall’anima duplice così come quella dell’autore: italiano e austriaco, letterato e imprenditore. Una vita presenta già tutte le tematiche dei successivi romanzi di Svevo; è infatti la storia di un giovane impiegato la cui inettitudine si scontra con propositi che non riesce mai a portare a termine e con situazioni, sentimentali e umane, che riesce solamente a peggiorare.

Il secondo romanzo, Senilità, del 1898, non ha maggior successo del primo. Anche in questo caso Svevo prende in parte ispirazione da fatti della propria vita (in particolare una relazione extraconiugale con una ragazza del popolo, così lontana dall’ambiente borghese in cui era abituato a muoversi). E, ancora una volta, assistiamo alle vicende esistenziali di un giovane triestino, sempre impiegato, sempre inetto, sempre immobile di fronte alle possibilità offerte dalla vita. Molto probabilmente il silenzio che circonda queste due pubblicazioni – salvo un paio di recensioni, pur di nomi influenti – porta Svevo a mettere da parte per diversi anni la scrittura, o quantomeno a esercitarla principalmente in privato.

Senilità dello scrittore Svevo

Eppure lo stile di Italo Svevo, strutturato così attentamente per il timore di incorrere in inflessioni eccessivamente triestine o tedesche, è apprezzato niente di meno che da James Joyce, con cui il nostro autore stringe una sincera amicizia. L’irlandese vive infatti diversi anni a Trieste con la moglie (prima di trasferirsi definitivamente a Parigi) e qui insegna l’inglese all’intellighenzia locale.

Per avere successo Italo Svevo dovrà aspettare il 1923 e la pubblicazione di un romanzo a cui lavora dal 1919: La coscienza di Zeno. Intessuto da una profonda vena psicoanalitica, influenzata dalla dottrina freudiana, estremamente moderna per la letteratura italiana di inizio Novecento, La coscienza di Zeno dà all’autore, ormai sessantenne, una notorietà insperata, di cui può godere per soli cinque anni: è il 1928 quando, di ritorno da Bormio, Italo Svevo muore per complicanze cardiache causate dallo stress di un incidente in macchina da cui tutti gli altri viaggiatori escono pressoché illesi.

Svevo, la psicoanalisi e la questione linguistica

Italo Svevo, dunque, all’inizio del Novecento si accosta alla psicoanalisi, in un primo momento a seguito di una vicenda personale – il cognato era andato a farsi curare a Vienna da Freud stesso –, poi per un incontro fortuito con un allievo del grande psicoanalista. Tuttavia, sebbene Svevo ritenga le teorie di Freud valide per quanto riguarda l’interpretazione del sé, ne rifiuta le possibilità terapeutiche, utilizzandole dunque nei suoi romanzi principalmente come dottrina della conoscenza. Non è un caso che il suo protagonista, Zeno Cosini, rifiuti la pratica terapeutica, nonostante la utilizzi per raccontarsi nei suoi diari.

La coscienza di Zeno, romanzo di Svevo

Lo stesso Svevo, molto probabilmente, nascondeva nella sua tranquilla vita borghese di imprenditore, marito, e padre, i sogni e i furori che lo hanno spinto a perseverare così lungamente nella scrittura, nonostante, fin dagli esordi, il mondo intellettuale si sia dimostrato ostile nei suoi confronti. I protagonisti dei romanzi di Svevo assomigliano molto al loro autore: borghesi tristi, impantanati in una quotidianità da cui non è chiaro se non riescano o non vogliano uscire.

Tuttavia a una tale modernità di tematiche, fa da contraltare uno stile invecchiato molto presto, precludendone forse in parte le potenzialità. Basti pensare alla vicenda di Senilità, che l’autore prova a rimaneggiare a lungo, anche a seguito del successo della Coscienza di Zeno, cercando di far fronte alle sue “carenze linguistiche” con una serie di interventi che tuttavia non aiutano il romanzo, il quale continua ad avere una serie disarmante di rifiuti dai maggiori editori dell’epoca.

È proprio vero, allora, quanto sostiene lo scrittore Mauro Covacich: chissà quali verità, quali ulteriori movimenti dell’animo umano, avrebbe potuto rivelarci Svevo, se avesse potuto pubblicare in triestino invece che in italiano.

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