Giovanni Francesio, responsabile editoriale di Frassinelli, su ilLibraio.it ricorda come la sua vita sia cambiata dopo l’incontro con “American Tabloid” di James Ellroy: “Un libro decisivo per me, per i miei gusti e le mie aspirazioni…” – Torna la rubrica #lettureindimenticabili

Nel 1995 avevo appena finito il servizio militare (artiglieria: “gente che non fa niente, che non ha voglia di lavorar…”), e passavo il tempo dando qualche supplenza qua e là e studiando per il dottorato di ricerca su Leopardi e Tasso (allegria…), una condizione di grande felicità intellettuale ma che rendeva non semplicissima l’alimentazione di “un’anima insediata … in un corpo nutricando a pane” (Carlo Emilio Gadda), motivo per cui cominciai a lavorare per l’allora “Club degli editori”.

Leggevo i romanzi che loro avevano deciso di ri-pubblicare e proporre ai loro soci, e scrivevo i testi per il libretto che tutti quanti abbiamo ricevuto, almeno una volta. Alcuni testi andavano scritti corti, alcuni medi, alcuni lunghi. Alcuni libri erano belli, molti normali, alcune erano schifezze assolute. Prendevo 50.000 lire lorde a lettura, alle quali andavano detratte le 34.000 lire che costava il biglietto ferroviario per Milano. Non un grande affare, ma era comunque lavoro. Andavo a Milano (Segrate, piano interrato…), prendevo i libri da Fiorella Massacci, cui sono grato ancora oggi per avermi insegnato come si scrive un testo per vendere un libro, tornavo a casa, leggevo il libro, scrivevo una scheda, che conteneva anche il testo da pubblicare, poi tornavo a Milano, consegnavo, prendevo un altro libro, e via così. Ma lo facevo solo per soldi (capisco che “soldi”, parlando di 16.000 lire lorde faccia un po’ ridere, ma questo era), non mi interessava. Puntavo all’università, a Leopardi, all’intertestualità.

Col passare del tempo cominciai però a rendermi conto che quel lavoro compensava la scarsa redditività con un vero, grande pregio: mi permetteva di conoscere meglio la narrativa contemporanea, che avevo molto trascurato negli anni universitari. Leggevo romanzi sia italiani che stranieri, mi facevo un’idea di cosa si pubblicava nel mondo, delle tendenze, degli editori, di cosa piaceva al pubblico, di cosa si vendeva, eccetera (avevo sviluppato una passione assolutamente insana – mai del tutto sopita – per i romanzi di Clive Cussler, con le loro trame sempre genialmente identiche). Tutte cose interessanti e che si sono rivelate poi, nel tempo, assai utili.

Poi, venne il giorno.

Il giorno in cui mi dissero “leggi questo” e fai la scheda. “Questo” era la prima edizione italiana (Mondadori 1995, copertina quella della fotografia allegata) di American Tabloid di James Ellroy. Ricordo distintamente il brivido già durante la lettura della prima pagina (“L’America non è mai stata innocente…”), e ancor più nitidamente ricordo che, alla fine del libro, pensai che – con tutto l’amore per Leopardi, peraltro ancora vivo – io di quello volevo occuparmi. Di scrittori come James Ellroy, di romanzi come American Tabloid. La vita, poi, va sempre come vuole, ma non ho dubbi che, per quanto mi riguarda, American Tabloid sia stato un libro decisivo per me, per i miei gusti, e le mie aspirazioni.

ellroy

Inutile, ora, che io mi metta a dissertare di un romanzo di cui tutti hanno scritto tutto. Potrei citare intere pagine a memoria, scambi di battute tra Bondurant e Boyd, tra Boyd e Littel, tra Littel e Bondurant, potrei citare le telefonate con Hoover, le intercettazioni dei mafiosi, gli articoli di “Hush-Hush”. Potrei piangere ancora pensando alla morte di Kemper Boyd. Ogni riga di American Tabloid è, per me, una sorta di tatuaggio, inciso sulla pelle, e indelebile. È un romanzo che mi ha accompagnato per tutti gli anni successivi, che mi ha fatto provare entusiasmo quando trovavo qualcuno – e ne ho trovati tanti – che condivideva il mio stesso amore, e che mi ha aiutato, con continue riletture – nei momenti di depressione o di sfiducia o di stanchezza. Aprivo a caso, anzi “apro”, perché lo faccio ancora, e l’aria intorno a me cambia, diventa più fresca e tersa, respiro meglio.

Finiamola qui, Ellroy sarebbe giustamente disgustato di tutta questa melensaggine. Ma una citazione non posso non farla. Perché American Tabloid è un romanzo talmente grande, così ricco di cose e di vita, che passa quasi in secondo piano una delle migliori battute da commedia leggera e galante della storia della letteratura contemporanea, in un dialogo tra Laura Hughes e Kemper Boyd.

“Mi credeva così annoiata e indolente da potersi permettere di suonare il campanello e sedurmi su due piedi?”

“No, avevo messo in preventivo anche una cena”.

LA RUBRICA – Letture impossibili da dimenticare, rivelatrici, appassionanti. Libri che giocano un ruolo importante nelle nostre vite, letti durante l’adolescenza, o da adulti. Romanzi, saggi, raccolte di poesie, classici, anche testi poco conosciuti, in cui ci si è imbattuti a un certo punto dell’esistenza, magari per caso. Letture che, perché no, ci hanno fatto scoprire un’autrice o un autore, di ieri o di oggi.
Ispirandoci a una rubrica estiva del Guardian, A book that changed me, rifacendosi anche al volume curato da Romano Montroni per Longanesi, I libri ti cambiano la vita. Cento scrittori raccontano cento capolavori, e dopo il successo dell’iniziativa proposta recentemente sui social da ilLibraio.it, #ilLibroPerMe, in occasione della presentazione della ricerca sul rapporto tra lettura e benessere, abbiamo pensato di proporre a scrittori, saggisti, editori, editor, traduttori, librai, bibliotecari, critici letterari, ma anche a personaggi della cultura, della scienza, dello spettacolo, dell’arte, dell’economia, della scuola, di raccontare un libro a cui sono particolarmente legati. Un’occasione per condividere con altri lettori un momento speciale.

Questa volta è il turno di Giovanni Francesio, ex direttore editoriale di Piemme e Sperling & Kupfer e attuale responsabile editoriale di Frassinelli.

 

 

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