Andrea, la protagonista di “Da grande”, il nuovo romanzo di Jami Attenberg, è nella parte “non artistica” della sua vita da tempo, ormai. Ha quasi quarant’anni, un lavoro ben pagato ma noioso, è single e ha un rapporto difficile con i suoi affetti. Per lei comportarsi “da grande”, nonostante i quarant’anni, è difficile… – L’approfondimento sui libri dell’autrice di “Santa Mazie” e “I Middlestein”

“Nessuno ti chiede mai: ‘Quindi hai smesso di fare arte?’. È perché non vogliono sapere la risposta oppure non gli importa oppure hanno paura di chiedertelo perché li spaventi. Qualunque sia la ragione, sono tutti complici di questa nuova, non artistica parte della tua vita”.

Andrea, la protagonista di Da grande, il nuovo romanzo di Jami Attenberg (Giuntina, traduzione di Viola Di Grado) è ormai da tempo nella parte non artistica della sua vita. Ha quasi quarant’anni, un lavoro ben pagato – ma noioso – come graphic designer e un appartamento con vista sull’Empire State Building, che cessa di averla quando ci costruiscono di fronte un palazzo più alto. Andrea è una newyorkese e per lei, tornare a New York dopo aver mollato la scuola d’arte, anni prima, è “un fallimento”: “Stai tornando a casa perché non sei riuscita a farcela nel mondo. Spiritualmente sei una pendolare al contrario”.

Andrea è single e nel romanzo descrive, attraverso la sua voce ironica fino al cinismo, gli appuntamenti e le relazioni che ha portato avanti con gli uomini negli anni: il papà neodivorziato che a letto sembra voler correre una maratona, il vicino di casa per cui ha una cotta, nonostante lui non faccia altro che raccontarle il suo desiderio di sposare una donna afroamericana, l’amico dei tempi della scuola d’arte con il conto sempre in rosso…

A un certo punto del romanzo amici e parenti consigliano ad Andrea un bestseller sull’essere single, “scritto da una donna sposata”, che la protagonista si rifiuta categoricamente di leggere: a lei sta bene non avere un compagno al suo fianco e godere di una spensieratezza che manca, ad esempio, alla sua migliore amica, Indigo, sposata con un uomo benestante e gentile e madre di un bambino.

La “singletudine”, così come l’animo femminista di Andrea – che ammette: “Non importa quanto sei padrona di te stessa e del tuo corpo e della tua mente, ci saranno comunque uomini che cercheranno di esercitare il loro potere sul tuo corpo, anche solo con gli occhi, anche se spesso è con le parole e a volte con le mani”. O ancora: “Un drink dopo siamo alle storie di stupro. Quasi ogni donna che conosco ne ha una. Se avessi un centesimo per ogni volta che ho sentito una di quelle storie comprerei un enorme sontuoso cuscino con cui soffocare la mia faccia rigata di lacrime” – rendono la protagonista simile a quella di un altro romanzo di Jami Attenberg: la Mazie di Santa Mazie (pubblicato sempre da Giuntina e tradotto da Paola Buscaglione Candela).

Ambientato nei primi decenni del Novecento, il libro ripercorre e romanza la vera storia di Mazie Phillips, filantropa newyorkese che ha aiutato numerosi senzatetto negli anni della Depressione. Figlia della classe operaia, Mazie ha trascorso un ventennio a percorrere le strade della Bowery, dove si trovava il cinema di cui era cassiera e poi proprietaria, per prestare aiuto ai meno abbienti. Mazie non è però un personaggio “angelico”, anzi: è tanto umana, e quindi piena di difetti, in famiglia e con i suoi cari, quanto è “santa” agli occhi di chi riceve il suo aiuto.

Anche Andrea non risparmia le critiche verso i parenti: il fratello musicista, che ha tanto ammirato quando era giovane, si è ritirato nel New Hampshire, con lui la moglie, ex editor di una rivista di moda, ormai invecchiata, e la figlia affetta da una malattia gravissima che Andrea non ha mai nemmeno osato prendere in braccio. Lo stesso vale per sua madre, che ha trascorso la vita lavorando per le no-profit e tentando di mantenere i figli: il padre infatti è morto quando la protagonista era ancora una ragazzina.

Il rapporto tra Andrea e i suoi affetti è tanto più critico quanto più il legame è profondo. E forse dipende dalla perdita del padre, o magari dal comportamento della madre. O ancora, dalla sua carriera “non artistica”. Anche in questo romanzo, infatti, sembra che Jami Attenberg voglia scavare in una famiglia, come ha fatto ne I Middlestein (pubblicato da Giuntina e tradotto da R. Volponi), in cui sviscera le dinamiche di un nucleo di affetti che è appena esploso.

Perché, alla fine, per Andrea comportarsi “da grande”, nonostante i quarant’anni, è difficile, tanto da raccontare: “Barcollo sempre un po’ dopo aver assistito alla verità personale di qualcuno. Vado in giro sentendomi la loro essenza addosso come una felpa troppo stretta”. In questo romanzo Jami Attenberg è riuscita a dare voce a una donna sua contemporanea con la stessa maestria con cui aveva donato umanità a un personaggio “larger than life” come Mazie Phillips.

 

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