Mentre si discute della possibile acquisizione di Rcs Libri da parte di Mondadori, IlLibraio.it propone la riflessione di Oliviero Ponte di Pino (che sarà contenuta nel terzo numero della rivista “Pretext”). L’autore ripercorre le trasformazioni nel settore e analizza gli scenari futuri

Si discute molto dell’acquisizione di RCS Libri (che comprende marchi come Rizzoli, Bompiani, Adelphi, Fabbri, Sonzogno, Marsilio…) da parte di Mondadori Libri (che controlla anche Einaudi). Si lanciano appelli in difesa della pluralità d’espressione: l’affare porterebbe alla creazione di un colosso che da solo vale il 40% del mercato librario italiano. Qualcuno sospetta già che questo matrimonio – forzato anche dalla crisi dell’editoria, oltre che dalle difficoltà di cassa di RCS Rizzoli – porterà alla cessione del supergruppo editoriale italiano a uno dei giganti dell’editoria mondiale, il tedesco Bertelsmann (che possiede anche Penguin Random House).

Quella che si combatte in queste settimane è solo l’ultima battaglia di una lunga guerra, che è iniziata qualche decennio fa e ha radicalmente cambiato gli orizzonti dell’editoria libraria. Il saggio Le quattro grandi guerre dell’editoria, di prossima pubblicazione nel terzo numero della rivista “Pretext”, ripercorre trasformazioni che, come vediamo, sono ancora in corso e che avranno ricadute sul futuro del libro e più in generale della cultura. In campo non ci sono solo gli editori di libri, ma anche protagonisti della new economy della rete come Amazon e Google.

La Prima grande guerra dei libri: concentrazione

La Prima guerra dei libri ha avuto come campo di battaglia l’editoria tradizionale, così come si era configurata nel corso di cinque secoli, dai tempi di Gutenberg e Manuzio. Internet ancora non esisteva, ad affrontarsi erano gli editori di “libri di carta”. Una bassa soglia d’ingresso (per fondare una casa editrice o aprire una libreria non servivano grandi capitali), un pubblico frammentato ed esigente, la dimensione nazionale dei mercati, anche a causa delle barriere linguistico-culturali: queste caratteristiche portavano a un paesaggio popolato di piccole e medie aziende, in tutti i segmenti della filiera (produzione, distribuzione, vendita).

A partire dagli anni Ottanta, come in altri settori produttivi, in tutto il mondo (e in tutta la filiera) si è creata una forte spinta alla concentrazione. Da una ventina d’anni, al centro del mercato mondiale troneggiano alcuni grandi conglomerati editoriali (i maggiori presidiano il settore professionale e dell’educazione), attivi sulle due sponde dell’Atlantico con fatturati da miliardi di dollari.

 

1 Pearson UK 9.158
2 Reed Elsevier UK, Paesi Bassi, USA 5.934
3 Thomson Reuters Canada 5.386
4 Wolters Klouwers Paesi Bassi 4.766
5 Random House Germania 3.328
6 Hachette Francia 2.883
7 Grupo Planeta Spagna 2.597
8 McGraw-Hill Education USA 2.292
9 Holtzbrinck Germania 2.220
10 Scholastic USA 2.184

 

In questo Risiko, che ha interessato USA, Gran Bretagna, Francia, Germania, Paesi Bassi, l’Italia è rimasta ai margini, ma anche da noi la tendenza alla concentrazione è stata la stessa, con il gruppo, De Agostini al 13° posto su scala mondiale, e gli altri (Mondadori, Mauri-Spagnol, Rizzoli, Feltrinelli) oltre il 30°.

Nella Prima guerra dei libri si è proceduto per acquisizioni, fusioni, cessioni. L’ultima è quella che alla fine del 2012 ha visto unirsi due marchi gloriosi come Penguin (gruppo Pearson) e Random House (gruppo Bertelsmann). Le fusioni possono riguardare anche le agenzie letterarie: è successo alla spagnola Carmen Balcells e all’americano Andrew Wylie, che si sono alleati nel maggio 2014. Si concentrano anche la distribuzione (vedi in Italia la recente alleanza tra Feltrinelli e Messaggerie,  nell’autunno 2014) e la vendita, con le catene di librerie che in molti Paesi hanno drasticamente ridotto la quota di mercato delle librerie indipendenti (anche se di recente c’è stata una inversione di tendenza).

Negli ultimi anni il numero di titoli pubblicati nel mondo ha continuato ad aumentare a un ritmo vertiginoso. Nel 2013 secondo Bowker sono stati assegnati nel mondo 1,4 milioni di codici ISBN, il numero che identifica ciascun titolo. Nel 1960 gli ISBN erano circa 8.100. Tuttavia le vendite si sono concentrate su un numero sempre più limitato di titoli (e di editori), best seller e “megaseller” (i rari titoli che vendono milioni di copie, come Il codice da Vinci o Harry Potter). Alla coda lunga sono rimaste le briciole. Questo processo ha provocato le critiche (e il risentimento) di editori e librai indipendenti, che hanno dovuto navigare in un mercato sempre più difficile. A favorire i “grandi” sono le economie di scala, il respiro finanziario e la forza contrattuale (con grandi autori che richiedono anticipi elevati e per imporre una massiccia presenza nei punti vendita), e competenze professionali più variegate e specifiche. Per i Davide costretti ad affrontare questi Golia, i punti di forza restano le procedure meno standardizzate e la cura per i dettagli e i rapporti umani.

La Seconda grande guerra dei libri: i barbari

La Prima guerra dei libri era uno scontro tra tribù che si conoscevano e condividevano le regole del gioco, e usavano armi e tattiche convenzionali. La Seconda guerra dei libri, con l’avvento di internet, ha visto l’irruzione dei “barbari”.

Amazon è stata lanciata nel 1995 da Jeff Bezos come negozio online di “libri di carta”, con un’offerta di titoli superiore a quella di qualunque libreria “fisica”. Ha subito offerto ai suoi utenti la possibilità di condividere i pareri, passioni e gusti personali, per discuterli con altri e creare una comunità, anticipando l’evoluzione del web 2.0 e i social network. In pochi anni, Amazon è diventata la più grande libreria del pianeta, con filiali in diversi paesi e un fatturato di oltre 74 miliardi di dollari nel 2013; nel frattempo ha ampliato l’offerta ed è diventata un enorme supermercato che vende prodotti e servizi di ogni genere, con i libri a fare da esca.

Google, nata nel 1998, tre anni dopo Amazon, si è rapidamente affermata come il motore di ricerca più frequentato in rete, con un fatturato che nel 2013 ha sfiorato i 60 miliardi di dollari; è il più grande concessionario di pubblicità su scala mondiale, con una quota di mercato del 31,5%, davanti a Facebook (5,9%), Yahoo! (3,4%) e Microsoft (2,5%) (fonte: E. Marketer 2013). Nel 2004 ha lanciato Google Books, con l’obiettivo di mettere a disposizione di tutti gratuitamente l’intero patrimonio librario dell’umanità: ha così iniziato a digitalizzare e caricare nei propri server milioni  di volumi, grazie anche ad accordi con biblioteche pubbliche e private, università, case editrici… Accanto a Google Books, numerosi altri progetti si sono posti obiettivi analoghi, dal Gutenberg Project (lanciato nel 1971) alla National Digital Public Library (lanciata negli USA nel 2013), passando per Europeana e (in Italia) LiberLiber.

Sia Google sia Amazon sono entrati in rotta di collisione con il “vecchio mondo” popolato di editori, autori, agenti. Per quanto riguarda Google, è stata accusata di aver messo a disposizione dei suoi utenti materiale coperto da copyright (titoli ancora coperti dal diritto d’autore, compresi i libri “orfani”, ovvero sotto diritti ma non più disponibili sul mercato), scaricando sui legittimi proprietari (autori ed editori) l’onere di rivendicare e difendere i propri diritti e il proprio lavoro. Un altro aspetto controverso è che a fornire un servizio offerto fino a quel giorno da enti pubblici o no profit (biblioteche eccetera) fosse un’azienda privata, che ha per obiettivo il massimo profitto. La lunga battaglia legale si è conclusa il 22 marzo 2011, quando una sentenza della Southern Federal District Court di New York ha dichiarato illegittimo l’accordo tra Google e le associazioni di autori ed editori, limitando il progetto, almeno nella sua forma originaria.

Amazon ha prima “invaso” il settore del commercio librario, mettendo in grandi difficoltà le grandi catene librarie, come Barnes & Noble e Borders (fallita nel 2011) negli USA, W.H. Smith e Waterstones in Gran Bretagna, FNAC in Francia, Thalia, Weltbild e Hugendubel in Germania. Poi Amazon è entrata in rotta di collisione con autori e editori. La battaglia decisiva si è combattuta per diversi mesi con Hachette (e implicitamente con gli altri grandi editori), nel quadro di una guerra commerciale senza esclusione di colpi, che finora non è diventata battaglia legale. Il nodo della questione riguardava il prezzo dei libri: o meglio, chi deve stabilire quando costa un libro, il venditore o i produttori? Amazon – come tutti i grandi distributori – tende ad abbassare i prezzi per aumentare il volume delle vendite e offrire condizioni migliori dei concorrenti. Ma nell’editoria da sempre sono gli editori a determinare il prezzo dei libri che pubblicano, una prerogativa che in Paesi come Germania, Francia e Italia è sancita dalla legge sul prezzo fisso (dove la normativa non è in vigore, il mercato del libro è stato in genere devastato, come in Belgio e UK): secondo gli editori, il prezzo imposto da Amazon (e la divisione degli utili) non tiene conto dei costi reali di produzione e finisce per danneggiare anche gli autori. Di fronte all’intransigenza di Hachette, che non ha voluto accettare le condizioni imposte da Amazon (abbassare a 9,99 dollari i prezzi di tutti gli e-book, fino a quel momento prezzati tra i 12,99 e i 19,99 dollari), quest’ultima ha iniziato a boicottare i volumi dell’editore ribelle, rendendone più difficoltoso l’acquisto. Contro Amazon, sono scesi in campo anche 900 scrittori, con una lettera-manifesto pubblicata sul “New York Times” il 10 agosto 2014 (mentre diversi autori “self-published” si sono schierati con Amazon). Hanno attaccato Bezos anche alcune importanti agenzie letterarie e persino il Premio Nobel per l’Economia Paul Krugman: «Amazon.com (…) ha troppo potere e il modo in cui usa questo potere danneggia l’America» (“la Repubblica”, 22 ottobre 2014). Nel novembre 2014 Hachette e Amazon hanno siglato un “accordo di Natale”, «una grande vittoria per autori e lettori», di cui però non sono stati resi noti i dettagli (“Corriere della Sera”, 14 novembre 2014).

Editori, agenti e autori (per non parlare dei critici letterari) hanno visto negli ultimi tempi diminuire i loro guadagni, nel quadro di una generale svalutazione del lavoro intellettuale. Secondo la ACTL (Authors’ Licensing and Collecting Society) in Gran Bretagna gli incassi medi degli autori professionisti sono scesi del 29% tra il 2005 e il 2013, a circa 11.000 sterline (al di sotto della soglia di povertà); se si considera l’insieme degli autori (professionisti e autopubblicati) la media scende a circa 4.000 sterline (era di 5.012 sterline nel 2005 e di 8.810 nel 2000). Nel 2013 in Gran Bretagna solo l’11,5% degli autori professionisti viveva unicamente dei proventi dei propri libri (nel 2005 era il 40%). Ha spiegato Will Self: «I miei proventi da diritti d’autore sono scesi drammaticamente nell’ultimo decennio. È sempre stato possibile riunire tutti gli autori britannici di romanzi di qualità in una sola stanza: fino a qualche tempo fa serviva un salone, adesso basta una camera da letto, e pure piuttosto piccola».

È un declino che non riguarda un solo Paese, ed è in parte conseguenza di un’altra tendenza di carattere generale: il calo del prezzo medio dei libri. Negli USA è sceso del 40% tra il 2009 e il 2013, passando da 15,45 a 9,31 dollari, compresi gli e-book (dati Nielsen).

La Terza grande guerra dei libri: l’arma finale

Gli effetti della Seconda guerra dei libri si sono intrecciati con quelli della Terza, che è iniziata quando sui campi di battaglia si è diffusa, dopo pionieristici tentativi di limitato successo, una nuova arma: l’e-book, che secondo alcuni è l’arma finale che distruggerà il “libro di carta”.

Grazie alla convergenza digitale, il contenuto – il testo, magari aumentato da immagini, suoni, video – si è emancipato dal supporto e può essere “consumato” su diversi dispositivi: tablet, pc, smartphone…

Per la diffusione del libro digitale è stato decisivo l’impegno di Amazon: contraddicendo l’iniziale scetticismo, Jeff Bezos nel 2007 ha lanciato l’e-reader Kindle, entrando da protagonista nel mercato degli e-book. Anche gli editori tradizionali, grandi e piccoli, hanno affiancato a carta e inchiostro diversi formati digitali (ePub, pdf, mobi…), mettendo a disposizione dei lettori parte del catalogo. Nel giro di qualche anno gli e-book hanno eroso quote di mercato, fino a raggiungere nel 2013 il 23,3% negli USA, con una penetrazione minore nei mercati europei e del 3% in Italia (stime AIE su dati FEP e Association of American Publishers). Questo ha consentito a molti editori di mantenere buoni margini di profitto: un e-book in genere ha un prezzo più basso del corrispondente “libro di carta”, ma ha costi di produzione e distribuzione inferiori.

Come sempre – al di là delle forze in campo – anche le “guerre dei libri” si combattono sul terreno ideologico e dunque sui media. L’ideologia di internet si fonda su due principi: la disintermediazione, ovvero mettere tutti in contatto con tutti, in una comunicazione bidirezionale; e la democratizzazione, ovvero il principio che “uno vale uno”, chiunque sia. Questo atteggiamento spinge verso la “fine dell’esperto”: il giudizio di qualunque fan (o di un troll) su un libro vale quello del massimo filologo (è il postulato che sottende anche l’utopia enciclopedica di Wikipedia). Nella rete 2.0 valgono solo i numeri: il computo di clic, “Mi piace” e condivisioni rende obsoleta qualunque scala di valore, qualunque argomentazione critica sulla qualità delle opere. Con una duplice avvertenza: i libri non sono una forma di comunicazione bidirezionale, ma la trasmissione del contenuto da un autore a un lettore; in secondo luogo, il talento e il successo non sono (e non possono essere) democratici.

Gli entusiasti della rete spiegano che l’abbassamento del prezzo dei libri ha sempre portato a un allargamento del numero dei lettori e a una maggiore diffusione della cultura, dall’invenzione della stampa a caratteri mobili agli “Yellowbacks” britannici e alle dime novels americane nell’Ottocento, fino ai paperbacks e al “mass market”, ovvero gli economici e i “supereconomici” del Novecento. Enfatizzano il diritto del consumatore ad acquistare un prodotto al prezzo più basso, condannando ogni possibile cartello oligopolistico (come l’accordo tra Apple e cinque grandi editori, sanzionati dai tribunali americani per comportamenti anticoncorrenziali). Sottolineano che la rete (e gli e-books) permettono a chiunque di pubblicare e promuovere la propria opera, a prescindere dal permesso dei guardiani, i gatekeepers come editori e critici. Insistono sui minori costi che, grazie alla rete, deve sostenere un editore per stampare, confezionare, distribuire i “libri di carta”.

Come altre imprese della new economy, facendosi forza delle potenzialità della rete (e sostenuto dalla sua ideologia), Amazon punta a disgregare (disrupt) il mercato del libro, espellendo o marginalizzando i soggetti tradizionalmente attivi nel settore (e cercando di sostituire la propria mediazione alla loro). Come altri editori online, Amazon mette direttamente in contatto autori (cui offre piattaforme di self-publishing) e lettori, marginalizzando editori, prescrittori (editori, critici, premi, media… e affini) e librai. Per gli editori, lo scenario è inquietante: hanno visto quello che è successo all’industria discografica e quello che sta succedendo a giornali, cinema e tv. Si preoccupano, anche se è più facile copiare una canzone da un cd (prendendone solo una parte) che digitalizzare e frammentare un romanzo; anche se, a differenza dei giornali, i libri non temono il calo degli introiti pubblicitari (è in corso anche una guerra parallela tra gli editori di giornali e Google, che nel dicembre 2014 ha portato per esempio alla chiusura del sito del motore di ricerca in Spagna).

Per un editore, l’attività di selezione dei nuovi talenti, il lavoro sul prodotto (editing e packaging) e la promozione hanno costi che non si possono comprimere, senza rischiare di compromettere la fragile ecologia del libro. Oltretutto un autore che si auto-promuove in rete può dedicare meno tempo all’attività creativa, perché costretto a impegnarsi in un marketing spesso dilettantesco e dunque inefficace. Amazon ribatte che offre agli autori che scelgono la sua piattaforma una royalty del 70% sugli incassi netti, conto il 25% degli editori tradizionali.

La Quarta grande guerra dei libri: guerriglia

Chiunque la vinca, qualunque sia il trattato che decreterà l’armistizio, la Terza guerra del libri non sarà l’ultima. Ne sta già iniziando un’altra, innestata dall’ennesimo cambiamento radicale: grazie all’e-book, il libro si è emancipato dal supporto fisico ed è diventato “liquido”. Nuove armi comportano nuove tattiche di combattimento. Fino a oggi i libri sono stati un prodotto, un bene materiale da possedere e magari conservare: una biblioteca era un patrimonio, anche affettivo, con tutto il potenziale feticistico che ne deriva. Gli e-book non sono oggetti fisici. Forse la loro immaterialità è più adatta alle nostre abitazioni sempre più minuscole, a una società che sembra favorire il noleggio o l’uso condiviso (vedi il successo del car sharing) rispetto alla proprietà individuale. È la nuova “economia della condivisione”, che dovrebbe «contribuire a risolvere il problema del sovraconsumo (possiamo sopravvivere con meno risorse se troviamo il modo di utilizzarle con maggior efficienza), ma dà anche ai fruitori l’esaltante sensazione di una giovinezza protratta, emancipata dalle solite trappole dell’esistenza borghese, (…) facendo scomparire le inefficienze del vecchio sistema», come ha spiegato Eugeny Morozov, avvertendo però che questa rivoluzione «si limita a razionalizzare le patologie dell’attuale sistema» (“Corriere della Sera”, 5 ottobre 2014).

Servizi di abbonamento/streaming online esistono già per la musica (vedi iTunes e Spotify), il cinema e la tv (Netflix), l’informazione. Vengono proposti anche per i libri. Dopo Safari (joint venture specializzata nell’e-learning fondata da O’Reilly e Pearson nel 2001), anche Amazon ha lanciato nell’estate 2014 Kindle Unlimited: un abbonamento a 9,99 dollari al mese dà diritto a una scelta illimitata tra 600.000 libri, audiolibri e app (per i detrattori, la grande maggioranza dei titoli sono e-book autopubblicati, mentre mancano i grandi best seller). Anche in Italia sono attive piattaforme come Lea (da Laterza) e Bookstreams.it.

Il passaggio da “solido” a “liquido” non è solo un cambiamento di stato. In ottica militare, implica un radicale cambiamento di strategia: spinge a passare dalla guerra a una sofisticata guerriglia. Gli editori (e gli autori) tradizionali producevano un contenuto che ritenevano significativo e/o vendibile, nella maniera migliore possibile, e poi lo distribuivano, fidando che grazie alle sue caratteristiche (artistiche e/o commerciali) quell’opera potesse trovare i suoi lettori (e acquirenti). Se il libro si trasforma da prodotto a servizio, la prospettiva si ribalta. L’importante non è quello che pensa l’autore (o l’editore): l’importante è quello che pensa (o vuole) il lettore.

È necessario guardare i dati per osservare i clienti, cogliendone le attese, anticipandone i desideri. Sperimentare e iterare. Socializzare. Adattare il servizio alle esigenze del cliente, anticipandone desideri e bisogni. Gli autori che usano Wattpad possono ricevere un feedback sulla loro opera dai lettori. Amazon è in grado di monitorare il tempo che un lettore spende su ogni pagina, i passi in cui sospende o abbandona la lettura, le sue note e sottolineature (peraltro l’azienda custodisce gelosamente i dati e non li condivide con gli editori e gli autori).

La “commodification” premia lo storytelling e la personalità della fonte. Una storia e chi la racconta: sono da sempre caratteristiche tipiche del libro. Vedremo se a sfruttarle saranno autori ed editori, o le agenzie di pubblicità e pubbliche relazioni.

Il vero campo di battaglia

Le Grandi guerre dei libri vedono contrattacchi imprevedibili (la recente ripresa delle librerie indipendenti) e sacche di resistenza (negli ultimi anni, contrariamente alle entusiastiche previsioni, l’ascesa degli e-book sembra aver subito una battuta d’arresto). Sia il nuovo sia il vecchio hanno i loro cantori entusiasti. Molti osservano perplessi. Nessuno può sapere chi vincerà la guerra, dove si troverà l’equilibrio. Ma forse possiamo guardare a tutte queste vicende con un occhio diverso. Come se il contenuto – il testo – fosse una sorta di virus o batterio, che ha bisogno di un vettore per infettare le nostre menti: come la zanzara per la malaria, o lo yogurt per il lactobacillus. In questi ultimi anni quel virus sta trovando nuovi vettori digitali, senza rinunciare ai più antichi. Il vero campo di battaglia siamo noi, i lettori.

 

 

 

 

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