Il mercato degli ebook è in crescita, si è fermato o sta addirittura ripiegando? E in quali direzioni si muovono i rapporti di forza fra cartaceo e digitale? Come conferma l’analisi di Gino Roncaglia per ilLibraio.it, non è semplice rispondere a queste domande: “L’impressione è che stiamo assistendo a una divergenza progressivamente più marcata fra il mercato editoriale digitale e quello tradizionale, con il rischio che…”

Il regno dei numeri dovrebbe offrire per sua natura una qualche garanzia di oggettività: dove abbiamo dati numerici,ci aspetteremmo anche di trovare –al posto di mere opinioni e interpretazioni soggettive e divergenti – analisi pacate, razionali e soprattutto condivise. Disgraziatamente, però, nella realtà su poche cose ci si accapiglia più volentieri che sui dati numerici. I risultati di una tornata elettorale dovrebbero fornire un’indicazione indiscutibile sulle opinioni dell’elettorato, ma prima ancora che quei dati siano definitivi scopriamo che gli stessi numeri sono interpretati in modo opposto dagli opposti schieramenti. I dati di bilancio di una società dovrebbero dirci qualcosa sul suo stato di salute, ma sugli stessi dati un analista finanziario raccomanderà di comprare azioni, un altro suggerirà di venderle.

I dati del mercato editoriale, ovviamente, non fanno eccezione. Con l’aggravante che in questo caso – e in particolare per quanto riguarda l’editoria digitale – spesso non abbiamo neanche dei dati attendibili e univoci sui quali esercitare la nostra indiscutibile capacità di produrre interpretazioni divergenti. Come è noto, Amazon – cioè il singolo soggetto più importante a livello di vendita – non fornisce quasi mai dati, e quando li fornisce, spesso non si tratta dei dati che ci interesserebbe di più conoscere. Il mercato del self-publishing è per sua natura difficile da mappare esattamente. I grandi editori selezionano a loro volta accuratamente i dati da diffondere all’esterno, e hanno talvolta la tendenza a trasformare il loro specifico punto di vista nella ‘situazione di mercato’.

Ci si aspetterebbe però che almeno su alcuni dati macroscopici (il mercato dei libri elettronici è in crescita, si è fermato o sta addirittura ripiegando? In quali direzioni si muovono i rapporti di forza fra cartaceo e digitale?) un minimo di consenso ci fosse. Ebbene, non è così.

Una discussione particolarmente vivace ha riguardato, nell’ottobre scorso, l’articolo del New York Times che – sulla base di dati della Association of American Publishers – parlava di una diminuzione di circa il 10% nelle vendite di e-book nei primi cinque mesi del 2015. A questa stagnazione o addirittura diminuzione nella quota di mercato degli e-book corrisponderebbe da un lato una ripresa delle librerie indipendenti, dall’altro una risalita sia delle vendite di libri su carta, sia degli investimenti degli editori su infrastrutture legate alla filiera ‘fisica’.

Figura 1 - Il discusso articolo del 22 settembre 2015 del New York Times, che suggerisce un'inversione di tendenza nella crescita degli e-book.

Il discusso articolo del 22 settembre 2015 del New York Times, che suggerisce un’inversione di tendenza nella crescita degli e-book

Nei giorni successivi, però, l’articolo e l’analisi del New York Times sono stati sottoposti a un fuoco di fila di critiche (per fare solo un esempio, si veda l’articolo di Mathew Ingram su Fortune). Alla base delle critiche, un problema di grande rilievo: quando si parla di digitale, quanto sono affidabili i dati dell’Association of American Publishers (e più in generale, non solo negli USA: quanto sono affidabili i dati dei grandi editori)? È il mercato del libro elettronico che sta arretrando, o ad arretrare è la quota di quel mercato occupata dai grandi editori ‘tradizionali’?

Questa domanda è da tempo al centro dell’interesse di una figura diventata quasi mitica nel campo degli e-book: Data Guy. Di lui, nonostante l’apparizione pubblica in occasione del convegno Digital Book World del marzo 2016, non si conosce ufficialmente il nome: ha scelto infatti di usare uno pseudonimo (e l’avatar di un ragno) con l’intento dichiarato di mettere al centro dell’attenzione i dati e la loro analisi, e non la persona di chi li elabora e li interpreta. Sappiamo però che collabora direttamente con uno fra i più noti autori emersi dal mondo del self-publishing, Hugh Howey (il suo best-seller fantascientifico Wool, inizialmente autopubblicato, è ora distribuito su carta da Simon & Schuster; i diritti cinematografici sono stati acquisiti da 20th Century Fox e il libro è stato tradotto in numerosi paesi; in Italia l’ha pubblicato Fabbri Editori). Insieme, Howey e Data Guy gestiscono il sito Author Earnings, che raccoglie informazioni sul mercato editoriale visto dal punto di vista degli autori e che pubblica (a scadenze non proprio regolari) gli Author Earnings Reports.

Come suggerisce il nome, Data Guy è un esperto di analisi statistiche (ha dichiarato di aver cominciato a lavorare occupandosi delle analisi delle vendite di videogiochi). Il suo lavoro consiste nel cercare di estrapolare, usando un apposito ‘spider’ (un programma di estrazione automatica dei dati che analizza le pagine pubbliche dei libri in vendita su Amazon: da qui la scelta del ragno come avatar) e partendo dai dati che Amazon fornisce, in particolare quelli relativi alle classifiche dei libri più venduti, alcuni dei famosi dati che Amazon ufficialmente non fornisce. Per farvi un’idea dei suoi metodi e della sua analisi, potete ascoltare il suo intervento via Google Hangout allo Science Fiction & Fantasy Marketing Podcast: è del febbraio scorso e lo trovate nel video qui sotto:

L’obiettivo dichiarato di Data Guy è ricostruire un quadro complessivo delle tendenze del mercato editoriale statunitense (e in particolare di quello digitale) considerate dal punto di vista degli autori. Un quadro che, almeno secondo i suoi estimatori, è più completo e affidabile di quello fornito non solo dai dati ‘di parte’ di singoli attori della filiera, e in particolare della AAP, ma anche di quello fornito da società specializzate ‘indipendenti’ come Nielsen.

Va detto subito che le estrapolazioni di Data Guy sono tutt’altro che universalmente accettate. In passato, lo stesso Data Guy ha ammesso di aver sovrastimato di circa il 18% le vendite degli e-book per Kindle, e diversi analisti hanno criticato alcuni aspetti delle sue metodologie (qui un esempio del maggio 2015, qui un esempio più recente, interessante anche per i commenti, e qui una sintesi complessiva delle discussioni suscitate dall’ultimo report disponibile, quello del febbraio 2016).  Inoltre, queste metodologie si basano inevitabilmente su alcune assunzioni non sempre ovvie, fra cui la correttezza dei (pochi) dati che Amazon effettivamente fornisce, inclusi quelli sulle classifiche di vendita, e una stima tutt’altro che scontata dell’impatto di Kindle Unlimited, l’offerta di abbonamento a pacchetto introdotta da Amazon nel luglio 2014. Infine, nonostante il ruolo indubbiamente dominante di Amazon nel mercato dell’editoria digitale statunitense, è chiaro che soprattutto in alcuni settori (ad esempio l’editoria scientifica e di ricerca) i dati relativi ad Amazon non raccontano affatto l’intera storia.

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Non entrerò qui nel dettaglio né delle analisi di Data Guy né delle obiezioni dei suoi critici. Va del resto sottolineato che i dati di cui parliamo sono relativi al mercato statunitense: dati interessantissimi anche dal nostro punto di vista, giacché si tratta del mercato più rilevante sia in termini di peso sia nella capacità di anticipare e in parte influenzare le linee di tendenza del resto del mondo, ma certo non immediatamente proiettabili sulla situazione europea, e tantomeno su quella italiana.

Vorrei piuttosto soffermarmi sulla conclusione generale che Data Guy ha presentato nel già ricordato intervento di marzo al Digital Book World (le slide complete dell’intervento, interessantissime, sono disponibili qui; per una sintesi delle reazioni all’intervento, complessivamente favorevoli, si veda questo post).

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La slide che apre la presentazione di Data Guy a DBW 2016, da Goodereader

Di quale conclusione si tratta? Data Guy parte da una constatazione: da un lato, i grandi editori rilevano una diminuzione delle vendite di e-book; dall’altro, i negozi on-line continuano a parlare di vendite in aumento. Ebbene, a suo avviso tutti e due i soggetti hanno ragione: è vero che i grandi editori vedono diminuire le vendite di e-book, ma questo succede in primo luogo perché la loro quota di mercato sta a sua volta scendendo a favore dei cosiddetti autori ‘indie’ e del self-publishing. I dati complessivi mostrano effettivamente un rallentamento della crescita (che Data Guy chiama ‘plateau’ e che io ho altrove chiamato ‘scalino’), ma non un suo arresto completo: piuttosto, si assiste a un forte rimescolamento interno dell’equilibrio fra quota del mercato digitale appannaggio dei grandi editori e quota legata ad autori indipendenti e self-publishing.

I grafici qui sotto, tratti dal report di febbraio, rappresentano visivamente questo fenomeno, evidentissimo se si considerano i dati relativi al numero di copie vendute, ma ben chiaro anche sui dati relativi al fatturato:

Diminuzione nella quota dei grandi editori e aumento nella quota degli autori indie nel Report Author Earnings del febbraio 2016: dati relativi al numero di titoli venduti

Diminuzione nella quota dei grandi editori e aumento nella quota degli autori indie nel Report Author Earnings del febbraio 2016: dati relativi al numero di titoli venduti

Diminuzione nella quota dei grandi editori e aumento nella quota degli autori indie nel Report Author Earnings del febbraio 2016: dati relativi al fatturato

Diminuzione nella quota dei grandi editori e aumento nella quota degli autori indie nel Report Author Earnings del febbraio 2016: dati relativi al fatturato

 

Se è certo possibile dissentire da Data Guy sulla dimensione reale di questo fenomeno, è assai difficile negare che il fenomeno esista. Così come è difficile non ritenere che si tratti di un fenomeno che – almeno per il momento – si manifesta soprattutto e in primo luogo nel mercato digitale.

Le ragioni che possono spiegare questa tendenza sono diverse, e includono indubbiamente gli errori fatti da molti fra gli editori tradizionali nell’affrontare le sfide del digitale: errori relativi alle politiche dei prezzi, ai modelli di vendita, ai meccanismi di protezione… in sintesi, alla scarsa capacità di comprendere un mercato assai diverso da quello al quale erano abituati. Ma quello delle responsabilità degli editori è un tema complesso, che sarà meglio discutere in un’altra occasione.

Il punto che ci interessa qui è la conseguenza di questa tendenza. L’impressione è che stiamo assistendo, almeno in questa fase, a una divergenza progressivamente più marcata fra il mercato editoriale digitale e quello tradizionale. Il primo caratterizzato, almeno per quanto riguarda gli e-book, da una presenza via via più forte del self publishing e degli autori indipendenti (che praticano prezzi in media assai più bassi di quelli dell’editoria tradizionale) e da una maggiore presenza della narrativa di genere (romanzi rosa, romanzi storici, gialli, fantascienza e fantasy…). Il secondo caratterizzato da prezzi mediamente più alti, da un ruolo maggiore della grande editoria e da una presenza minore della narrativa di genere, con la conseguenza di una possibile diminuzione del ruolo dei paperback.

Curiosamente, tutti e due gli schieramenti sembrano guardare a questa evoluzione con un certo favore. I fautori della nuova editoria digitale e della sua indipendenza sono più che soddisfatti di veder diminuire la quota di mercato dei grandi editori, e ritengono che la tendenza che si manifesta oggi nel digitale sia destinata quasi automaticamente ad allargarsi in un futuro non lontano anche al mercato cartaceo (che considerano peraltro destinato comunque a perdere progressivamente rilievo). In questa prospettiva, Il fenomeno dei mercati divergenti è dunque visto come una sorta di avvicinamento ‘a tappe’ alla nuova frontiera di un mercato prevalentemente digitale nel quale i grandi gruppi editoriali saranno pesantemente ridimensionati.

D’altro canto i grandi editori tendono a considerare in primo luogo il mercato tradizionale, che conoscono meglio e che è oggi quello economicamente più rilevante, e guardano alla diffusione del self-publishing e dell’editoria indipendente nel mercato digitale come a un fattore che ne abbassa la qualità complessiva e ne diminuisce la forza di attrazione. I mercati divergenti, per loro, hanno l’effetto tutto sommato positivo di far emergere una sostanziale differenza di qualità fra il ‘vero’ mercato editoriale, che rimane quello tradizionale, e un mercato digitale percepito ancora come potenzialmente pericoloso, assai meno redditizio, e che è preferibile veder rinchiuso in una sorta di ghetto, anche a costo di qualche sacrificio.

Il problema è che tutti e due questi atteggiamenti hanno un qualche fondamento e, nel contempo, rischiano di risultare assai miopi sul lungo periodo. Personalmente, non credo che affatto che questo tipo divergenzasia una buona notizia, né per i grandi editori né per i nuovi soggetti del mercato editoriale digitale. Diverso sarebbe il discorso se la divergenza fosse legata a una effettiva, maggiore capacità di sperimentazione di soluzioni editoriali nuove e di nuovi formati da parte del mercato digitale.Ma non è di questo che si parla: di sperimentazioni davvero innovative e interessanti per ora se ne vedono decisamente poche, il self-publishing e gli autori indipendenti che scalano le classifiche di Amazon lo fanno con testi che sono nella maggior parte dei casi deprimenti imitazioni di successi editoriali e di modelli che vengono dall’editoria tradizionale.

Il rischio è di costruire davvero, progressivamente, un’immagine del mercato digitale come mercato di ‘serie B’, e di costruire nel contempo un mercato cartaceo che sceglie di proporsi come qualitativamente superiore e più esclusivo, ma che nel farlo resta incapace di assorbire la lezione di innovazione e flessibilità che viene dal digitale, perde capacità attrattiva verso le giovani generazioni, si illude di aver ‘fermato’ l’avanzata del digitale e di aver raggiunto un equilibrio di lungo periodo, rinchiudendosi di fatto in una bolla artificiale fatta di sicurezze tutt’altro che ben fondate.

Come risultato, gli equilibri attuali (il ‘gradino’) potranno certo durare un po’ più a lungo, ma è bene tener presente che prima o poi tutte le bolle scoppiano, e che più ci si affida a protezioni artificiali, più rischi si corrono quando queste protezioni vengono meno.

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