Scrittore argentino e bibliotecario cieco, Jorge Luis Borges è l’erudito autore di poesie e racconti che ne hanno consacrato la fama internazionale: nella scrittura di Borges i riferimenti letterari si rincorrono attraverso biblioteche, labirinti e dimensioni spazio temporali infinite e confuse. Testi come “Storia universale dell’infamia”, “L’Aleph” e “Finzioni” ne hanno fatto uno degli autori di riferimento del realismo magico, mentre raccolte poetiche come “Fervore di Buenos Aires” lo affermano come lirico dell’ultraismo – L’approfondimento

Poeta, saggista, narratore e bibliotecario, Jorge Francisco Isidoro Luis Borges Acevedo è stato uno scrittore argentino tra i più alti esponenti della letteratura sudamericana, dallo stile severo, ricco d’ispirazioni letterarie e apparizioni fantastiche, il primo a manifestare quella mescolanza di magia e realtà che verrà battezzata come realismo magico, caratteristica della letteratura sudamericana della seconda metà del Novecento.

Vissuto tra il 1899 e il 1986 in Argentina, Jorge Luis Borges aveva una cultura sterminata: era un avido lettore e profondo conoscitore della letteratura europea e americana, dai classici come Dante a poeti come Walt Whitman. Viaggiava frequentemente in Europa, anche per recarsi in Svizzera per le cure agli occhi, essendo affetto da una retinite pigmentosa che lo renderà praticamente cieco prima degli anni Sessanta, senza per questo arrestare il ritmo del suo intenso lavoro di scrittore, lettore e critico letterario.

Fin dall’esordio poetico, Borges aderisce alla corrente Ultraista, un movimento basato sul sistematico rifiuto del modernismo spagnolo fino ad allora dominante; nato in Spagna nel 1918, l’ultraismo fu esportato in Argentina dallo stesso Borges, che sulla rivista letteraria Nosotros ne delineò la poetica in quattro punti fondamentali: l’intento di riportare la lirica alla sua originaria condizione di metafora, l’eliminazione del superfluo e dell’esplicativo, il rifiuto di uno stile manieristico ornamentale e, infine, una maggiore suggestività del testo attraverso la combinazione di immagini.

Questo rifiuto del modernismo si combina, nella lirica di Borges, a un’avversione per la modernità, intesa come realtà storica, evidente fin dalla prima raccolta poetica, Fervore di Buenos Aires (Adelphi, traduzione di Tommaso Scarano), pubblicata nel 1923. Protagonista indiscussa dell’opera lirica è la capitale argentina, rappresentata in tutti quegli aspetti che più la allontanano da un’idea di chiassosa contemporaneità, a favore di una poesia che dà risalto a sobborghi silenziosi e opachi crepuscoli, al largo dalla caotica presenza della folla, del rumore e della luce.

fervore di buenos aires jorge luis borges adelphi

La raccolta, secondo le parole dello stesso autore, preludeva “tutto quel che avrei fatto in seguito” e, in particolare, è una rivendicazione da parte del poeta delle proprie origini argentine, una tematica che tornerà nelle successive raccolte di poesie, come Luna di fronte e Quaderno San Martín (entrambe in J.L.Borges, Tutte le opere, Mondadori, cura di Domenico Porzio e Hado Lyria).

Le poche centinaia di copie risalenti alla prima edizione di Fervore di Buenos Aires, data alle stampe in fretta e furia prima di un viaggio in Europa e rivista da Broges negli anni a seguire, presentavano in copertina un’incisione della sorella dell’autore, diversi refusi all’interno e correzioni apportate a mano dal poeta, aspetti che ne fanno oggi delle preziose rarità, riservate agli intenditori.

Nonostante la poesia fosse la prima e prediletta forma d’espressione dello scrittore argentino, fu la narrativa a procurargli fama internazionale e, soprattutto, i racconti. Prima di una lunga serie di raccolte, Storia universale dell’infamia (Adelphi, traduzione di Angelo Marino e Vittoria Martinetto) esce nel 1935 e colleziona storie finzionali ispirate a vite di criminali realmente esistiti; i racconti tuttavia distorcono e annientano qualsiasi rapporto della narrazione con il reale, a partire dai nomi e dalle date di riferimento fino alla natura degli eventi, slegandoli completamente dal vincolo con la realtà. Nella prefazione a un’edizione successiva della raccolta, Borges scrisse che quei racconti erano “l’irresponsabile gioco di un uomo timido che non è riuscito a convincersi a scrivere racconti brevi, e così si è divertito a cambiare e distorcere le storie di altri uomini”. Quando, nel 1955, Ángel Flores utilizzò per la prima volta la definizione di realismo magico in riferimento a quello stile di scrittura che intreccia elementi magico fantastici a eventi reali, individuò Storia universale dell’infamia come la prima manifestazione del genere, che rimase una presenza costante nella produzione narrativa di Borges.

storia universale dell'infamia jorge luis borges adelphi

Tra le più celebri raccolte di racconti di Borges non si possono non nominare L’Aleph (Adelphi, traduzione di Francesco Tentori Montalto) e Finzioni (Adelphi, traduzione di Antonio Melis), esempi delle più alte vette toccate dall’autore nella sua carriera non solo come scrittore, ma anche come lettore colto ed erudito: i due volumi raccolgono i migliori esempi di trame ricamate a partire da articolati riferimenti letterari che tessono l’intreccio di racconti tanto imprevedibili quanto allegorici, e costellati da manifestazioni di alcuni temi costanti dell’opera di Borges, quali il labirinto, gli specchi, gli scacchi e la biblioteca. Queste topiche fondamentali vengono combinate a una concezione indefinita dello spazio tempo, cuore nevralgico del racconto L’Aleph, che intitola la raccolta: la parola, prima lettera dell’alfabeto ebraico e numero uno della stessa lingua, denota un punto nello spazio che contiene in sé tutti gli altri punti. Nel racconto, il protagonista e alter ego dell’autore si ritrova a scrutare uno di questi Aleph, in un istante che si dilata e crea l’occasione per lo scrittore di fare sfoggio di un’altissima capacità descrittiva, breve ed evocativa.

l'aleph jorge luis borges adelphi

All’interno della raccolta Finzioni si trova invece un altrettanto noto racconto che propone una brillante combinazione di due tematiche onnipresenti nell’opera di Borges, la biblioteca e il labirinto: La biblioteca di Babele presenta al lettore un luogo che raccoglie tutti i libri di 410 pagine possibili secondo combinazioni di lettere tutte diverse tra loro. In questa biblioteca di stanze esagonali, dove le infinite combinazioni danno origine a tanti testi di senso compiuto quante sequenze insensate di lettere, devono, a rigor di logica, trovarsi testi veritieri e non, poiché di tutte le combinazioni almeno una deve essere la Verità, così come una dovrà essere il suo opposto. Ma nell’infinita sequela di scaffali e volumi l’uomo non può distinguere il vero dal falso, trovandosi intrappolato in un labirinto di libri.

finzioni jorge luis borges adelphi

Nuovamente dedicato all’intricato rapporto tra lo spazio e il tempo è Il Libro di sabbia (Adelphi, traduzione di Ilde Carmignani), raccolta di racconti del 1975 in cui il Borges settantenne si trova faccia a faccia con il sé stesso ventenne, il primo seduto a Cambridge, davanti al fiume Charles, l’altro a Ginevra, davanti al Rodano. Questo incontro apre le danze a una serie di racconti tra l’onirico e il fantastico, che immergono il lettore nella mitologia nordica, alla scoperta di una trama che non può avere un inizio né una fine.

il libro di sabbia jorge luis borges adelphi

Nonostante fosse spesso considerato il vincitore d’obbligo del Premio Nobel, Borges non si aggiudicò mai l’ambito premio svedese, pur essendo più volte preso in considerazione. La mancata attribuzione è spesso stata attribuita alle controverse opinioni politiche dello scrittore, che si definiva “individualista e, in quanto tale, sono stato antiperonista, come sono anticomunista, come sono antifascista”. Fu anche un famoso saggista: pubblicò diversi testi di critica e teoria letteraria, tra cui vanno ricordati i Nove saggi danteschi (Adelphi, traduzione di Tommaso Scarano), L’invenzione della poesia. Le lezioni americane (Mondadori, traduzione di Vittoria Martinetto e Angelo Morino) e L’idioma degli argentini (Adelphi, traduzione di Lucia Lorenzini).

l'idioma degli argentini jorge luis borges adelphi

Infine, nello scrivere di Jorge Luis Borges, non si può non sottolineare anche l’appassionata attività di lettore: ogni parola scritta dall’autore argentino contiene in sé l’eco delle sue sterminate letture, della formazione letteraria di stampo europeo, che ne fece un amante di Dante e Ariosto, Cervantes e Apollinaire, Stevenson, Schopenhauer, Kafka, Wilde, che tradusse in spagnolo, Swift e Giovanni Scoto Eriugena, Poe, Emerson e Walt Whitman. Era un amante, prima che conoscitore, della letteratura, il che ne faceva un ottimo bibliotecario, infatti fu a lungo direttore della Biblioteca Nazionale Argentina. A Jorge Luis Borges è ispirato Jorge da Burgos, il bibliotecario cieco de Il nome della Rosa di Umberto Eco, un personaggio severo e austero, che fa da guardiano alla labirintica biblioteca del monastero.

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