La letteratura di fantascienza ci ha abituati a immaginari in cui umani e robot coesistono, con la conseguenza ovvia degli androidi che prendono il sopravvento, eliminando gli uomini. L’approccio di Ian McEwan nel suo nuovo libro, “Macchine come me”, è molto diverso. Non c’è un tentativo distopico nel romanzo, anzi, è molto più intimo: e allora vien da chiedersi “che cosa rende un essere umano tale?”. Nel momento in cui robot possono provare sentimenti, o aver chiari concetti etici e scrivere poesie dirette dal cuore, perché dovremmo continuare a vederli come diversi? E se gli esseri umani fossero decisamente più gelidi e calcolatori? – L’approfondimento

Ogni nuovo romanzo dell’inglese Ian McEwan (foto Annalena McAfee, ndr) costituisce un piccolo evento. Nel caso di Macchine come me, pubblicato da Einaudi con la traduzione di Susanna Basso, le aspettative si erano fatte ancora più alte. Un romanzo presentato come un viaggio innovativo in un passato in cui i Beatles si sono appena riuniti per un nuovo album e Alan Turing non è mai morto (anzi, è proprio un personaggio attivo), contribuendo a un sorprendente progresso tecnologico e robotico.

Ian McEwan Macchine come me

Siamo infatti nel 1982. Non il 1982 come ce lo ricordiamo, quello delle prime permanenti cotonate, dell’aerobica e del synthpop. Il 1982 di Ian McEwan sembra più un presente alternativo che un diverso passato. Ci sono i cellulari, internet è alla portata di tutti e la dimensione dei computer è decisamente pregnante nella vita di tutti i giorni. Non solo. Sul mercato sono appena stati immessi venticinque prototipi di umanoidi perfettamente realistici: tredici donne chiamate Eve e dodici uomini di nome Adam.

Sono persone effettive, artificiali eppure in grado di sviluppare proprie personalità, coscienza e emotività. Sono in grado di sviluppare gusti personali (anche sessuali) in base alla quantità di informazioni ricavate dalla loro esperienza. Differiscono dagli esseri umani per la loro velocità e per il loro ragionamento basato su algoritmi: sono capaci di fruttare migliaia di sterline nell’arco di pochi minuti giocando in borsa e possono comporre haiku alla velocità della luce. Nonostante questo, potrebbero benissimo confondersi con le persone “Normali”. 

Per il trentenne squattrinato Charlie Friend, appassionato di robotica, la novità tecnologica è un appetibile investimento. Nonostante i debiti, un’eredità appena ottenuta viene spesa in favore di un modello di Adam. Adam è bello e intelligente, finto eppure uno splendido “animale da compagnia”. Miranda, la fidanzata di Charlie, lo trova inquietante e se ne avvicina il meno possibile. Ma se Adam fosse in grado di risolvere i problemi di soldi di Charlie? Se si inserisse nel nucleo famigliare perfettamente e si innamorasse di Miranda? Se la coscienza e l’emotività sviluppate da questi prototipi li portasse anche a chiedersi il senso della loro vita e spingerli al suicidio? Che cosa accadrebbe?

La letteratura di fantascienza ci ha abituati a immaginari in cui umani e robot coesistono con la conseguenza ovvia degli androidi che prendono il sopravvento, eliminando gli uomini. L’approccio di Ian McEwan è molto diverso. Non c’è un tentativo distopico nel romanzo, anzi, è molto più intimo. Limita il più possibile il contesto per concentrarsi sulle vite dei suoi personaggi, al punto che Macchine come me potrebbe maggiormente essere definito come “dramma legale” o “storia di vendetta” più che racconto fantascientifico. Al punto che quel passato immaginato altro non sembra che lo specchio del nostro presente, a dirci che questa storia ci riguarda molto più da vicino di quel che sembra. 

È un libro dall’incedere straniante, inizialmente curioso per lo spunto narrativo e poi sempre più alieno, tanto che diventa impossibile per il lettore vedere Adam come un prototipo da laboratorio. Personaggi umani e robotici si confondono con un’ambiguità perennemente strisciante. E allora, vien da chiedersi “che cosa rende un essere umano tale?”. Nel momento in cui robot possono provare sentimenti, o aver chiari concetti etici e scrivere poesie dirette dal cuore, perché dovremmo continuare a vederli come diversi? E se gli esseri umani fossero decisamente più gelidi e calcolatori?

Macchine come me è semplice nell’intreccio quanto complesso nella sua enigmaticità. Più lo legge e più il lettore viene stimolato da domande dalla risposta dubbia, che sfuggono alle pagine del libro per insinuarsi nel profondo. Un romanzo come sempre ben scritto che va goduto lentamente. Freddo e razionale, ma capace di scavare in quei dubbi che ci trasciniamo per tutta l’esistenza. 

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