“Le immagini di vecchi che ci vengono proposte sono falsamente rassicuranti, e soprattutto vogliono indurci a considerare la vecchiaia come quell’età in cui non si sono ancora persi l’entusiasmo, la voglia di vivere e di divertirsi, l’energia e perfino il desiderio sessuale: in una parola, si è dei vecchi ‘giustiì se si è ancora giovani. Un’età insomma che non possiede qualità proprie, visto che si aggrappa a quelle della gioventù. E quindi restare giovani diventa un dovere, cosa che secondo me finisce col sortire l’effetto opposto, provocando ansia e depressione.” – Su ilLibraio.it la riflessione della scrittrice Margherita Giacobino, in libreria con “L’età ridicola”

Di un vecchio occhio ardito l’indomita fiamma

La vecchiaia è un vasto paese in espansione che si trova tutt’attorno a noi, ma che per noi resta straniero fino a quando non ci entriamo – e in certi casi, malauguratamente, anche dopo. Come se non avessimo mai saputo che eravamo diretti proprio lì. Forse per proteggerci dal trauma dell’approdo in terra senile, le immagini di vecchi che ci vengono proposte, nel discorso comune come nella pubblicità, al cinema e spesso anche nei libri, sono falsamente rassicuranti, e soprattutto vogliono indurci a considerare la vecchiaia come quell’età in cui non si sono ancora persi l’entusiasmo, la voglia di vivere e di divertirsi, l’energia e perfino il desiderio sessuale: in una parola, si è dei vecchi “giusti” se si è ancora giovani. Un’età insomma che non possiede qualità proprie, visto che si aggrappa a quelle della gioventù, che non si vuole ammettere come ormai terminata. E quindi restare giovani diventa un dovere, cosa che secondo me finisce col sortire l’effetto opposto, provocando ansia e depressione.

E invece io ho conosciuto l’orgoglio della vecchiaia, l’ho sentito proclamare dalle vecchie e dai vecchi di casa, che sapevano certe cose, e si arrogavano il privilegio di dirle, o addirittura di farle, proprio perché erano vecchi, e non più giovani… Vecchi misantropi e vecchie brontolone che ho amato da piccola, conoscendone i risvolti amorosi; quelli sì mi piacevano, mi sembravano più veri che non i vecchi-giovani di oggi.

In me il desiderio, anzi il bisogno, di scrivere un libro che avesse per protagonista una vecchia ha preso forma negli ultimi anni di vita di mia madre, quando lei usciva da quel vasto paese chiamato vecchiaia e io cominciavo ad avvicinarmici. Naturalmente in quegli anni sono andata spigolando nei libri quel che pensavo potesse servirmi, dall’austero Seneca, che ha pure lui i suoi momenti beati: “Di ogni piacere, il meglio è alla fine. È dolcissima l’età avanzata” a uno dei miei poeti preferiti, Eliot, “I grow old… I grow old / I shall wear the bottom of my trousers rolled” (“Invecchio… invecchio / mi rimboccherò l’orlo dei pantaloni”), ai versi di Pound, rutilanti di ardore e speranza: “Quel che sai amare rimane / il resto è scoria / Quel che sai amare non ti sarà strappato”.

La vecchiaia e l’amore: ormai è ammissibile che i vecchi non debbano limitarsi ad amare protettivamente i nipotini, ma possano anche innamorarsi, e perfino trovare nuovi compagni e compagne di vita. Ma quanto è più interessante, per me, e più vero, parlare di un altro tipo di amore, quella forza vitale che ci abita quasi a dispetto di noi stessi, che guida le nostre scelte e ci dà il coraggio di fare quello che vogliamo veramente fare. Quel tipo di amore che non conosce tempo, in senso reale, non grazie ai chirurghi estetici, agli esercizi tonificanti e ai prodotti di bellezza che possono rendere ancora desiderabile un corpo non più giovane, ma perché una fisionomia realmente amata la si vede sempre nella luce e nella stagione migliore.

Quel che sai amare rimane, dice Pound, e io rivedo mia madre in poltrona, con il gatto disteso sulle ginocchia e un libro in mano. Per lei, che aveva sempre dovuto rubare il tempo della lettura al sonno, i libri erano stati per tutta la vita una vera e propria passione, e nella vecchiaia poteva finalmente permettersi di concedersi orge di lettura. I libri, insieme a Rai Tre, non erano solo la sua finestra sul cortile del mondo, ma anche la sua grande avventura, grazie a loro poteva vivere tante vite e sedersi alla tavola di personaggi illustri, da Elisabetta 1° d’inghilterra a Carlo V di Spagna, che una di umili natali come lei non l’avrebbero mai invitata.

Ma l’amore porta con sé altre passioni, saper amare non è certo blanda tenerezza, si ama con fervore, con combattività, anche con rabbia. Si amano certe persone, certe cose, una certa visione del mondo, la sempre sfuggente e cercata verità… Lo dice anche il poeta dei canti pisani quando evoca “from a fine old eye the unconquered flame”, di un vecchio occhio ardito l’indomita fiamma. Avevo un’amica più grande di me di nome Anita che amava soprattutto la sua indipendenza. Mobile, sfuggente a ogni legame, è da vecchia che ha coronato finalmente il suo sogno di libertà, sganciandosi da ogni vincolo familiare, vivendo sola in una casa a misura sua, liberandosi di tutto quello che le era diventato superfluo. Gli occhi di Anita più che una fiamma erano un’acqua chiara, ma certo indomita – e imprendibile.

Un libro sulla vecchiaia non può non parlare della morte, e non può non parlare dell’amore, a cominciare dall’amore per la vita. Altrimenti non si potrebbe neanche scriverlo, perché in fondo scrivere un libro è una dichiarazione di amore alla vita, altrimenti perché prendersi la briga di condurre a termine un’operazione così lunga e complicata e di incerto esito? La mia vecchia – ho voluto chiamarla semplicemente così, la vecchia, ed evitare il politicamente corretto ‘anziana’ che mi suona tanto ipocrita quando riferito a gente di ottant’anni e più – è ancora alle prese con l’amore terreno, sia sotto forma di ricordo adorante per la compagna perduta, sia come affetto e preoccupazione per le creature che si ritiene affidate, una vecchia amica svampita, un decrepito gatto, e soprattutto una giovane colf-badante che è un po’ una moderna Cappuccetto Rosso inseguita da parenti-lupi… La mia vecchia ha gli umori e lo humor dei vecchi della mia infanzia, guarda la realtà con occhi disincantati e cinico divertimento – anche lo humor è una passione e un compimento che ci si porta dietro e si affina con gli anni. Non è una vecchia-giovane, rassicurante e in forma e sempre pronta a ricominciare (“È penoso cominciare sempre la vita”, diceva Seneca), anzi sa che la sua esistenza sta per arrivare al termine – ma una cosa le resta intera: la lucidità – necessaria del resto a portare avanti la storia. Solo se la mente resta padrona di sé infatti, ahimé, si possono considerare vere le parole del poeta: “Ciò che sai amare non ti sarà strappato”…

L’AUTRICE E IL ROMANZO – Margherita Giacobino vive a Torino, è scrittrice, saggista e traduttrice. Si occupa prevalentemente di gender studies, di letteratura e di cultura lesbica. Ha tradotto, tra gli altri, Emily Brontë, Gustave Flaubert, Margaret Atwood, Dorothy Allison, Audre Lorde. Collabora alla rivista satirica online Aspirina. Il suo primo libro, Un’americana a Parigi (Baldini e Castoldi), è uscito nel 1993 con l’eteronimo di Elinor Rigby. Casalinghe all’inferno è del 1996, per lo stesso editore. Per Eliot, nel 2010, è uscito L’uovo fuori dal cavagno. Ritratto di famiglia con bambina grassa (Mondadori, 2015) è stato tradotto in Francia, in Germania e in Inghilterra.

l'età ridicola

L’età ridicola (Mondadori) racconta una storia sull’amore, la morte, la vecchiaia e il rapporto tra solitudini e differenze, tra una vecchia signora dal pensiero indocile e la sua giovane badante straniera, in un mondo in cui sembra che la vita non valga più niente, ma in cui lo sguardo lucido della protagonista riesce a riportare umanità e senso, bellezza e divertimento.

A quasi novant’anni, la vecchia vive sola a Torino con l’anziano gatto Veleno, felino human friendly, e con i ricordi di un amore finito (la sua compagna, l’amatissima Nora, è morta da molti anni ormai); non ha altro da fare se non tenere il conto dei nuovi dolori alle ossa, ascoltare alla radio notizie di violenze e catastrofi – omicidi, bombe negli aeroporti, siccità –, e fare quattro chiacchiere con l’amica e coetanea Malvina, sempre più smemorata e persa sui sentieri affollati della demenza. La vecchia è decisamente stanca di vivere, stanca “come un vecchio lombrico di cimitero”, ma per fortuna nelle sue giornate c’è Gabriela, un grumo di gioventù operosa proveniente dai Paesi dell’Est e sopravvissuto a una sgangherata odissea familiare. E nella vita di Gabriela, oltre a una sfilza di parenti terribili che tentano di estorcerle più denaro possibile, c’è il cugino Dorin, aspirante terrorista attivamente impegnato nel terrorizzare proprio lei, Gabriela, che rifiuta di sposarlo.

In costante dialogo amoroso con la morte (ha anche provato a morire a comando, come i saggi orientali, ma non ci è riuscita), la vecchia suo malgrado è ancora piena di energia, e si prende cura di ciò che le resta dell’amore: il decrepito Veleno e la sua amica svaporata, che nel frattempo è stata deportata dai parenti serpenti in casa di riposo. E quando oscure minacce incombono su Gabriela, la vecchia leonessa artritica non ci pensa due volte a sfoderare gli artigli per difendere ciò che le è caro.

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