Quanto può essere totalizzante un’amicizia? Ce lo racconta la scrittrice e poetessa russa Marina Cvetaeva (1892-1941) in “Sonecka”, l’opera che ha scritto nel 1937 per celebrare il legame con l’attrice Sof’ja Gollidej, soprannominata per l’appunto Sonecka. Il libro trasmette tutta la devozione che la scrittrice nutre per la sua adorata e che persiste anche quando si dedica a trasporre la loro relazione su carta… – L’approfondimento

Quanto può essere totalizzate un’amicizia? Ce lo racconta la scrittrice e poetessa russa Marina Cvetaeva in Sonecka (Adelphi, traduzione di Luciana Montagnani, a cura di Serena Vitale), l’opera che ha scritto nel 1937 per celebrare il legame con l’attrice  Sof’ja Gollidej, soprannominata per l’appunto Sonecka.

marina cvetaeva

“Fin da subito trattai Sonecka come un oggetto amato, un dono, con quel senso di gioioso possesso che mai, né prima né dopo, ho provato per le persone, e per le cose amate – sempre”, scrive Cvetaeva, nonostante siano passati quasi vent’anni dall’incontro con la donna, avvenuto nel 1919 in una Mosca ancora segnata dalla Rivoluzione.

Sonecka e Marina si conoscono nel modo più naturale – e spontaneo: tramite amici in comune. La prima è un’attrice, la seconda una scrittrice, l’amico in comune un poeta che ha dedicato dei versi a Sonecka.

Il triangolo crea la tensione che porta avanti la relazione, almeno all’inizio. Marina è gelosa dell’attenzione che il poeta riserva a Sonecka: vorrebbe avere questa donna straordinaria solo per sé. E invece tutta Mosca se la contende.

“Tutta la città conosceva Sonecka. Il teatro era sempre pieno. Andavano da Sonecka. «Siete andati a vederla? Piccola, con un vestitino bianco, le trecce… Un incanto!». Nessuno conosceva il suo nome: «Quell’attrice piccolina…»”.

L’essenza di Sonecka è quanto di più diverso da quella di Marina: tanto la prima è volubile e vulnerabile, tanto l’altra è granitica e inscalfibile. Inevitabilmente tra le due donne si crea una relazione totalizzante, che finisce solo perché, a un certo punto, Sonecka si avvia “verso il suo destino di donna”, ossia verso un uomo.

Marina però lo sa già, anche lei ha abbracciato il suo destino. Dal  1912 è sposata con Sergei Efron, un militare che dopo la Rivoluzione si arruola nell’Armata Bianca. Il loro amore è estremamente moderno e libero da costrizioni: la donna, infatti, ha anche relazioni con altre persone, come con il poeta Osip Mandelstam, o con la poetessa Sofia Parnok. 

Negli anni della relazione con Sonecka, il marito di Marina è dato per disperso e la donna vive con le due figlie nella miseria. Suo unico sollievo, l’arte e gli artisti di cui si circonda. E, ovviamente, l’amore per Sonecka.

L’opera, infatti, trasmette tutta la devozione che la scrittrice nutre per la sua adorata Sonecka e che persiste anche quando si dedica a trasporre la loro relazione su carta. Il 1937, l’anno in cui scrive Sonecka, è l’inizio della fine per Marina Cvetaeva: dopo anni in esilio a Praga e a Parigi con la famiglia, rientra in Russia. Il marito, inoltre, è sospettato di essere una spia. 

E cosa può portarle conforto se non rivivere “l’amore più grande” della sua vita? Leggendo Sonecka, infatti, non si percepisce lo strazio dell’autrice ma, al contrario, sono tangibili la vitalità e la passione di una relazione straordinaria.

E nemmeno sembrerebbe l’opera di una scrittrice che si è tolta la vita solo quattro anni dopo aver scritto una storia che celebra l’amore. Cvetaeva, infatti, si è impiccata nel 1941, dopo che il marito e la figlia sono stati incarcerati con l’accusa di spionaggio.

Perché è così che mostra tutta la sua maestria di autrice: raccontandoci una storia biografica permettendoci di viverla in tutta la sua intensità.

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