Behrouz Boochan, giornalista e scrittore di origini curdo-iraniane, è l’autore di “Nessun amico se non le montagne – Prigioniero nell’isola di Manus”, in cui racconta i suoi anni di carcere ed esilio, e dà voce all’impatto fisico e psicologico della detenzione a tempo indefinito sui rifugiati…

“Quando sono arrivato a Manus, ho creato un’altra immagine di me stesso: ho immaginato uno scrittore in una prigione remota. A volte lavoravo mezzo nudo accanto ai recinti della prigione e immaginavo un romanziere rinchiuso proprio lì, in quel posto. Questa immagine è stata di grande aiuto per me. Per anni l’ho tenuta a mente… Sono felice del premio. Prova che le parole hanno ancora il potere di sfidare i sistemi e le organizzazioni disumane… La letteratura ha il potere di darci la libertà“. Lo ha dichiarato Behrouz Boochani in occasione dell’assegnazione del Victorian Prize, il più prestigioso premio letterario australiano. Non il solo riconoscimento, per lui: nel 2018 ha infatti ottenuto anche il premio Anna Politkovskaja per il giornalismo, conferitogli da Internazionale.

Behrouz Boochani

Behrouz Boochan, giornalista, scrittore, poeta e documentarista di origini curdo-iraniane, autore di Nessun amico se non le montagne – Prigioniero nell’isola di Manus (Add, traduzione di Alessandra Maestrini, e con un saggio di Omid Tofighian), da ben 7 anni è detenuto dal governo australiano, e ha scritto il suo memoir autobiografico attraverso migliaia di messaggi WhatsApp.

Boochani, 36 anni, è stato infatti il fondatore della rivista Werya, che gli è costata la messa al bando da parte del regime.

La storia ha inizio nel 2013, a Ilam, nel Kurdistan iraniano. Dopo le intimidazioni e l’arresto di alcuni colleghi giornalisti, Behrouz Boochani raggiunge clandestinamente l’Indonesia e da lì tenta di arrivare in Australia, dove vuole chiedere lo status di rifugiato politico. Intercettato dalle forze militari australiane, viene confinato nel centro di detenzione per immigrati irregolari di Manus Island, in Papua Nuova Guinea. Qui inizia un’intensa campagna di denuncia della politica anti-migratoria australiana e delle umiliazioni cui vengono sottoposti i rifugiati: articoli, documentari e questo libro, digitato in farsi su un cellulare e mandato a Omid Tofighian che lo ha tradotto in inglese.

Nessun amico se non le montagne racconta cinque anni di carcere ed esilio, dando voce all’impatto fisico e psicologico della detenzione a tempo indefinito sui rifugiati.

Fotografia header: credit- Ashley Gilbertson

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