Come cambia, nel corso della nostra vita, la narrazione dell’amicizia? Quando siamo bambini ci ripetono che l’amicizia viene prima di tutto. Poi, crescendo, le cose cambiano. E l’amico si ritrova a essere declassato a ruolo di serie b rispetto ad altri affetti…

Da bambini ci ripetono che l’amicizia viene prima di tutto. Se non abbiamo voglia di andare alla festa di un compagno di classe, i nostri genitori ci costringono con dolcezza, ci dicono di non preoccuparci, che ci divertiremo. Fuori scuola, si accordano tra di loro per farci trascorrere la giornata in compagnia di qualche amico, spesso ignorando le nostre reali simpatie. A volte funziona, altre meno.

In ogni caso una cosa è certa: da bambini non è ammissibile non avere amici. Non è ammissibile da un punto di vista sociale – perché spesso chi è solo è anche più soggetto all’emarginazione – e non è ammissibile da un punto di vista umano – perché, in un mondo di adulti, chi meglio di un amico della tua stessa età può capirti?

Tutto ci ricorda che per raggiungere la felicità è necessario instaurare rapporti d’amicizia. E non solo: più amici puoi vantare, più puoi considerarti felice e fortunato. Il proverbio Chi trova un amico, trova un tesoro, probabilmente è stato formulato apposta per i bambini.

Alcuni avranno provato la gioia di essere corteggiati da tanti amici, altrettanti avranno sperimentato l’orribile sensazione della gelosia e dell’abbandono. I problemi, quando sei piccolo, sono che Giulia è andata a dormire a casa di Michela, che Simone ha fatto il compleanno e si è dimenticato di invitarti, che Mattia di punto in bianco non ti rivolge più attenzioni, che quel gruppetto non fa altro che sparlare di te.

Di fatto, fino a una certa età ogni aspetto della nostra vita ruota attorno agli amici, e anche i libri non fanno altro che ricordarcelo. Chi ha iniziato a leggere durante l’infanzia ne avrà memoria: la maggior parte delle storie destinate ai bambini parla proprio di quanto sia importante – anzi, vitale – l’amicizia: da Il giardino segreto ad Ascolta il mio cuore, passando per Pippi Calzelunghe e Sai fischiare, Johanna?. Per non parlare del grande classico moderno che ha segnato l’infanzia e l’adolescenza di tanti lettori: Harry Potter. La saga di J.K. Rowling è sicuramente un testo di formazione, che affronta tematiche come la morte, la paura, la speranza, la lotta tra il Bene e il Male; ma chi sarebbe Harry senza i suoi amici? Certo, la trama dei romanzi è coinvolgente, l’elemento magico fondamentale, l’azione toglie il fiato, eppure quello che rimane, in fondo, sono le relazioni tra i personaggi. E non le relazioni sentimentali – per quanto stuzzicanti gli intrecci tra Ron e Hermione o tra Harry e Ginny – ma quelle d’amicizia.

Poi arriviamo al liceo. Diventiamo un po’ più grandi, il nostro stile di vita si trasforma, ci approcciamo a nuove letture. Mentre in classe studiamo il De amicitia di Cicerone (che ci spiega, ancora una volta, che l’amicizia è il legame più sincero e nobile di tutti), a casa passiamo le notti con il naso sui primi classici.

E qualcosa inizia a cambiare. Sì, gli amici sono importanti, ma non come una volta. Una nuova presenza s’infiltra tra noi e quelli che un tempo abbiamo considerato le nostre stelle polari; una presenza che adesso viene riconosciuta come prioritaria dall’intera società. Quella presenza è l’amore.

Quando appare l’amore, l’amicizia è costretta a fare un passo indietro. Un cambio di rotta inaspettato e netto, che ci lascia confusi. A volte, soprattutto da ragazzini, non riusciamo a gestire il fidanzamento di un amico, non sopportiamo di essere passati in secondo piano dopo un’intera vita di attenzioni. Restiamo feriti e doloranti mentre tutto il mondo, improvvisamente, sembra concorde nel dirci che stiamo sbagliando, che le priorità sono altre, che è la coppia a venire prima di tutto. 

Anche le narrazioni di cui cominciamo a fruire hanno spostato il loro focus e si incentrano principalmente sugli intrecci amorosi; la storia dell’amicizia continua ancora a esserci, ma è più un sottofondo accessorio che il vero e proprio centro. 

E allora, cosa è cambiato? Perché di punto in bianco l’amico viene declassato a una ruolo di serie b? 

È un pregiudizio maligno, questo, che infetta tutta la struttura della nostra società: da adulti, si sa, i legami di amicizia si allentano (anche se non è detto che l’affetto scemi), mentre la famiglia e le relazioni ricoprono il podio degli affetti da non mettere in discussione. Proprio come un rovesciamento dell’età infantile, da adulti è considerato uno stigma non avere relazioni sentimentali, e non più non avere amici. Soprattutto per le donne, ancora etichettate come zitelle da compatire se non accompagnate da qualcuno. In questo senso, sempre parlando di lettura, una rivoluzione culturale è stata segnata da L’amica geniale di Elena Ferrante, romanzo in cui l’amicizia femminile – quella che, tra l’altro, più viene accusata di invidie, ipocrisie e gelosie – riacquista una posizione centrale, anche a discapito delle altre relazioni (compresa quella genitori – figli).

E così viene da chiedersi come sia possibile gerarchizzare i legami in una scala che possa essere indistintamente uguale per tutti: per chi non è fidanzato o sposato, per chi lo è ma non riconosce comunque superiorità alla propria relazione, per chi non considera la famiglia tale e per chi non ha vuoti relazionali, ma ritiene l’amicizia al pari di tutti gli altri rapporti.

Non è per caso una storia – una delle tante – che ci siamo raccontati per troppo tempo e che, di fatto, non ha nessuna attinenza con la realtà? Chissà se, forse, questa quarantena porterà a cambiare anche la narrazione dell’amicizia.

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