“I desideri fanno rumore” è il primo romanzo per ragazzi scritto da Paolo Di Paolo, la storia (ambientata durante la pandemia da Covid-19) di un’adolescente di nome Caterina, che all’improvviso si accorge di poter sentire i desideri degli altri senza che siano espressi, e il cui nuovo “potere” è destinato a cambiarle la vita – Su ilLibraio.it un estratto

Caterina ha vissuto la Grande Interruzione come una tempesta domestica. La Dad, le giornate monotone e complicatissime, i riti e i baci mancati. Passando il tempo tra cantine e terrazze condominiali, ha cercato di non dimenticare i suoi desideri. Una sera, dopo un blackout, si sente stranissima. E non ci mette molto ad accorgersi che – a proposito di desideri – sente quelli degli altri.

Si apre così I desideri fanno rumore (Giunti), il nuovo romanzo di Paolo Di Paolo (1983), finalista al Campiello Giovani e al Premio Calvino quando aveva 20 anni e ora giornalista, conduttore radiofonico e scrittore (Con Mandami tanta vita, nel 2013, è stato finalista al Premio Strega, mentre con Lontano dagli occhi, nel 2019, ha vinto il Premio Viareggio).

Si tratta del primo libro per ragazzi pubblicato dallo scrittore romano, che esce nella collana ARYA e che vede la protagonista, in piena pandemia da Covid-19, accorgersi all’improvviso del fatto che riesce sente i desideri degli altri senza che siano espressi. Si rivelano senza che lei lo voglia, e non può decidere quando. Sono desideri piccoli e a volte enormi. Quelli della prof di biologia. Quelli dei suoi genitori.

Mezzo busto dello scrittore Paolo Di Paolo

Paolo Di Paolo (foto di Roberto Campanaro)

Quelli dei suoi coetanei. Quelli di Luca. Luca che la osserva, Luca che c’è. Adesso ha la certezza di piacergli, e la cosa non le dà fastidio. Ma questo “potere” la disorienta e la imbarazza: è come vedere nude le persone che ti vivono accanto. In una serata tra amici che finisce male, le accade di sentire un desiderio di Letizia, la ragazza più antipatica che conosca, e tutto si complica terribilmente.

Caterina non può fare finta di niente e, quando cominciano ad arrivarle misteriosi messaggi firmati _sconosciut*, la sua vita diventa un film impazzito, di cui è difficile prevedere il finale…

Copertina del libro I desideri non fanno rumore

Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, pubblichiamo un estratto:

Inutile cercare di capire perché Caterina non volesse parlarne subito. Non le piaceva in generale passare tempo al telefono, questo è sicuro. E comunque, era fatta così: se stabiliva una cosa, non c’era verso di farle cambiare idea. Avrei quindi dovuto aspettare mezza giornata. E non era una giornata qualunque, perché – per l’appunto – era l’ultimo giorno di scuola.

Intanto, ci attendeva l’ultima lezione di Quella di Italiano

Poi, per quanto mi riguardava, l’impegno di scrivere un articolo sulla stranezza di un ultimo giorno di scuola vissuto in modo diverso da tutti gli ultimi giorni di scuola a cui eravamo abituati.

Ci saremmo salutati da lontano. Non avremmo sentito il suono dell’ultima campanella. E insomma, nessun rito, nessun urlo. Nemmeno la possibilità di tirarci addosso acqua e farina.

In ogni caso, non ho perso tempo e ho cominciato a raccogliere le risposte dei miei compagni di classe, per portarmi avanti con il lavoro.

Michele ha detto: «È un ultimo giorno di scuola fantasma. È solo un altro giorno di scuola da casa: alzi le tapparelle, ti siedi davanti al computer…».

Sara ha detto: «Nelle prime settimane era stranissimo, mi svegliavo di cattivo umore, poi mi sono detta: se provo a svegliarmi contenta, la vivrò meglio… Non sempre ci sono riuscita, devo essere sincera».

Alessandro ha detto: «Pensare di chiudere un anno cliccando su “abbandona la chiamata” spezza il cuore. È un’espressio ne troppo romantica?».

Elisa ha detto: «In un anno così strano mi sono sentita un po’ più sola di come ero, perché la scuola fatta in questo modo è un condividere diverso… Anche qualcosa di brutto, se condiviso davvero, sembra meno brutto».

Marco ha detto: «Forse abbiamo perso troppe esperienze, in classe e fuori».

Martina ha detto: «Mi è mancata la scuola proprio come edificio e anche gli intervalli, la ricreazione…».

Paolo ha detto: «La vecchia vita, la vita delle pacche sulle spalle, tornerà? Forse sta già tornando… Comunque, se non avessimo avuto Internet, sarebbe stata molto più dura».

«Da dove si ricomincia allora?» ho chiesto.

«Da un picnic, un telo su un prato, una partita a carte» ha detto Elisa.

Ho preso al volo gli appunti, poi mi sono piazzato davanti allo schermo per l’ultima lezione della mia insegnante preferita. Avevo naturalmente molte aspettative. E anche se non vedevo l’ora di raccogliere i dettagli sulla famosa notizia cattiva, su Letizia e tutto il resto, è bastata la prima frase di Quella di Italiano a conquistare la mia attenzione. Dirò di più: a ipnotizzarmi.

Perché il bello è che se ne è uscita così:

QUELLA DI ITALIANO: «Oggi, ragazze, ragazzi, oggi che è l’ultimo giorno di scuola parliamo di amore. A scuola se ne parla sempre poco, troppo poco, non trovate?».

(Un coro silenzioso: in effetti…)

QUELLA DI ITALIANO: «Bisogna partire per forza da lontano, da quei poeti che ne parlavano sempre come se fosse perduto, lontano. Erano i primi a dirlo nella lingua che sto usando. I primi a dire amor, amore, amanza: “Un amor mi distringe” scriveva uno di loro, e tutti, sotto un sole siciliano del Milleduecento, avevano una donna di cui scrivere, stretta e dipinta nel cuore; e il bello era chiedere a una canzone di correre da lei, ovunque fosse…».

(Un coro silenzioso: a una canzone?)

QUELLA DI ITALIANO: «Poi, di lì a qualche decennio, un trentenne di Firenze si sarebbe ricordato di una bambina incontrata all’età di nove anni. Pensò che avrebbe scritto un libro per dirle quanto gli fosse tremato il cuore e poi almeno quattordicimila versi, centomila parole per immaginarla fissa e eterna nella sua vita e oltre la sua vita come l’orizzonte. Avete capito di chi parlo, spero!».

(Dante, no?)

QUELLA DI ITALIANO: «Un ventenne di Arezzo, una mattina di aprile di qualche decennio più avanti, in una chiesa di Avignone, incontra una donna di nome Laura: decide che scriverà per lei tante poesie quanti sono i giorni di un anno. E non c’è una sola cosa per cui non trovi le parole: gli occhi, i capelli, il sorriso di lei e l’ora, il giorno, il mese, il luogo del loro incontro. Senza i poeti siciliani, senza Dante, senza Petrarca, dire “amore” in italiano sarebbe più difficile: come dire “love” se non ci fosse stato Shakespeare».

(Wow! Mica male.)

QUELLA DI ITALIANO: «Chiunque nella vita provi a scrivere una poesia o una canzone, per forza la scrive anche d’amore.

Sono anche d’amore il novanta per cento dei libri, dei film; e forse non si può parlare d’altro che di questo, almeno fra esseri umani, almeno sul pianeta Terra.

(continua in libreria…)

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