Dal primo Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato (1971) con Gene Wilder all’imminente GGG – Il grande gigante gentile (2016) di Steven Spielberg, passando dalle visioni di Tim Burton e dalla Matilda sei mitica (1996) di Danny De Vito, le opere di Roald Dahl continuano a ispirare l’industria della settima arte – Un approfondimento tratto dalla rivista “Andersen”

A giudicare da quel che accade nella Fabbrica di cioccolato a Mike Tivù, il teledipendente compulsivo rimpicciolito e “trasmesso” nell’etere, l’opinione di Roald Dahl intorno all’uso (e all’abuso) del televisore è piuttosto chiara. Quale fosse il suo parere sul cinema emerge meno dai suoi libri, ma di sicuro il rapporto che ebbe in vita con le trasposizioni filmiche dei suoi racconti fu costellato di piccoli contrasti. D’altronde, il gusto sovversivo e pacatamente scorretto delle sue storie e dei suoi personaggi non sempre è andato a genio ai produttori inglesi o d’oltreoceano, preoccupati, forse, di non incontrare il consenso dei giovani spettatori (e, soprattutto, dei loro genitori!).

la fabbrica di cioccolato

Tutto ha inizio nel 1971, quando il già citato La fabbrica di cioccolato (edito nel 1964) comparve per la prima volta sugli schermi, per la regia di Mel Stuart, che all’epoca aveva già girato Quei quattro giorni di novembre (1964), Se è martedì deve essere il Belgio (1969), I Love My Wife (1970). L’idea pare sia venuta alla figlia del regista dopo aver letto il libro: trovato il produttore, David L. Wolper, il progetto ebbe subito inizio – anche per l’esigenza di pubblicizzare contemporaneamente l’uscita del nuovo prodotto di un’azienda dolciaria in trattativa con Wolper – e con il coinvolgimento dello stesso Dahl alla sceneggiatura. Il risultato è Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato, un film di scarso successo al botteghino, ma diventato un cult con l’home video e le ripetute trasmissioni televisive. A ricoprire il ruolo dello stravagante Willy Wonka c’è Gene Wilder (non Spike Milligan come aveva suggerito lo scrittore), già in sodalizio con Mel Brooks, con cui, tre anni dopo avrebbe girato Frankenstein junior. Qualche differenza rispetto alla storia originale, l’importanza preponderante del ruolo di Wonka rispetto a quello del giovane Charlie, il fatto che anche il bambino e il nonno alla fine cedano alla tentazione (disobbedendo all’ordine di non bere una bibita in grado di farli volare) lasciarono Dahl piuttosto contrariato.

Chissà cosa avrebbe detto del remake di Tim Burton, La fabbrica di cioccolato, uscito nel 2005 con protagonista Johnny Depp. In questo caso nell’intenzione del regista c’era la volontà di far emergere i lati più dark della storia, in un’ambientazione stordente e surreale supportata da effetti speciali di ultimissima generazione, ma anche da imponenti set – il vero fiume di cioccolata, il giardino commestibile – estremamente realistici. Il risultato è esteticamente riuscito, visionario e inquietante, tuttavia la forza della storia rimane anche in questo caso ben racchiusa solo nelle pagine del libro.

Il film che Dahl pare abbia definito del tutto sconcertante fu però un altro, ossia Chi ha paura delle streghe? (1990). Il libro da cui è tratto, Le streghe, era uscito sette anni prima, terrorizzando – di quel terrore gustoso –  i giovani lettori di tutto il mondo. E dire che i buoni presupposti c’erano tutti: un regista britannico, Nicolas Roeg, che nel 1976 aveva portato David Bowie a esordire nella recitazione, con L’uomo che cadde dalle stelle; un produttore americano, Jim Henson, che oltre ad essere un esperto burattinaio era l’inventore dei Muppets; un’attrice, Anjelica Huston, che interpretava magistralmente la Strega Suprema. Eppure, anche questa squadra così a proprio agio nel lavorare intorno all’immaginario non riuscì nell’intento. Quello che probabilmente non convinceva, nell’operazione di restituire sullo schermo luci e ombre della storia di Dahl, era il finale. Un finale lieto ma dolceamaro; non sarà piaciuto al regista? O ai produttori? Chissà, ma era davvero il caso di cambiarlo completamente?

La decisione finale è infatti quella di inventare un nuovo personaggio, una strega buona, che in qualche modo faccia combaciare la conclusione con la più buonista delle risoluzioni, in perfetto american style. Non c’è da sorprendersi dunque se, nonostante la sostanziale fedeltà del resto del film, Roald Dahl non abbia apprezzato questa rivisitazione. Il pubblico, tra l’altro, è stato dalla sua, tanto che, in molti paesi, l’ultima scena è stata tagliata e censurata.

Matilda sei mitica

Il 1990 è l’anno della morte di Dahl; da quel momento i progetti derivati dai suoi libri passano sotto il giudizio della vedova Felicity, che nel 1996 collabora alla produzione di Matilda sei mitica, diretto da Danny De Vito. Rispetto al libro cambia l’ambientazione – siamo negli Stati Uniti – ma non si perde lo spirito originale, in quella che è forse la migliore delle trasposizioni sul grande schermo. Il ruolo della giovane protagonista spetta a Mara Wilson, già vista nel film Mrs. Doubtfire (di Chris Columbus, 1993) tratto da un altro libro per ragazzi, Un padre a ore di Anne Fine.

All’inizio degli anni Duemila Felicity Dahl accetta di incontrare un altro regista interessato a portare l’immaginario di Roald Dahl sul grande schermo: si tratta di Wes Anderson, all’epoca impegnato ad ultimare I Tenenbaum (2001), che, da sempre grande ammiratore dell’autore inglese, aveva intenzione di realizzare un lungometraggio ispirato a Furbo, il signor Volpe! (1970). Ha inizio così un lungo periodo di scrittura, che Anderson e i suoi collaboratori portano avanti direttamente a Gipsy House, l’ultima casa di Dahl: ciò che ne viene fuori è una storia il cui nucleo è estremamente fedele all’originale, con l’aggiunta però, di alcuni personaggi e sottotrame. Il cast è notevole e annovera George Clooney, Meryl Streep, Jason Schwartzman, Bill Murray, Willem Dafoe, Owen Wilson e Adrien Brody. Con Fantastic Mr. Fox (2009) Anderson si mette alla prova con l’animazione, decidendo di girare il film in stop motion – niente digitale, dunque – con l’utilizzo di pupazzi e miniature riprodotte maniacalmente in ogni piccolo particolare e movimenti catturati fotogramma per fotogramma. L’estetica del regista domina la scena – i campi ampi orizzontali, le tinte calde, l’espressività degli sguardi – ma lo spirito di Dahl non ne risente, tutt’altro.

Alla realizzazione di Mr. Fox doveva collaborare anche Henry Selick, grande nome dell’animazione, regista di Nightmare before Christmas (1993), che già aveva lavorato con Anderson a Le avventure acquatiche di Steve Zissou (2003) e che in quegli anni è però impegnato con Coraline, il lungometraggio tratto dal romanzo di Neil Gaiman, che uscirà nel 2008. Non sarebbe stata la prima volta che il nome di Selick sarebbe comparso a fianco a quello di Dahl: è del 1996, il suo James e la pesca gigante, tratto dall’omonimo libro, prodotto da Tim Burton e con il concept design di Lane Smith, altro nome noto nel panorama della letteratura per ragazzi. Le tecniche in questo caso si mescolano e, ad affiancare le riprese più tradizionali, intervengono l’animazione digitale e lo stop motion.

Bisognerà aspettare il 2017, in Italia, per vedere come Steven Spielberg ha approcciato uno dei più conosciuti tra i libri di Roald Dahl nel suo GGG – Il grande gigante gentile, presentato a Cannes e uscito negli Stati Uniti a luglio. Il film, distribuito da Medusa Film in collaborazione con Leone Film Group, arriverà sui nostri schermi a gennaio, e già si preannuncia un notevole campione di incassi. Spielberg, che a un soggetto di Dahl si era già avvicinato producendo i Gremlins di Joe Dante (ispirato al volume propagandistico del 1943, edito da Walt Disney) ha raccontato in diverse interviste di aver amato e raccontato ai suoi figli, più e più volte, la storia dell’amicizia tra il gigante e la piccola Sofia. Forse proprio per questo ha affidato l’adattamento cinematografico a una delle sue più strette collaboratrici, Melissa Mathison. La sceneggiatrice, scomparsa alla fine del 2015, ha voluto visitare Gipsy House e si è posta l’obiettivo di rimanere fedele ai dialoghi e ai personaggi di Dahl.

Il GGG rappresenta la prima collaborazione tra il regista di E.T. e la Disney, casa di produzione del lungometraggio, l’unica con cui ancora non si era messo alla prova. Non è invece la prima volta, però, che la storia di Sofia e del suo altissimo amico passano sullo schermo: nel 1989 lo studio inglese Cosgrove Hall Films produsse Il mio amico gigante di Brian Cosgrove e Mark Hall, un cartone animato arrivato in vhs in Italia nel 1990 e, con un nuovo doppiaggio, nel 1997. Tra l’altro, il 1989 è anche l’anno di Danny, tratto da Danny il campione del mondo (1975), film con Jeremy Irons mai tradotto in italiano.

Come quasi sempre quando si parla di libri e cinema, insomma, il rapporto tra le storie di Dahl e il grande schermo si è snodato lungo un percorso accidentato, che ha visto alternarsi salite e discese, successi di pubblico e non di critica e viceversa. L’ultima prova sarà forse la più attesa, quella che si accolla anche la responsabilità di celebrare nel migliore dei modi il centenario della nascita di Dahl. A lui sarebbe piaciuto? Liccy Dahl e il resto della famiglia sostengono di sì.

LA RIVISTA – Andersen è il più noto e diffuso mensile italiano di informazione sui libri per bambini e ragazzi, la scuola e le politiche di promozione culturale dell’infanzia. Nata nel 1982, la rivista, diretta da Barbara Schiaffino, è un punto di riferimento e di confronto per insegnanti, bibliotecari, educatori, scrittori, illustratori, editori. Andersen è anche su Facebook. Qui le informazioni su come abbonarsi al mensile, che ci ha concesso di pubblicare quest’approfondimento su Roald Dahl e il cinema.

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