Mario Desiati in libreria con il suo terzo romanzo per ragazzi, “Sognando il gatto”, in cui lo scrittore conduce in un mondo rurale ormai dimenticato, dove realtà e magia si confondono e ogni cosa – il cinema, la campagna, l’infanzia – è ammantata d’incanto – Su ilLibraio.it un estratto
Mario Desiati, classe ’77, originario di Martina Franca, autore di romanzi come Spatriati (Einaudi, 2021), Il paese delle spose infelici (Mondadori, 2008, dal quale è stato tratto l’omonimo film di Pippo Mezzapesa) e Ternitti (Mondadori, 2011, finalista al Premio Strega), ha già firmato due romanzi per ragazzi, Mare di zucchero e Con le ali ai piedi, editi da Mondadori nel 2014 e nel 2015.
Ora torna in libreria con la sua terza storia per ragazzi, Sognando il gatto, in cui lo scrittore conduce in un mondo rurale ormai dimenticato, dove realtà e magia si confondono e ogni cosa – il cinema, la campagna, l’infanzia – è ammantata d’incanto.
Sognando il gatto è anche un omaggio a Pier Paolo Pasolini nel centenario della sua nascita.
La trama ci porta a Massafra, in quella Puglia che molto spesso Desiati ha descritto con poesia nelle sue storie. Siamo negli anni Sessanta: il cavone, un fiume ormai secco circondato da rocce e caverne, significa casa per tutti i bambini che non hanno un altro posto dove andare. È qui che vive Cicalino, la testa popolata da sogni e fantasie; solo Pepe e Diavolo, i suoi amici, e Spinetta, il suo vero amore, hanno orecchie pronte ad ascoltarlo e il cuore giusto per capirlo. E quando, con il suo affascinante inferno di macchinari e modernità, in paese arriva una troupe cinematografica che girerà un film di Pasolini, (nella primavera del 1964 lo scrittore, regista e intellettuale girò Il Vangelo secondo Matteo a Matera e diverse città del Mezzogiorno, tra cui Massafra, dove fu ambientata la parte evangelica che si svolge a Cafarnao), i bambini non possono certo immaginare che a farne parte c’è anche Gatto, l’unico adulto capace di vedere il mondo con i loro occhi. E che insegnerà a Cicalino a essere se stesso.
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Spiega Desiati nella nota finale, introducendo un altro tema presente nel romanzo: “Cicalino è tanto strano che agli occhi degli altri poteva sembrare un pazzo, e negli anni Sessanta si poteva ancora finire nei manicomi contro la propria volontà. Nei manicomi si poteva anche rimanere per sempre, e dentro alcuni di questi posti alcuni pazienti venivano legati al letto oppure subivano elettroshock. Tra gli anni Sessanta e Settanta nacque un movimento che mise in discussione la vecchia impostazione degli ospedali psichiatrici e portò alla legge 180 del 1978, che prese il nome di Franco Basaglia, uno psichiatra che chiedeva cure umane per i pazienti psichiatrici…”.
Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, proponiamo un estratto
Il cavone
Io sono stato un bambino speciale. Me lo dicevano tutti quando ero piccolo, i grandi e i miei compagni di scuola, e lo devo ripetere prima di cominciare questa storia, perché io mi sento speciale ancora adesso che nessuno me lo dice più, o almeno non col sorriso sulla bocca o gli occhi socchiusi che avevano
tutti quando si mettevano in silenzio ad ascoltarmi. Dicevano che avevo “il cinema in testa” solo perché mi piaceva raccontare le cose che vedevo, che sognavo, e che qualche volta mi inventavo. Qui “fare cinema” significa che sei uno fuori strada, un po’ toccato e balordo, che gesticoli troppo con le mani e con le parole. Devi stare in guardia quando lo dicono perché a volte la verità è che ti stanno dando del pazzo senza avere il coraggio di dirtelo. “Basta cinema” dicono quando da te vogliono i fatti e non più le parole. Ma a me il cinema non piaceva quando ero piccolo, perché non sapevo neanche cos’era, mi bastava guardare le figure sull’abbecedario che avevo a scuola e immaginavo città così variopinte e mari così profondi, come si fa sempre quando si è piccoli e soli.
Devo cominciare dal cavone perché lì ci finivano i bambini come me. A dieci anni, quando i bambini erano ancora piccoli per lavorare, ma abbastanza grandi per potersela cavare da soli, venivano lasciati dai genitori che andavano in Svizzera o a Torino al Cavone, un fiume seccato in mezzo alle rocce, circondato da piccole grotte dove s’accampavano i poveri, i contadini e l’umanità che una casa non ce l’aveva. Per arrivarci si scendeva dalle scalette di roccia sotto i ponti di ferro che univano i quartieri di Massafra, si varcavano fusti di mirto e ramaglie bruciate e si entrava in un fosso di pietra bianca.
Tra le grave più piccine e le caverne più grandi stava un vero paese, con tutto il necessario per la sopravvivenza, e alle grotte la gente ci aveva messo le porte di legno e le scale di corda. Al cavone c’era Menuccia, una signora che come lavoro si teneva i figli degli altri. Solo che non era una balia come tutte, perché a lei si lasciavano i figli non per poche ore, ma per sempre.
Con lei ci vivevano solo bambini come me. Assomigliavamo ai gatti randagi che si radunano attorno alle teglie degli avanzi. Menuccia abitava in una delle grave più grandi. Ci guardava, ci insegnava le cose, ci dava da mangiare e dormire e affidava tanti compiti. A Menuccia tutti la rispettavano, ma proprio tutti, era rosa e gonfia con i capelli neri e, quando era domenica, se li anneriva con il petrolio e la spazzola diventava luccicante e tetra come un’onice.
Massafra è un paese costruito nelle crepe della terra, con le grave o grotte o sassi come volete chiamarli: era lì che vivevano quelli come noi. Eppure a me era andata bene perché ero nato in una casa di mattoni, ma i miei genitori, che avevano perso tutti i parenti con la guerra, se n’erano andati al Nord, e mi avevano lasciato a Menuccia e ai suoi capelli di petrolio. Mi avevano promesso che sarebbero tornati col caldo. Anche se era settembre e facevano ancora quaranta gradi. Pensavo di rivederli il giorno dopo. E invece capii che era un mese dopo, poi che era un anno dopo, e infine che era per sempre. All’inizio le mandavano soldi, poi dopo un po’ smisero di farlo e Menuccia annunciò che era tempo di smettere conla scuola e andare a lavorare. Così a undici anni diventai grande.
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(continua in libreria…)