“La parola abbondanza deriva dal latino abundantia, dal verbo abundare. La radice di questo termine è delle più illuminanti e liriche al tempo stesso: ci parla di un’onda (unda) che sopraggiunge dal largo…”. Su ilLibraio.it la riflessione di Maria Costanza Boldrini, all’esordio nel romanzo con “Gli anni dell’abbondanza”

L’abbondanza: tra mare, mito e accettazione

La parola abbondanza deriva dal latino abundantia, dal verbo abundare. La radice di questo termine è delle più illuminanti e liriche al tempo stesso: ci parla di un’onda (unda) che sopraggiunge dal largo. Intravediamo la cresta spumosa, la anticipiamo con segreta trepidazione. Eccola, arriva, riversa sulla battigia la sua forza bianca e azzurra, irrora la sabbia fine e la imbibisce della sua liquida bellezza. L’onda è latrice di dovizia, effonde grande quantità di sé laddove arriva con impeto, e generosamente si sposa alla terra. Da lì nasce il concetto di bellezza, da quella schiuma abbondante e feconda: è in quel darsi senza remore del mare alla terra che gli antichi ebbero contezza del bello, nell’abbraccio voluttuoso tra due elementi.

Nel romanzo Gli anni dell’abbondanza*, essa è un testimone generazionale. Potremmo addirittura definirla un vizio di famiglia, o almeno una caratteristica ereditaria, come un sopracciglio grifagno, un mento appuntito… Chissà, azzardando ipotesi genetiche, potremmo dire che è qualcosa che compare solo in presenza di doppi cromosomi X, e non sempre. Succede: non tutti nasciamo con la voce di Barbra Streisand che tanto avremmo desiderato, anche se abbiamo quella nonna che ai suoi tempi gorgheggiava come la Tigre di Cremona. Purtroppo, il riconoscimento dei talenti coi quali si viene al mondo – e la loro messa a frutto – è uno dei cardini su cui ruota cigolando la porta dell’accettazione di sé, la cui chiave ricerchiamo per tutta la vita: riuscire ad aprirla significa poter accedere a qualcosa di simile alla felicità, se non alla felicità stessa.

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Cos’è l’abbondanza: il dono unico e irripetibile di ciascuno di noi

Tuttavia, c’è qualcosa in più nell’abbondanza che ho voluto raccontare, legato ad epoche precipitate nell’oblio, tempi in cui non era noto il contributo maschile al processo di riproduzione. Immaginiamo di essere nella più totale oscurità circa le dinamiche di fecondazione, i concetti di gameti, di embrioni… osserviamo che le donne, a un certo punto della loro vita, iniziano a sanguinare periodicamente e poi, senza ragione apparente, i ventri si gonfiano e, dopo dieci cicli lunari, esse si ritrovano in bilico tra due mondi, sospese sulla rupe del dolore ad aspettare che, sospinte dalle onde che si abbattono sui propri corpi, nuove creature vengano depositate sulla battigia di questa vita.

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Agli occhi di un essere umano antichissimo tutto ciò aveva del divino, del magico, dell’inspiegabile. È un tema che è stato trattato superbamente nel saggio Chi ha cucinato l’ultima cena? della storica, magistrata e giornalista Rosalind Miles. È a quell’inspiegabilità antica e perduta che mi sono appigliata, a quel quid senza ragione né giustificazione, oggigiorno dissolto nella scienza, spesso trovato in romanzi che mi hanno affascinata e plasmata nei gusti e nell’immaginario. In questa intercapedine della realtà, creata da ciò che non è spiegabile attraverso la mera osservazione e la forza della logica, è venuto a crearsi il mito, il luogo psicologico e sociale dove sono conversi lo stupore, la meraviglia, il formidabile e l’ignoto. A mio modo, dunque, spero non troppo goffamente, ho voluto creare un mito, qualcosa che alla me bambina avrebbe spiegato, o giustificato, la sensazione di protezione e magia, di calore e brillantezza che le donne della mia famiglia mi hanno trasmesso.

 

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C’è dell’altro. Nel romanzo, ogni personaggio benedetto (o maledetto) dall’abbondanza la riceve, o la scopre, con tempi e modi ogni volta diversi. Di nuovo, ho voluto raccontare così l’unicità di ogni talento, la personalissima vicenda che investe ognuno nel viaggio dell’eroe, alla scoperta di sé. Il quando, il dove, il come e specialmente il cosa sono sempre differenti e riflettono la singolarità della persona, la sua irripetibilità. In tal senso allora l’abbondanza del romanzo è solo un’iperbole, un’esasperazione, e quindi un invito a trarre il meglio da noi stessi e dalle nostre vite, perché tutti abbondiamo di qualche cosa, di una qualità, di una capacità; la vera sfida è capire di che cosa si tratti, metterla a profitto ma soprattutto amarla.

Gli anni dell'abbondanza di Maria Costanza Boldrini

 

L’AUTRICE* – Maria Costanza Boldrini è laureata in Lingue e specializzata in Giornalismo. Vive in Francia, dove lavora come traduttrice freelance e redattrice per Una parola al giorno, sito di approfondimento linguistico ed etimologico. Gli anni dell’abbondanza è il suo romanzo d’esordio, pubblicato per Nord e disponibile in libreria dal 10 gennaio.

A Valchiara, un piccolo paese dell’Italia del ‘900, vivono i Contini, un’umile famiglia come tante, benvoluta e che conduce un’esistenza povera ma dignitosa. Qualcosa cambia quando Beata, nonostante le proteste della madre, decide di farsi assumere alla Regia Fabbrica dei Sigari. Perché un misterioso miracolo si produce in lei: è la sua abbondanza, un dono che la rende la beniamina delle colleghe zigarare e il bersaglio dell’occhiuto sospetto dei controllori della fabbrica.

Un prodigio che si trasmette anche a sua figlia Clarice e alla nipote Antonia, benedette e maledette, ciascuna a modo suo. Tuttavia l’abbondanza non è sempre e può scomparire, in un attimo, a causa di un grande dolore. Dolori che segneranno la vita delle tre donne nel corso della loro storia e di quella italiana. Ma sapranno rialzarsi a dispetto di ogni difficoltà, anche grazie all’amore dei loro mariti…

Una saga generazionale che attraversa un secolo di storia italiana, dalla fine dell’Ottocento agli anni del benessere, passando per due guerre mondiali, il ventennio fascista e i mesi dell’occupazione nazista.

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