Adelphi ripropone “Marte in Ariete”, uno dei più noti romanzi di Alexander Lernet-Holenia (1897 – 1976). Si tratta di una delle opere più significative nella vasta produzione teatrale, poetica e romanzesca di un autore che ebbe una grande popolarità, prima di venire dimenticato e poi riscoperto insieme agli scrittori austriaci della cosiddetta “finis Austriae”… Un’opera che si sofferma sui momenti spettrali di una realtà implacabile, brutale e violenta

Il conte Wallmoden, ufficiale austriaco della riserva – che ha già combattuto nella prima guerra mondiale -, decide che il 23 agosto del 1939, e cioè pochi mesi dopo l’annessione forzata dell’Austria alla Germania hitleriana, si sarebbe sottoposto all’esercitazione militare di rito, e si ritrova improvvisamente a combattere un’altra volta, nell’invasione-lampo della Polonia.

Il pianeta Marte è entrato nella costellazione dell’Ariete, e brilla sinistramente, pe una sola volta, nel cielo di quello che è uno dei più noti romanzi di Alexander Lernet-Holenia (1897 – 1976), tradotto da Enrico Arosio per Adelphi già alla fine deli Anni Ottanta e ora riproposto dalla casa editrice nella collana dei casi letterari.

Verrebbe da dire finalmente, perché si tratta di una delle opere più significative nella vasta produzione teatrale, poetica e romanzesca di un autore che ebbe una grande popolarità prima di venire prima dimenticato e poi riscoperto insieme agli scrittori austriaci della cosiddetta “finis Austriae”, da Roth a Schnitzler a Zweig per non citarne a che alcuni, insomma quelli che Claudio Magris evocò magistralmente nel suo celebre saggio su Il mito absburgico nella letteratura austriaca moderna (Einaudi). Va aggiunto che non dimostrò una grande considerazione per Lernet Holenia, definendolo “un autore dalla penna facile e disinvolta”, che “cerca di ringiovanire agilmente e di infondere un sapore moderno ai vecchi modi del barocco austriaco”.

Marte in Ariete Alexander Lernet-Holenia

In realtà, letto ora, sembra tutt’altro, uno scrittore che riesce a coniugare realismo e fantastico – magari con qualche eccesso linguistico forse intenzionale visto che per lui “talvolta il nostro cuore è addirittura più forte del nostro cattivo gusto” – in una luce diciamo così postmoderna, e soprattutto che guarda al suo mondo da una prospettiva temporalmente sfalsata rispetto ai predecessori, posto che le su opere maggiori datano del periodo fra gli Anni Trenta e i Cinquanta, sullo sfondo quindi del nazismo, del grande massacro e della riflessione post-bellica sulle colpe della stessa Austria; e sulla ricostruzione possibile di una società civile, di un’etica nuova. Il tutto, lontano davvero da una scrittura “impegnata” o politica. Lernet-Holenia ci parla soprattutto dei momenti spettrali di una realtà che pure urge implacabile, brutale e violenta: ma nello stesso tempo non sappiamo se davvero esista.

Abbiamo da poco letto Il conte Luna (uscito nel 2022 per Adelphi), considerato uno dei suoi capolavori, dove il peso della colpa diventa un’ossessione intorno a un fantasma, in un’avventura che sta tra l’ironico e il comico e si conclude nelle catacombe romane: del resto “le storie più interessanti sono proprio quelle non del tutto spiritiche, ma neanche del tutto naturali”, dice Wallmoden in Marte in Ariete, fedele a questa struttura, che racconta una vita diremmo trasognata.

Il protagonista combatte quasi incidentalmente una guerra di feroce distruzione continuando a pensar a una donna misteriosa che ha baciato a Vienna, che ha sognato, che forse è morta, fino a quando non la ritrova alla fine del romanzo – non proprio lei, qualcuno cui era forse stato rubato il passaporto e con esso l’identità – in una magione signorile polacca abbandonata precipitosamente dai proprietari prima che l’armata tedesca piombasse in zona distruggendo tutto. Ma Wallmoden è un narratore tendenzialmente inattendibile, posto che per lui “non c’è nulla di più preciso e discreto del presentimento umano, e nulla di più prezioso e inadeguato dell’umano intelletto”, e dunque “accade a tutti noi – assai spesso, tra l’altro – per istanti, per giorni, talvolta per lunghi periodi, di ritrovarci in mondi completamente differenti, anche se crediamo di essere qui, e in essi di vivere una vita e di fare cose di cui veramente non sappiamo nulla. Eppure la viviamo, quella vita, e chissà, può anche darsi che sia la nostra vita vera”.

Vale una dichiarazione d‘intenti, non solo letterari, fatta pronunciare al pensieroso ufficiale con l’ovvia tecnica del discorso libero indiretto: quella usata magistralmente in questo romanzo e non solo per creare un ulteriore effetto di straniamento, o di spettralità. Lernet-Holenia scrive infatti in terza persona, definendo nell’incipit Wallmoden come “il protagonista – per non dire l’eroe – di questo veridico racconto”. Il suo punto di vista non è però quello del narratore onnisciente, ma in modo rigoroso quello del protagonista stesso: per questo può benissimo darsi che a tratti menta, ad esempio quando racconta di comandanti apparsi al loro reparto ormai come fantasmi, o del capitano Von Sodoma incontrato di persona mentre torna dal campo di battaglia, e pure molto irritato, che in realtà (in realtà?) è appena morto, composto su una barella.

Quella di Marte in Ariete è una terza persona apparente, persino beffarda: come beffardo sembra lo stesso aggettivo “veridico”, piuttosto impegnativo se vale quanto abbiamo osservato. Va detto che Marte in Ariete ebbe non molti lettori, per una serie di coincidenze: ma alcuni molto attenti. Uscì infatti a puntate, su una elegante rivista (femminile) berlinese, ma l’edizione in volume nel ’41 fu bloccata dalla censura, e i 15 mila volumi già stampati dalla Fisher Verlag “arianizzata” restarono sotto chiave in un magazzino di Lipsia, dove peraltro vennero poi distrutti dai bombardamenti del ’44 e del ‘45.

L’autore, che non aveva ricevuto nemmeno le copie omaggio, riuscì nel primo dopoguerra a consegnare l’opera all’editore grazie a una sua copia delle bozze, fortunosamente sopravvissuta. Il bando era ben motivato, dal punto di vista del Ministero della Propaganda nazista: perché l’invasione della Polonia cui Lernet-Holenia aveva peraltro partecipato, prima di essere ferito e assegnato all’Ufficio cinematografico militare, è descritta come un evento inatteso, insensato (ancora una volta: spettrale) e senza gloria. Inoltre si intuisce, intorno alla misteriosa donna amata, la presenza di un circolo antinazista composto a tutto dire di personaggi “positivi”, se un aggettivo del genere ha senso nei romanzi dello scrittore austriaco.

Dalla censura in poi, divenne una sorta di sorvegliato speciale come Gottfried Benn, il poeta espressionista di cui fu un grande ammiratore a fasi alterne un caro amico. È interessante il giudizio che ne dette il teorico della “arte monologica”, orgogliosamente rinchiuso in quello che definiva “l’esilio interno”: Lernet-Holenia “possiede in alcuni suoi libri quel certo non so che, una scioltezza, qualcosa di faceto, di variamente giocoso, che non va in profondità ma tende all’elegante e al mondano. Qualcosa di assai poco tedesco. E questo, di lui, mi piace molto”. Interessante, si vorrebbe sottolineare, per noi lettori italiani. Perché Leonardo Sciascia, scrivendone a partire da Due Sicilie (romanzo del ’42 pubblicato da Adelphi nel 2017) ne volle invece sottolineare una fervida contraddizione: vide nei suoi romanzi “una dozzinale trama poliziesca che muove una visione del mondo – di quel mondo – sottile e struggente”; e nello stesso tempo, a chiasmo, “un oscuro e angoscioso mistero dell’identità” che trova però “banale scioglimento poliziesco”.

Non è, se non in minima parte, il caso di Marte in Ariete: che in fondo resta un’opera aperta, persino inafferrabile, dove ancora una volta tra realtà narrata e metaforica surrealtà tutta intuita (per esempio una migrazione di gamberi che ricordano un’armata di chele nel cuore di una guerra vista come Apocalisse giovannea) c’è contiguità e confronto, ma nessuna composizione o scioglimento possibile.  In ogni caso, “Wallmoden non era sicurissimo di non avere sognato”

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