In occasione del suo esordio con il romanzo “La felicità non va interrotta”, Anna Bardazzi racconta su ilLibraio.it il suo doppio “viaggio” verso l’Est: uno in Bielorussia, per studio e scoperta, e l’altro vissuto dall’Italia stessa, quando ha ospitato un’accompagnatrice di nome Liuda. “È una storia di amicizia, ma soprattutto di forza: quella che mi hanno insegnato in tutti questi anni le donne bielorusse. (…)”, scrive, ricordandoci che al di là delle proteste, della politica e della storia moderna esistono a Minsk tante “donne che lottano per una vita migliore”

Quando avevo vent’anni ero proprio come Anna. Non a caso le ho dato il mio nome: abbiamo in comune quello, ma anche il grande amore per la Bielorussia, nato più o meno allo stesso modo.

Io, però, non mi sono mai messa in testa di salvare nessuno, ma una promessa alla me di allora, quella che vestiva impacciata sopra le lastre di ghiaccio dell’Est, l’ho fatta: avrei raccontato a qualcuno questa parte di mondo.

Anch’io, quindi, proprio come la mia protagonista, ho respirato i silenzi di bambini sconosciuti che dormivano a pochi centimetri da me, per un mese l’anno, per tanti anni. Ho imparato come si dice anguria, come si pronuncia buonanotte e l’odore che hanno quei sacchetti di plastica, quando arrivano sempre troppo vuoti.

Un giorno, pur senza avere nessuno da salvare, mi son detta: e se andassi là? E così mi sono ritrovata proprio come il mio personaggio a sorvolare distese di alberi innevati, laghi ghiacciati e piccole casette di legno fumanti in cui scorrevano vite che avrei poi conosciuto bene.

Di viaggi così ne ho fatti due, ventenne, come tante persone che in qualche modo sono passate dai progetti di accoglienza dei minori provenienti dalle aree contaminate dal disastro di Chernobyl. Poi, l’incontro che ha cambiato la mia vita: Liuda, in quell’estate del 2005 in cui decidemmo di ospitare un’accompagnatrice anziché un bambino. La stessa persona che, nel mio romanzo, tiene legate Anna e Lena, l’unica che esiste realmente al di fuori delle pagine scritte da me.

Lei la mia Bielorussia, la mia guida personale insieme a chi nel tempo ho incontrato, bielorussi per nascita o per adozione, persone che mi hanno presa per mano e mi hanno mostrato un paese ignorato dai più. Io, da parte mia, sfoggiavo sempre divertita una conoscenza che andava al di là di quell’anguria e di quel buonanotte: anni sui libri a studiare il Paese e Lukashenko per la mia laurea in Scienze Politiche mi permettevano di scoprire un sottobosco, proprio alla base di quelle betulle, sui prati al cui ingresso si leggono i cartelli “vietato entrare, radiazioni”, e dove i miei protagonisti invece entrano e confondono il dolore con l’amore, che nessun altro sapeva maneggiare come me.

anna bardazzi salani le stanze esordienti 2021

A fare da sfondo una Minsk all’apparenza sopita, di cui ho scoperto ogni segreto nei mesi in cui ho vissuto lì lavorando come lettrice all’Università statale. Giornate trascorse a cucire bandiere bianco-rosso-bianche quando ancora in pochi ne conoscevano il significato: una, realizzata in occasione di una manifestazione del 2006, svetta oggi nell’appartamento milanese in cui vivo con mio marito e le nostre figlie, e fa da portafortuna quando esco a sostenere i bielorussi che vivono in Italia. Io, ragazza italiana che si schierava per la libertà dei bielorussi quando ancora le voci erano timide ma le repressioni già violente.

La storia di Anna e Lena non è la mia storia eppure mentre la immaginavo – durante una lunga notte in treno attraversando la Siberia – quando poi la scrivevo e ogni volta che l’ho riletta, ci ho scorso i volti e le parole delle persone che hanno colorato la mia, di storia. Che hanno saputo trasmettermi questo sentimento di appartenenza per una terra che non è la mia patria, eppure è così mia, così chiaramente impressa nella mia memoria da quel primo sorvolo sulle sue foreste innevate.

La loro storia è una storia di amicizia, ma soprattutto di forza: quella che mi hanno insegnato in tutti questi anni – sono ormai diciotto, da quel mio primo viaggio – le donne bielorusse, tenaci, sorridenti, combattenti, dritte nella schiena e verso l’obiettivo. Aver raccontato di loro in questo momento storico, quello in cui hanno preso in mano le redini del loro Paese per traghettarlo verso un futuro dignitoso e finalmente libero, mi rende orgogliosa.

Sapere di poter raccontare, al di là delle proteste, della politica, della storia moderna, l’esistenza di donne che lottano per una vita migliore – Lena, baba Sasha, Liuda, Nastia, Tania – mi ricorda che a volte, sotto la coltre di fango dei primi disgeli di marzo, si cela proprio la felicità.

E di quella felicità ho scritto, e riscriverei altre mille volte, perché rimanga impressa dentro di voi, proprio com’è rimasta dentro di me. Perché la memoria della loro resistenza sia anche la nostra e non vada persa, mai.

L’AUTRICE E IL LIBRO – Anna Bardazzi è nata a Prato e, dopo dieci anni a Parigi (e due figlie), nel 2020 si è trasferita a Milano. Nel 1995 la sua famiglia ha ospitato per la prima volta una bambina nell’ambito del “Progetto Chernobyl”; molti altri sono seguiti nel tempo. Si è laureata in Scienze politiche con una tesi su Lukashenko e ha insegnato a Minsk, alla facoltà di Relazioni internazionali. Oggi si considera “quasi bielorussa”. La felicità non va interrotta (Salani, collana Le stanze) è il suo primo romanzo.

Veniamo alla trama: quando si incontrano per la prima volta, Lena è appena scesa da un aereo ed è una delle migliaia di minori bielorussi mandati in Italia a disintossicarsi dalle radiazioni di Chernobyl; Anna la sta aspettando con i suoi genitori, pronti a ospitarla per un mese, e ha un po’ paura che questa bambina biondissima sia venuta a rubarle l’amore della sua famiglia o, peggio, i suoi giochi.

Ma a entrambe basta un niente per superare la diffidenza e scoprirsi legate da un affetto indissolubile che le renderà ‘sorelle per sempre’, anche quando saranno lontane. Vent’anni dopo sono di nuovo in un aeroporto, stavolta a Minsk. Anna ha studiato Scienze politiche e sacrificato molto di sé per inseguire un sogno: combattere la dittatura che opprime la Bielorussia e salvare l’amica.

Ma anche se Lena è cresciuta tra mille difficoltà – la madre scomparsa, un fratellino disabile, una figlia da crescere da sola – il ruolo della vittima, dell’essere indifeso, proprio non fa per lei. Entrambe, a modo loro, sono due guerriere. Quando si riabbracciano, un’occhiata e tre parole pronunciate a fior di labbra sono sufficienti per capire che tutto sta per cambiare radicalmente. E che forse, prima di pensare agli altri, dovranno imparare a prendersi cura di loro stesse.

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