“Una donna rimasta sola scrive una serie di lettere immaginarie, e racconta, a una persona amica, lo stato di rovina in cui è precipitata la sua vita”. Su ilLibraio.it la scrittrice Violetta Bellocchio parla de “La figliastra”. L’autrice, Caroline Blackwood, celebre negli anni ’70 (il suo primo marito fu Lucian Freud), poi caduta nella semi-oscurità, oggi viene pubblicata di nuovo. Il suo libro è “un consapevole esercizio non di stile, ma di sfinimento…”

Una donna rimasta sola scrive una serie di lettere immaginarie, e racconta, a una persona amica, lo stato di rovina in cui è precipitata la sua vita. La donna passa i giorni chiusa in casa, a macinare astio e rabbia verso un marito che se n’è andato scaricando su di lei la responsabilità di una governante francese, una bambina piccola e – orrore – una ragazza di tredici anni: la figliastra Renata, eredità di un matrimonio precedente, “egoista e ingorda”, “un’inetta totale”. Con ogni lettera Renata per la protagonista diventa un’ossessione sempre maggiore. È il simbolo dei suoi fallimenti, e, insieme, l’ultima sfida lanciata dal marito prima di uscire di scena. I termini della separazione sembrano stabilire che la futura ex moglie avrà una vita molto comoda fino a quando la figliastra abiterà con lei. Cosa scegliere, tra la tranquillità economica e la libertà di ripartire da zero? Come si fa, in concreto, a cacciare via una ragazzina che non sembra volere nessuno?

Codice - Caroline Blackwood

Anche se il repertorio del romanzo gotico resta (in massima parte) inutilizzato, La figliastra (Codice Edizioni) è una storia di fantasmi, e chiede di essere letta a voce alta. Caroline Blackwood in questo era molto abile. Poteva sposare il punto di vista di un personaggio respingente, proprio in nome della difficoltà a entrare in sintonia con lui o lei, e poteva scegliere di portare in scena episodi minori, uno dopo l’altro, consapevole che era il sapore di una pagina a contare davvero, molto più di una singola frase tagliente.

Caroline Blackwood

“Girl in Bed” (1952) di Lucian Freud

Celebre negli anni ’70 e poi caduta nella semi-oscurità, oggi Blackwood viene pubblicata di nuovo, forse anche per l’onda lunga di una biografia che metteva in primo piano la sua vita personale (Dangerous Muse: The Life of Lady Caroline Blackwood, Doubleday), oltre che per l’enorme fama ottenuta dall’artista che fu il suo primo marito, Lucian Freud. Quindi non è difficile scoprire i segreti dei suoi tre matrimoni, o le vicende dei suoi familiari, gli eredi della fortuna Guinness.

Mrs Webster

Non serve, però, indagare troppo sui presunti collegamenti tra episodi privati e letteratura (anche perché ci ha pensato l’autrice quando era viva: il romanzo Mrs. Webster – Elliot Edizioni – raccontava una famiglia ispirata da vicino al clan Guinness).

Più interessanti sono le testimonianze di chi con Blackwood ci lavorava: “Bisognava avere grande cura di Caroline per ottenere il meglio da lei”, diceva l’amico Alan Ross, il suo primo vero editor e il primo a farla scrivere con una certa continuità. “In caso contrario, si scatenava il caos”. Nelle pagine della Figliastra quel caos non è rimasto – forse non ci è mai arrivato – ma la cura ricevuta si sente, oggi, nel distacco con cui Blackwood sceglieva di scrivere. Tra l’autrice e la pagina c’è una distanza talmente profonda da diventare una presa di posizione, se non un manifesto delle proprie intenzioni nella narrativa. Blackwood era brava a giocare di sottrazione, a creare una tensione micidiale per poi lasciare che si allentasse alla luce di una rivelazione minore, semplice: la soluzione – capire e vedere “com’era andata davvero” – poteva essere molto più strana di quanto sembrava intendere la premessa; una trama oscura poteva risolversi in un nulla di fatto. La chiusura di una storia, spesso, non dava risposte.

Caroline Blackwood

L’autrice in una foto di Walker Evans del 1958 (che ha scattato anche la foto grande – credits: Codice Edizione)

La figliastra è un consapevole esercizio non di stile, ma di sfinimento. Per cinquanta pagine si sta immersi nel vortice di paranoie che può generare soltanto la voce narrante di chi, in un determinato momento, non sta facendo assolutamente nulla, e rimanda all’infinito il momento di prendere una decisione in apparenza cruciale. Poi, via via, emerge la presenza di Renata, l’inquilina fantasma che infesta una casa crollata nel peggiore dei modi, nonostante l’attenzione riservata all’arredamento e al decoro borghese. Una ragazza spinta ai margini dell’azione, ma dotata di una gentilezza e una consapevolezza che la matrigna scambia per passività, e che filano via così, quasi inosservate, fino alla fine.

 


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