Punk sì, ma (neo)melodici (e filosovietici): i CCCP – Fedeli alla linea (“ma la linea non c’è”), nati più di quarant’anni fa nel cuore di una Berlino e di un’Europa divisa, dall’incontro di Giovanni Lindo Ferretti e Massimo Zamboni. Riscopriamo la loro unicità (e attualità) attraverso le loro canzoni: da “Io sto bene” a “Emilia Paranoica”, passando per “Noia” e molte altre

Il cuore della Nuova Europa

Nel 1981 un ragazzo emiliano è a Berlino. Ventiquattro anni, ha abbandonato medicina per la facoltà di lingue e letterature straniere – pretesto per viaggiare. Arriverà in autostop nella capitale divisa. Una sera, in un locale di Adenauerplatz, conoscerà un concittadino di Reggio, presentato da un’amica comune. È presumibilmente ubriaco: balla i Doors girando su se stesso, a braccia aperte, come un forsennato. Si è lasciato alle spalle gli anni devastanti di operatore psichiatrico e le delusioni di Lotta Continua, sta per partire per la Tunisia. La scintilla tra loro è immediata.

“Un immediato sistema a incastro”, scriverà Massimo Zamboni, “formidabile l’ego di coppia, noi”.

Volevamo fare musica moderna, volevamo dire la nostra
Fieri e orgogliosi
Tempi moderni, 1989

Tuwat. È fatta. il giovane studente alla chitarra e Giovanni, il ballerino di Alabama Song, alla voce: nessuno dei due è musicista o cantante, solo dopo arriveranno Annarella Giudici “Benemerita soubrette” e Danilo Fatur, “Artista del Popolo”. E il rientro in Italia, con alle spalle l’irripetibile esperienza in una città divisa, multietnica, rifugio di disperati, dissidenti, punk e non punk, “la dolcezza più grande, la violenza più estrema (…) il cuore della Nuova Europa”

C’era un basso melodico, una chitarra gratuggiata, una batteria elettrica, io urlavo sempre
GLF, L’Avvenire

Libretto Rozzo dei CCCP e dei CSI

Profezia è predire il presente

Quella di Giovanni Lindo Ferretti non è un faccia che si dimentica. Magra, lineamenti scavati, le orbite sono due caverne scure. Né giovane né vecchia, la definirà Morselli: un volto atemporale.

Ferretti è stato il leader, cantante e fondatore insieme a Zamboni di quello che è a oggi considerato uno dei più influenti gruppi punk rock del nostro Paese: i CCCP – Fedeli alla linea.

Ai fan più attenti non è sfuggito il quarantennale del gruppo, nel 2022, con la riedizione di un piccolo oggetto di culto, il Libretto Rozzo dei CCCP e dei CSI.

Il libro ripropone i testi dei due gruppi non secondo criteri cronologici o di discografia ma per grandi temi, idee, suggestioni, anticipati dalle inedite riflessioni di Ferretti e Zamboni. È ormai noto che i due artisti hanno preso strade diverse, artisticamente e umanamente, motivo per cui le recenti apparizioni congiunte in un pubblico sono state piacevolmente inattese.

Particolarmente commovente la foto apparsa qualche mese fa dei CCCP riuniti: Zamboni e Ferretti, ma anche Annarella Fatur, fotografati a Cerreto Alpi. L’occasione non è un revival, ma quella di raccontare nel docufilm Kissing Gorbaciov la propria esperienza di gruppo spedito a suonare nell’Unione Sovietica del neoeletto Michail Gorbačëv, tra le periferie di Mosca e Leningrado, quello che Ferretti definì “il posto per noi… sull’orlo della disgregazione”.

Liturgia come azione per il popolo

Io non adoro quello che voi adorate
né voi adorate quello che io adoro
io non venero quello che voi venerate
né voi venerate quello che io venero

Che musica fanno i CCCP, gli emiliani che non sanno suonare? Punk-rock. Molto punk e poco rock, visto che del secondo rifiuteranno il “giovanilismo sfrontato e becero”.

Il rock è una musica vacua, onnipotente, mentre il punk è qualcosa di diverso: un atteggiamento di vita prima che un genere musicale, che diventa per Ferretti e Zamboni se non l’unico il migliore codice per veicolare quell’autenticità, quella necessità che dal palco vogliono scaraventare fuori. Coi punk ci litigheranno anche: anarchici, estremamente politicizzati, additeranno spesso i CCCP come traditori. Il punk italiano in quegli anni si configurava come in aperto e spesso scenografico rifiuto verso la società, intesa come politica, costumi e tradizioni, scivolando nel solco dell’anarchia.

Per Ferretti e Zamboni la chiave di lettura è un’altra. Tra i numerosi materiali che distribuiranno nella loro carriera, nell’aprile 1987 in un volantino lo definiranno “una sorta di magma mistico che protegge la propria essenza ostentando il contrario”.

Filosovietici, non stupidi

Il punk dei CCCP si proclama anche filosovietico:

È soprattutto una questione di cuore (..) Noi vorremmo perseverare nella nostra attività senza diventare la parodia di nessun gruppo americano, nessun gruppo inglese, senza diventare la parodia di nessun gruppo dell’Est. Noi siamo emiliano-romagnoli e siamo filosovietici
Intervista TG1 22 dicembre 1986

Essere filosovietici per i CCCP non significava esser comunisti, ma essere contro: contro l’omologazione acritica, contro un progresso materiale cieco e alienante, contro il destino a una vita già scritta, uno quotidianità sempre grigia e sempre uguale. Nessuna posa: i CCCP sono dalla parte del mondo dell’acciaio e del cemento dell’Unione Sovietica contro quello di plastica e pailettes dell’America. Molto probabilmente, come nota Michele Rossi, se l’origine dei nostri fosse stata nella culla del socialismo il loro lavoro linguistico, musicale e simbolico sarebbe stato tutto proteso contro la retorica anticapitalista imperante.

L’idea era che il mondo fosse diviso in due: l’Impero del Bene, rappresentato in quegli anni da Reagan, e l’Impero del Male. Noi facevamo parte dell’Impero del Male per un semplice problema di equilibrio e il nostro scopo era fare propaganda a quel pezzo di mondo. (…)

Di conseguenza scegliamo l’est, e non tanto per ragioni politiche, quanto etiche ed estetiche. All’effimero occidentale preferiamo il duraturo, alla plastica l’acciaio, alla freddezza il calore, ma al calore la freddezza. Ognuno ha l’immaginario che si merita. Alle discoteche preferiamo i mausolei, alla Break Dance il cambio della guardia.

GLF

Ortodossia cccp

Musica da ballo per giovani proletari

I CCCP arrivano dall’Emilia, “la più filosovietica tra le province dell’impero americano”. Il filosovietismo è un modo per riappropriarsi della loro storia, per non perderla inseguendo l’esterofilia alla moda nel panorama musicale del tempo. Il titolo del loro primo EP, Ortodossia, è già un manifesto.

I CCCP sono punk sì, ma (neo)melodici. Gusto per il paradosso? Anche. Ma d’altronde il melodico emiliano non è necessariamente liscio, e il punk non è necessariamente ruvido. Non si possono dimenticare le sonorità di Oh! Battagliero, la commovente e revisitatissima Amandoti e la strofa incastonata in Valium Tavor Serenase dedicata all’Emilia, struggente e stupefacente valzer nel cuore di una canzone febbrile e concitata.

Invece di pensare, continua a salmodiare

Facendo il cantante senza saper cantare – dirà Ferretti in un’intervista – non posso che cercare il ritmo, la ragion d’essere delle parole.

A Berlino non ha incontrato solo l’universo underground giovanile, ma anche il Medio Oriente e il mondo islamico: “il retroterra culturale e fisico dei CCCP” (Tondelli su L’Espresso del 1984.)

Alle simbologie del dogmatismo comunista si affiancano suggestioni spirituali e islamiche, a cominciare dallo stesso modo di cantare. Ben lontano dalle grida biascicate e confuse del punk inglese, le parole sono ben scandite, ipnotiche, salmodiate: diventano slogan dallo stupefacente potere evocativo. Il fascino della parola.

1964-1985 Affinità-divergenze fra il compagno Togliatti e noi – Del conseguimento della maggiore età

Durante il loro periodo di attività i CCCP pubblicheranno quattro album in studio. Nessuno è dimenticabile, ma è Affinità e divergenze a irrompere nella storia della musica indipendente italiana, senza che se ne prevedesse l’avanzata.

L’album arriva con Attack Punk Records nel 1986. Siberia dei Diaframma e Desaparesido dei Litfiba sono usciti solo poco, si comincia a giocare con sonorità sperimentali e new wave, ma qui c’è molto altro. La musica è incalzante, a tratti distorta, i ritmi forsennati, i testi sono formule magiche urlate a squarciagola: una furia hardcore che è un turbinio di paranoia, abusi farmacologici, solitudine, desolazione. Nessuno aveva osato tanto.

Il titolo si rifà letteralmente a un editoriale del Quotidiano del Popolo datato 1962. Il Quotidiano era un organo del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese: che la scelta fosse l’occasione per ribadire la propria fedeltà al mondo dell’acciaio e del cemento o una mera suggestione esterofila non ha importanza.

Il disco è un successo inaspettato, ed è a oggi considerato il miglior album punk-rock italiano. Canzoni come Io sto bene fanno parte del un patrimonio culturale comune ancora oggi dopo più di trent’anni: gli accordi sono semplici, essenziali ma ipnotici nella loro reiterazioni, i testi sempre più scarni in un alternarsi gridato di frasi criptiche e nebbiose e altre di prosaica chiarezza, nelle quali molti hanno visto l’eco dell’appiattimento più emotivo che culturale dell’Italia craxiana. L’inno di una generazione senza presente:

Non studio, non lavoro, non guardo la tv
Non vado al cinema, non faccio sport

L’apatia è forte anche in Trafitto e in Noia: nel primo brano ritorna la volontà di andare contro

(bel mezzo del progresso… tifiamo rivolta), ma i desideri sono fragili, la volontà ovattata.

Nel secondo, una drum machine entra sola e le parole dilatate di Ferretti sono un lamento quasi funebre, dove normalità e letalità intrecciano i loro destini tra giochi di parole e urla distorte di voci e strumenti.

Morire è un manifesto esistenzialista (cfr Patrizio Ruviglioni) contro l’individualismo capitalista, che non ha paura di esplorare l’ambiguità di pensiero onorando al contempo Yukio Mishima e Majakovskij, poeta della Rivoluzione il secondo e tradizionalista e militarista il primo. Impossibile dimenticare l’elettrica furiosa a cavallo della quale Ferretti declama lo slogan della modernità: Produci Consuma Crepa.

C’è spazio per l’amore? C’è spazio anche per l’amore. In Curami è medicazione, sedazione, droga: di fronte a un destino di una distruzione che è autodistruzione invoco ossessivamente una mano salvifica che possa strapparmi, almeno per poco, dal dolore di vivere.

Mi ami?, ispirata ai Frammenti di Barthes, è invece una vera canzone d’amore punk. L’incipit, uno scherzo volgare, lascia presto il posto a un ritmo sempre più accelerato, a un cuore che batte all’impazzata in un gioco di avvicinamento, desiderio, paura, estasi.

Io attendo allucinato la situazione estrema
Un grande sogno nitido chiedendo alla tua pelle
Con dita di barbiere un’amorosa quiete, un’amorosa quiete

E se Affinità e Divergenze ci ha dato il benvenuto in cirillico con la breve CCCP, dobbiamo arrivare alla fine dell’album per venire catapultati in Emilia Paranoica: oltre sette allucinati minuti di tensione quasi psicotica, terrificante mappatura al cardiopalma di luoghi prima interiori dove agitazione e sedazione si mescolano nell’attesa di un amore, un gesto di rottura, un’emozione sempre più indefinibile.

Emilia di notti, dissolversi stupide sparire una ad una
Impotenti in un posto nuovo dell’ARCI
Emilia di notti agitate per riempire la vita
Emilia di notti tranquille in cui seduzione è dormire
Emilia di notti ricordo senza che torni la felicità
Emilia di notti d’attesa di non so più quale amor mio che non muore

Fedeli alla linea, ma la linea non c’è

Genio è colui che da una regola all’arte, ed è impossibile trovare pregressi a un album simile: certo, dalla Germania arrivano le influenze elettroniche e industrial di gruppi come i Kraftwerk e Einsturzende Neubaten, dall’Italia la musica da ballo e le sonorità di Franco Battiato, ma di fatto una simile commistione non si era mai vista. Affinità e divergenze è un viaggio inedito, dalla provincia italiana alle avanguardie internazionali.

I CCCP ci hanno regalato uno dei lavori più importanti della musica indipendente italiana e trascinato in una viaggio immaginifico e paranoico dall’URSS a Reggio, da Carpi al Tuwat, da Tiro e Sidone a Beirut, da dentro a fuori e da fuori a dentro. Profondamente radicati nella tradizione e al tempo stesso proiettati nell’inedito e nel mondo, arrivati troppo tardi o forse troppo presto in un tempo che non assomigliava al nostro.

Il gruppo nato nel cuore di una Berlino e di un’Europa divisa si scioglierà nel 1990, dopo la riunificazione tedesca. Dalle loro ceneri nasceranno i CSI, verranno altri progetti, muteranno i rapporti e cambieranno i desideri, com’è nella natura delle cose. A noi non resta che ringraziare la congiuntura geografica, culturale e umana che ha portato a quell’incontro, in una notte di oltre quarant’anni fa, in un Mondo che non esiste più.

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