“Il potere evocativo della musica è una cosa così naturale che non mi sono mai soffermata a ragionarci davvero, fino a quando, nel corso della scrittura de ‘La stagione più crudele’, ho riletto alcuni dei romanzi di formazione che ho amato…”. Su ilLibraio.it la riflessione di Chiara Deiana, al debutto narrativo, in cui l’autrice parla di neuroscienze e cita band come i Nirvana e autrici e autori come Simona Vinci, Raul Montanari, Andrea Pomella ed Enrico Brizzi

Sto lavorando al computer, la musica in sottofondo è in riproduzione casuale da una vecchia playlist – un mix psichedelico di canzoni molto diverse tra loro –, sono concentrata, a malapena mi rendo conto di quello che ho attorno – le mie gatte che dormono al sole, in questo periodo che lavoro da casa –, ma a un tratto passa Heart-Shaped Box dei Nirvana, la riconosco già dalle prime note e, anche se non la sentivo da un po’, a un tratto ricordo tutte le parole a memoria.

Già prima dell’attacco del ritornello il mondo si ferma e non sono più qui. La musica mi trascina indietro nel tempo, in un’altra città, in un’altra casa, portando con sé il sapore del tè freddo d’estate, la casa vuota senza i miei, le tapparelle della camera abbassate, le lenzuola fresche sotto la schiena e lo stereo acceso a un volume imbarazzante, così forte da distorcere la melodia e farmi tremare le costole.

Il potere evocativo della musica è una cosa così naturale che non mi sono mai soffermata a ragionarci davvero, fino a quando, nel corso della scrittura de La stagione più crudele, ho riletto alcuni dei romanzi di formazione che ho amato.

Tra i miei preferiti ci sono sicuramente: Dei bambini non si sa niente di Simona Vinci, in cui suona in sottofondo Black Hole Sun dei Soundgarden; Il regno degli amici di Raul Montanari, in cui i protagonisti crescono ascoltando i Led Zeppelin; e ancora Anni luce di Andrea Pomella, in cui i Pearl Jam diventano il collante di un’amicizia maschile; infine, un classico imperdibile: Jack frusciante è uscito dal gruppo di Enrico Brizzi, in cui il rock è quasi uno dei protagonisti, con citazioni dagli Smiths ai Red Hot Chili Peppers.

Guardando a fondo, ho notato che in questi romanzi – e in questo genere in particolare – la musica fa parte del viaggio che accompagna la narrazione, diventando più che una semplice colonna sonora: è una porta di accesso alla memoria anche per il lettore.

Perché la musica si lega così tanto ai nostri ricordi?

Le neuroscienze –  una mia antica passione, e anche la materia in cui mi sono laureata – mi sono venute in soccorso. La scienza ci dice che tutti tendiamo naturalmente a riascoltare le canzoni che abbiamo amato: è una musica famigliare che, per l’effetto dell’anticipazione dei punti che più ci piacciono, attiva il rilascio di neurotrasmettitori associati al piacere – dopamina, serotonina e ossitocina. Si crea così una sorta di “nostalgia neuronale”, che restituisce le sensazioni e la gioia provate in quegli anni.

L’ascolto della musica stimola diverse aree del cervello: la corteccia uditiva, necessaria per integrare tutti gli elementi (ritmo, melodia e armonia); la corteccia premotoria, necessaria per gestire e coordinare i movimenti (impossibile, se la musica ci piace, trattenersi dal cantare e ballare); e anche l’ippocampo, l’area del cervello deputata alla memoria, che ci permette di ricordare i momenti salienti della nostra vita. Questa attivazione, ci dicono gli studi, non è collegata a un particolare genere musicale, ma solo all’emozione, e alla valenza autobiografica che attribuiamo a quella particolare canzone.

A tutto questo va aggiunto un elemento fondamentale: il cosiddetto reminescence bump, un fenomeno per il quale ricordiamo di più quello che ci è successo da adolescenti – tra i 12 e i 22 anni – rispetto al resto degli altri fatti della nostra vita.

L’adolescenza, infatti, è un viaggio pieno di “prime volte” (il primo bacio, le prime uscite la sera, il primo giro in motorino, il primo viaggio da soli…) e i ricordi legati a quel periodo diventano indelebili per la loro stessa natura: sono spesso positivi e sentiamo che hanno avuto una forte influenza nel definire la persona che siamo diventati.

E a questo si legano le canzoni: quelli sono gli anni in cui, tendenzialmente, si ha più tempo libero da dedicare alla musica, e l’ascolto ripetuto aiuta a creare la famigliarità necessaria alla connessione tra canzone ed evento.

Succede così che la musica diventa la colonna sonora dei nostri ricordi, e noi la amiamo ancora di più per questo.

Durante la scrittura de La stagione più crudele, per dare forma al mondo di Asia, la mia protagonista, mi sono aggrappata alla musica per ricordare con esattezza le atmosfere di fine anni 90 che ho vissuto quando avevo circa la sua età. I Nirvana sono una passione che condivido con lei e sono stati il “portale neurologico” per i miei ricordi.

Sono canzoni come Lithium o In bloom, infatti, che mi strappano dalla mia vita di trentenne, che mi portano via dal computer nella mia casa di Milano, per tornare a essere poco più che ventenne mentre apro gli scatoloni nella mia nuova casa da fuorisede, oppure una quindicenne che attraversa la periferia su un autobus con i sedili pieni di scritte, e ancora, una ragazzina di dodici anni che pedala veloce sulla strada deserta in un paesino di campagna d’estate.

Chiara Deiana, La stagione più crudele

L’AUTRICEChiara Deiana è all’esordio con La stagione più crudele (Mondadori). L’autrice, classe ’89, laureata in Neuroscienze all’università di Trieste, vive a Milano, dove lavora come redattrice. In precedenza ha frequentato la Scuola di scrittura Belleville. Nel suo primo romanzo racconta l’estate in cui tutto, per la 12enne Asia, cambia: i suoi genitori si stanno separando, e lei non sa più a cosa appartiene. Non alla dimensione popolata di vampiri e cani assassini in cui non vedeva l’ora di tuffarsi insieme ai suoi amici, ma nemmeno a quella degli adulti, che si comportano in maniera incomprensibile. L’infanzia le si sgretola tra le mani prima che lei abbia la minima idea di cosa mai potrà prenderne il posto.

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