La rock lit è una certezza: anche grazie ai calembour letterari migliora nell’invecchiare. E allora, per chi con le cuffiette in mano proprio non sa stare, ecco servita una playlist di titoli tutta da amare: da “La Sonata a Kreutzer” di Lev Tolstoj a “La Torre nera” di Stephen King, passando per “Alta fedeltà” di Nick Hornby e “American Psycho” di Bret Easton Ellis, senza dimenticare “Il Gruppo” di Joseph O’Connor – L’approfondimento

Nell’era dello sharing liquido e della connettività tout court, dove l’Hi-fi è di nicchia e la qualità dell’ascolto è tutta una questione di AirPods, la riproduzione della colonna sonora di un libro, unitamente alla sua fruizione, arricchisce il terreno di lettura di contenuti premium, garantendo l’accesso a riflessioni, e approfondimenti, i più stratificati e ipertestuali. Che si tratti, invero, di semplice refrain di accompagnamento all’intreccio narrativo o di legatura essenziale al portamento dello storytelling, l’inserimento della citazione melodica in seno all’esperienza letteraria sviluppa la trama, modulandone l’intensità ben oltre le pieghe della brossura. E non solo per un “effetto immedesimazione”: se è vero che la dimensione acustica è in grado di armonizzare direttamente con le corde del lettore, è altrettanto indubbio che, in nota alle preferenze musicali dell’autore, si raccoglie spesso l’ovazione di un pubblico di ascoltatori fedelissimi.

D’altronde non vi è chi non riconosca, in alcuni autori contemporanei, un’attitudine da rocker talmente consumata da rendere le loro opere veri palchi d’eccellenza per raduni di appassionati. Ecco quindi acclamati bestseller accordare parole e lyrics con modernità da open mike: dalle liturgie rave del Trainspotting di Irvine Welsh, passando per il Black Album di Hanif Kureishi (di princeiana ispirazione), financo allo swing multiculturale di Zadie Smith, le barre dei primi in classifica citano, sempre più spesso, titoli e riff a suon di sold out generazionali.

Chissà che, nel featuring lessicale fra musica e linguaggio, il racconto non raggiunga un potenziale da teoria cimatica, assicurandosi una struttura sempre viva e inossidabile nonostante le inevitabili distorsioni degli anni. Già, perché nella sua riconoscibilità temporale, il sound di un libro altro non è che un’etichetta, più o meno dichiarata, di un tempo storico (e discografico) sempre riproducibile all’ascolto. E, in tal senso, estremamente plasmabile: che il contesto musicale sia espressamente databile – come quando a dichiararlo è la voce di David Bowie nella Berlino di Christiane F. – quantisticamente asincrono – quando il comparto melodico è strumentalizzato dalla Niffenegger per attraversare un wormhole emotivo, trentennale e vertiginoso – o addirittura atemporale – se la Yanagihara rievoca una musica come tante per condurci in un dramma geograficamente delimitato ma eternamente presente – la distanza fra artificio testuale ed esame di realtà è appena qualche tono sotto al mash-up (quasi a dire che, in ottica di fiction, il feed musicale può diventare vero trait d’union fra personaggio e lettore).

Non per niente, in questo sovrapporsi continuo fra narrazione e oggettività, la sperimentazione autoriale è creativamente sconfinata. Tipo nel caso dei newyorkesi The Traumatics: il gruppo punk-rock, che nel romanzo Libertà di Jonathan Franzen (Einaudi, traduzione di Silvia Pareschi) portava al successo l’attraente Richard Katz, passò dalla carta stampata alla materia viva quando una band di musicisti (probabilmente ispirandosi a una raccolta musicale pubblicata dallo stesso autore su Youtube) si riunì sotto il medesimo nome e pubblicò un album che musicava titoli e liriche delle canzoni citate da Franzen nel suo racconto.

O, ancora, del cantautore emiliano Murubutu, che nei suoi rap-conti unisce hip-hop, letteratura, storia e filosofia in un missaggio dalla potenza proverbiale – ad esempio nella traccia introduttiva all’album La Bellissima Giulietta E Il Suo Povero Padre Grafomane dove, nel re-citare i versi in apertura del film Inkheart (tratto dal romanzo Cuore d’inchiostro di Cornelia Funke), ci racconta che “dall’alba dei tempi i cantastorie hanno incantato il pubblico con le loro parole, ma c’è un dono ancora più straordinario… ci sono persone che se leggono ad alta voce riescono a portare alla vita i personaggi, fuori dai libri, nel mondo reale…”.

Un fenomeno in costante ascesa, che il docente del Massachusetts Institute of Technology Henry Jenkins (tra i massimi esperti di cultura pop nei suoi aspetti di condivisione e di creazione di comunità) definisce “convergenza culturale”, ossia quella cassa di risonanza dove i diversi media si implementano vicendevolmente dei contenuti rinnovati e rielaborati grazie al social sharing e al coinvolgimento individuale dal basso (o dall’alto, quando il premio Pulitzer Colson Whitehead condivide con la propria fanbase suggerimenti sui brani da ascoltare durante la stesura delle prime cento pagine di un romanzo).

Insomma, musicalmente intermezzando, la rock lit è una certezza: anche grazie ai calembour letterari migliora nell’invecchiare e stilizza negli anni. E allora, per chi con le cuffiette in mano proprio non sa stare, ecco servita una playlist di titoli tutta da amare, e shazammare, con l’orizzontalità di un loop o l’alternanza di uno shuffle.

La Sonata a Kreutzer (Garzanti) di Lev Tolstoj

da ascoltare su grammofono (o su Audible) in camera da letto

La sonata a Kreutzer e altri racconti

Di fronte alla Sonata No. 9, op. 47 di Ludwig Van Beethoven, non c’è dichiarazione d’amore che tenga. E lo sa bene il protagonista del racconto Vasja Pozdnyšev che, nel rivelare il presunto tradimento (in costanza di sviolinata) dell’adorata moglie con il musicista Trukhacevsky, racconta di un drammatico concerto di gelosia cui solo la nota morte sa segnare stanghetta di chiusura. Pubblicata per la prima volta nel 1889 ma di sempre più disperata attualità, La Sonata a Kreutzer di Lev Tolstoj (inizialmente osteggiata dalla bigotta critica dell’epoca per la scabrosità di certi argomenti trattati) esegue ancor oggi le stonature delle relazioni sentimentali, isolandone gli assordanti echi in una passione violenta: “sotto l’influsso della musica mi par di sentire cose che assolutamente non sento, di capire cose che non capisco, di poter far cose che non posso fare”.

La Torre nera (Pickwick) di Stephen King 

da ascoltare negli altoparlanti in una stazione di benzina

La Torre nera - Stephen King

Saga in otto ottave del king del brivido, distopico crossover fra dimensioni parallele, nelle Terre desolate dei gunslingers c’è posto per un’intera Conservatoria della musica americana. Sì perché fra una Oxford Town di Bob Dylan e una Stormy Weather di Billie Holiday le linee spazio-temporali dell’opus magnum del Re si incrociano in una gigantesca o.s.t. ubiquitaria e interconnessa, vettorialmente filodiffusa fra il Tutto-Mondo di Roland Deschain e il mondo Cardine del lettore. Uniamoci quindi al famoso ka-tet di pistoleri per assistere a un ensemble polisinfonico di generi letterari (dark fantasy, science fantasy, horror e Western) e personaggi degeneri (capitanati dal diabolico Re Rosso, che tanti metallari ha ispirato). Dove, citando IT, anche le rose sanno cantare: “…forse laggiù c’è un intero universo dove nel cielo sorge una luce quadrata e le stelle ridono con voci gelide e certi triangoli hanno quattro lati e certi altri ne hanno cinque e certi altri ancora ne hanno cinque elevati alla quinta potenza dei lati. In quell’universo potrebbero crescere rose capaci di cantare.” Pelle d’oca.

Norwegian Wood. Tokyo Blues (Einaudi) di Haruki Murakami

da ascoltare sulle frequenze radio di una tv satellitare

Norwegian Wood. Tokyo Blues - Harumi Murakami

Aeroporti internazionali e muzak da ascensore, il flashback di Toru Watanabe sorvola il blue mood dell’età adulta sulle note di Norwegian Wood (This Bird Has Flown) dei mitici fab four (i Beatles). Così, fra adolescenze imbiancate dalle ceneri delle passioni e sessualità emotiva, sospesa fra rimpianto e gratificazione, la foresta di Murakami si popola di amori che partono e relazioni che restano, in un ineluttabile duetto fra perdita e riacquisizione. Capolavoro intimo della letteratura nipponica prima, pervasiva infiorescenza su scala globale poi, il ritratto della Tokyo del 1968 (e dei suoi movimenti studenteschi di protesta), equalizza Sol Levante e Ovest del Sole in una fusion musicale a ritmo di beat, classica e bossanova. E di un pizzico di kayōkyoku  (nell’evocativo sottotraccia di Ue o muite arukō di Kyū Sakamoto). “Mi manca tutto, era il tema portante”, dice Murakami. Sayonara.

Alta fedeltà (Guanda) di Nick Hornby

da ascoltare rigorosamente su vinile in un vintage store

alta fedeltà

Ci sono dischi a forma di cuore sui quali girano sempre gli stessi pezzi: rotti per cuori infranti, mancanti per i puzzle di una vita, grossi per una giovinezza over 35. Lo sanno bene Rob Fleming e i suoi collaboratori Dick e Barry che, nel negozio di musica e rarità Championship Vinyl, mettono insieme tutti i pezzi di una maturità (e di una calvizie) incipiente, che li fa sentire proprio a pezzi. Da inserire nella top 5 di ogni classifica che si rispetti (e primo nella categoria most unforgettable breakups), il romanzo cult di Nick Hornby (Guanda, traduzione di Laura Noulian) tritura il tempo che passa con l’ironia di un nerd superstar e la presa di coscienza di un disc jockey fallito. “Tell Laura I love her” direbbe Rob (citando Ray Peterson) alla sua ex fidanzata Laura “My love for her will never die”, se solo avesse una seconda possibilità. Ma se, per grazia di disco, le tracce del passato si riavvolgono beh, allora i pezzi tornano tutti al loro posto. Nell’attesa di vedere il riadattamento televisivo con Zoë Kravitz (figlia di Lenny Kravitz e Lisa Bonet) nei panni di un Rob Fleming tutto al femminile, riascoltiamo la colonna sonora del libro e buon rewind a tutti.

American Psycho (Einaudi) di Bret Easton Ellis

da ascoltare su mangianastri a bordo piscina

American Psycho - Bret Easton Ellis

Fosse stato un’audiocassetta, Patrick Bateman avrebbe avuto due lati. Un lato A da disco certificato diamante, finanziato in laurea Harvard nella Manhattan tutta da bere; e un lato B da disco certificato Inferno, blood addicted in una New York tutta da dilaniare. Flusso di coscienza narrato in prima persona dal più famoso serial-man e business-killer che fiction ricordi, American Psycho di Bret Easton Ellis (traduzione di Giuseppe Culicchia), è un cacofonico streaming di black humour e pop anni ottanta che, fra lucide disquisizioni su Saving All My Love For You di Whitney Houston e seriose osservazioni su Give Me the Keys (And I’ll Drive You Crazy) degli Huey Lewis and The News, traccia l’identikit di una personalità da critico musicale azzimata in un completo rosso sangue. E se tutto questo psicodramma in salsa disco non vi fosse bastato, allora fatevi un giro sul Lunar Park del 2007, quando Patrick Bateman è tornato a perseguitare, in un allucinato gioco di specchi, proprio il Bret Easton Ellis che gli ha dato vita. Una ghost track lato C, che nessuno si sarebbe mai aspettato.

Telegraph Avenue (Rizzoli) di Michael Chabon

da ascoltare con un radioricevitore in un centro commerciale

telegraph Avenue

Sulla vecchia strada che collega Oakland al confine con Berkley, lì dove una linea del telegrafo attraversa il sogno americano, il Brokeland Records di Archie Stallings e del suo amico Nat Jaffe resiste alle minacce del nuovo megastore di Gibson Goode con la tenacia di un brano vintage (e la resilienza di un olografico pop-up). Armonizzazione vocale di jazz, blues e funk (da Wa Tu Wa Zui di Charles Kynard a Close to the Edge degli Yes), in un megamix di temi che corre sul filo elettrico (fra desiderio di paternità, sentimento di abbandono, dispersione culturale e ricerca di identità sessuale), Telegraph Avenue di Michael Chabon (Rizzoli, traduzione di M. Colombo e M. Birattari) dirige un’orchestra di personaggi – fra tutti la moglie di Archy, Gwen, cintura nera di arti marziali e promettente ostetrica, o Luther Stallings, padre di Archy ma anche tossicodipendente ex attore di blaxpoitation anni ’70 – come fosse un blockbuster di Quentin Tarantino, alternando coloriture da ridere alla nostalgia di una connessione tutta umana (e analogica). Special guest Barack Obama. Della serie, finché c’è musica, c’è speranza.

Il Gruppo (Guanda) di Joseph O’Connor

da ascoltare sotto cassa, birre alla mano

IL GRUPPO

C’è un epos diffuso nell’esser membri di una band, che fa subito storia. Dai desideri di bambini alla scalata verso la fama, l’irlandese Joseph O’ Connor ci racconta il viaggio di un gruppo ragazzi – il chitarrista Robbie, il brillante Fran, la violoncellista Trez e il batterista Sean – che, amici prima, rock band poi, salteranno dalle camerette delle periferie inglesi ai lustrini degli Stati Uniti da star. Perdendo, nel lungo percorso verso la fama, un po’ di quella ingenuità che si chiama giovinezza. Spensierato adagio di un successo in formazione (si chiameranno i The Ships e incontreranno stelle scintillanti del calibro di Elvis Costello e Patti Smith, oltre agli eccessi della droga e a qualche buco nero) Il Gruppo (traduzione di Elisa Banfi) ci ricorda, ancora una volta, che il successo è d’oro, ma l’amicizia è di platino. E che un’ultima magica notte a Dublino vale più di un concerto all’Hollywood Bowl. Nell’edizione speciale digitale, i link alla playlist Spotify per ascoltare le canzoni all’interno del testo. Da oggi nella vostra Discover Weekly.

Noi siamo infinito. Ragazzo da parete (Sperling & Kupfer) di Stephen Chbosky

da ascoltare in autoradio, una sera a primavera

noi siamo infinito

C’è un ragazzo da parete in molti di noi. Quello dell’imbarazzante guardaroba fuori moda, dei discutibilissimi poster appesi al muro, delle serate alcoliche trascorse in disparte a far da tappezzeria. Quello dove teen fa rima con spleen, insomma, quando fuori l’universo corre, e dentro l’universo temporeggia. C’è un ragazzo da parete in molti di noi, o almeno c’era nell’agosto dei primi anni novanta, quando Charlie, protagonista di Noi Siamo infinito. Ragazzo da parete (traduzione di Chiara Brovelli) di Stephen Chbosky, in un anelito d’estate a far da respiro, si confidava, per la prima volta, con un anonimo “amico di penna” che – proprio come lui – ancora non conosceva i successi da amatore. E con Charlie (e i suoi segreti e rimpianti) tutta una serie di guide di sopravvivenza che, nell’accompagnarlo alla scoperta del mondo là fuori – dal fraterno signor Bill, che insegna la cultura come valvola di sfogo, passando per la carismatica Sam, sua prima cotta dal passato difficile, e ancora a Patrick, nuovo amico alle prese con l’accettazione della propria omosessualità – suggeriscono al giovane uomo la superstrada per conoscere sé stesso e tanti libri, canzoni e film per non farsi trovare mai impreparati di fronte alle sfide della vita. Onirico come Pearly Dewdrop’s Drops dei Cocteau Twins, a tratti crudo come Another Brick in the Wall – Part II dei Pink Floyd, ma con un ficcante grip alla Smells Like Teen Spirit dei Nirvana, un romanzo che non esitiamo a definire la playlist di un’adolescenza. Quella di molti di noi.

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