L’uomo che nella salita al Calvario aiuta Gesù a portare la croce è il simbolo di chi non si volta dall’altra parte e, nel riconoscere l’eccesso di sofferenza e ingiustizia che abita il mondo, si fa carico del dolore di chi non riesce a portarlo tutto sulle proprie spalle. L’anti Cireneo, invece, è Rudolf Höss, il primo comandante nazista di Auschwitz, e sua moglie Hedwig, protagonisti del film Premio Oscar “La zona d’interesse”. Una riflessione in vista della Pasqua

La scena è affollata e caotica. È la tarda mattinata di un venerdì di primavera di un anno tra il 30 e il 33. Lungo la strada di Gerusalemme che ancora oggi porta il nome di “Via Dolorosa” procede un piccolo corteo: un condannato a morte, scortato da una pattuglia dell’esercito romano, avanza reggendo il patibulum, cioè il braccio trasversale di quella croce il cui palo verticale era già piantato lassù, tra le pietre di un piccolo promontorio roccioso chiamato in aramaico Golgota e in latino Calvario, ossia “luogo del Cranio”.

L’evangelista Luca riferisce l’episodio con estrema asciuttezza: “Mentre lo portavano via, presero un certo Simone, di Cirene, che veniva dalla campagna, e gli misero addosso la croce perché la portasse dietro a Gesù“.

Marco aggiunge un particolare in più sull’identità di questo personaggio: “Costrinsero a portare la croce di Gesù un tale che passava, un certo Simone di Cirene che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e di Rufo”. Sulla stessa linea anche Matteo, che colloca però l’episodio all’uscita del praetorium dove il procuratore romano Ponzio Pilato ha appena decretato la condanna a morte del predicatore ambulante di Galilea: «Mentre uscivano, incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a portare la croce di Gesù”.

Simone era un immigrato, uno straniero, un ebreo oriundo dell’Africa, di Cirene, città che s’affacciava sul litorale libico e che ospitava una folta comunità della Diaspora giudaica. Tornava dalla campagna dopo una giornata di lavoro. A casa l’attendevano i preparativi del giorno festivo: al tramonto, infatti, si sarebbe aperta la frontiera del giorno sacro di Shabbat, scandita dall’accendersi delle prime stelle in cielo. Un ordine secco della pattuglia romana che scorta Gesù lo ferma e lo costringe a reggere per un tratto di strada il patibolo di quel condannato sfinito dopo la violenta flagellazione a cui è stato sottoposto.

Tiziano Vecellio, Cristo e il Cireneo, 1560, olio su tela, Museo del Prado, Madrid

Tiziano Vecellio, Cristo e il Cireneo, 1560, olio su tela, Museo del Prado, Madrid

I soldati incaricati dell’esecuzione della pena capitale mettono sulle spalle robuste di Simone la croce che altri appartenenti alla cerchia di quel predicatore ambulante avevano promesso di portare ogni giorno dietro di lui ma che adesso si sono dileguati, per paura o viltà.

La tradizione della Via Crucis colloca l’episodio alla quinta stazione.

Colpisce un particolare. Tutti e tre gli evangelisti riportano il nome di quello che passerà alla storia come il Cireneo. Perché non c’è atto d’amore – fosse anche il più piccolo come l’evangelico bicchiere d’acqua dato al misero – che non abbia un nome e un volto. Non si ama l’umanità – ipocrisia rispettabile ma terribile – ma l’uomo in carne e ossa. Anche quando è sfinito, umiliato, fatto oggetto di violenze atroci fino a ripugnare al nostro sguardo come ricorda Isaia: «Come uno davanti al quale ci si copre la faccia, tanto era sfigurato per essere d’uomo il suo aspetto».

Simone non sceglie – è vero – riceve un ordine. Ma è proprio dei poveri non poter scegliere nulla, nemmeno il peso delle proprie sofferenze. Ed è proprio dei poveri aiutare altri poveri, e lì c’è uno più povero di Simone che dopo essere stato schernito, umiliato e percosso sta per essere privato della vita.

Aiutare senza fare domande, senza chiedere perché. Aiutare con un gesto che, sulle prime magari, è del tutto casuale, forse anche non voluto o, per lo meno, fatto di malavoglia. È quello che fa Simone di Cirene, uno qualunque, poco importante, straniero per giunta, che ad un tratto si ritrova a sorreggere uno sconosciuto abbandonato da tutti e condannato al supplizio infamante degli schiavi. Poteva scappare, sottrarsi al comando, accampare una scusa. E invece si carica la croce e apre la strada a tutti coloro che, ieri come oggi, fino alla fine della storia, accettano di portare la croce degli altri. Di poveri, immigrati, senzatetto, ragazze madri, vittime, carnefici, reietti, disperati d’ogni tipo e disavventura, bambini soli e abbandonati.

Non c’è carità senza “com-passione”. Non c’è solidarietà senza il coraggio di persone che riconoscono l’eccesso di sofferenza e ingiustizia che abita il mondo e si spingono, con un coraggio quasi picaresco, a farsi carico del male e del dolore di chi non riesce a portarlo tutto sulle proprie spalle.

Il Cireneo e i tanti cirenei che popolano la storia sono la dimostrazione che l’amore è spesso arduo, insidiato, magari oltraggiato, ma possibile e necessario per ognuno. L’amore non giudica, come sta scritto. È impavido, concreto, smisurato, talvolta folle.

Il Cireneo, oggi, è nei volontari e operatori umanitari rimasti nella Striscia di Gaza dove nella guerra che sta insanguinando e affamando la popolazione il 16 dicembre scorso sono state uccise due donne, Nahida Anton e Samar Anton, trucidate da un cecchino mentre una cercava di portare l’altra in salvo nel convento delle suore attiguo alla parrocchia latina.

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Il Cireneo è nel gesto di Nicolina Parisi, 82 anni, che ha offerto la propria tomba di famiglia per accogliere alcune delle vittime senza nome e volto del naufragio di Cutro e dare loro una sepoltura, quindi la dignità.

Il Cireneo è nella decisione delle suore benedettine di clausura di Leopoli, in Ucraina, che hanno deciso di aprire il loro monastero ai profughi, soprattutto orfani e ragazze madri, perché l’amore se ne infischia delle regole, è politicamente scorretto, non si rifugia sotto l’ombrello comodo ma ipocrita dell’obbedienza in nome della quale, talvolta, si diventa “funzionari di Dio” e magari, in suo nome, si compiono azioni perverse.

Il Cireneo è nell’attività delle religiose di Betlemme che hanno dato vita al centro di accoglienza “Hogar Niño Dios” per accogliere bambini e ragazzi con disabilità fisica e mentale abbandonati dalle proprie famiglie.

Il Cireneo è nell’esistenza di suor Lidia Schettino che, in una sorta di misura alternativa al contrario, dorme in convento e vive in carcere, a Poggioreale, dove è entrata da ragazzina e continua ad andarci ogni giorno per interessarsi al destino di banditi, assassini, ergastolani, tossicodipendenti, maledetti. Prega con chi vuole pregare, piange con chi è disperato, accarezza chi è solo, tiene i contatti con le famiglie, gli avvocati, gli ex detenuti.

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Quello del Cireneo non è un gesto isolato e occasionale, il beau geste di un uomo che ha avuto l’occasione estemporanea di essere generoso. È la vocazione essenziale di tanti uomini e donne, laici e religiosi, che non hanno paura di mescolarsi alla vita più cruda e spietata, ad andare in posti da dove tutti scappano. Uomini che hanno reso la propria stessa esistenza un campo di battaglia permanente, a volte insanguinato, come diceva del proprio, durante il furore nazista, Etty Hillesum.

Di Simone di Cirene null’altro si sa. È Marco a citare i nomi dei figli, Alessandro e Rufo, divenuti entrambi cristiani. Forse, l’incontro fortuito con quel condannato gli ha toccato il cuore. Persino un imprevisto – meraviglia dell’incarnazione – può diventare occasione di grazia, anche un gesto fatto controvoglia può schiudere il dono della conversione.

Il Cireneo è l’anti Rudolf Höss, il primo comandante nazista del campo di concentramento di Auschwitz, e di sua moglie Hedwig, protagonisti del film Premio Oscar La zona d’interesse di Jonathan Glazer dove sono interpretati da Christian Friedel e Sandra Hüller. Il male gli scorre accanto ma loro sono indifferenti. Il grido dei condannati (il film fa un uso magistrale del sonoro) sale appena oltre il muro della loro villetta, davanti ai loro occhi, scorre in parallelo alla loro vita placida e tranquilla contrassegnata dalla cura certosina per i fiori e per l’orto, dall’ossessione per la pulizia, dagli strudel buonissimi e da quel benessere ragionevole che fa dire a Hedwig che quella villetta immersa nella natura e lontana dal caos della città è più di quanto avevano sognato da giovani innamorati e il luogo ideale dove far crescere i propri figli in mezzo alla natura e lontano dal caos della città.

Si può incappare nella realtà senza prestare attenzione a quello che si manifesta e ci viene incontro. Ci sono un’indifferenza e una disattenzione che sono molto più tenebrose di ogni cecità e più buie di ogni oscurità. Non a caso, il filosofo francese Malebranche affermava che l’”attenzione è la preghiera naturale dell’uomo”. Dove non c’è più risposta regnano le tenebre.

Ancorché costretto, invece, il Cireneo risponde, non si sottrae, divenendo l’icona di chi non si volge dall’altra parte. Dopo il gesto di compassione di Simone, il crepuscolo di quel venerdì si chiude con un fremito. L’evangelista Luca nota, infatti, che “splendevano ormai le luci del sabato” dalle finestre delle case di Gerusalemme.

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