Allenamenti massacranti, demonizzazione del fallimento, restrizioni alimentari e abusi ben mascherati modellano il ritratto di un’adolescenza spezzata: “Cloro”, romanzo d’esordio di Jade Song, denuncia con brutalità le derive di una società ossessionata dalla prestazione, rivelando quanto sia sottile la linea tra resistenza e resa. Il risultato è un romanzo spiazzante, viscerale, atroce, che indaga le ombre del malessere psicologico alla ricerca di una luce…
C’è un’acqua che non disseta, ma che plasma. Un’acqua densa di cloro, che accoglie e alimenta sogni e aspirazioni e poi li brucia – proprio come il cloro fa con la pelle – sotto il peso schiacciante delle aspettative e della prestazione perfetta. Da quest’acqua si leva un lamento di sirena, silenzioso ma straziante, viscerale. È quello di Ren Yu, che inizia a nuotare quando è solo una bambina. E in questa stessa acqua clorata smette di esserlo.
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Le sue giornate alternano i libri alle corsie della piscina. Ore di interminabili 8 x 400 misti. Nel nuoto agonistico si gareggia in squadra, ma sotto l’acqua si è soli. E quando si è soli per così tanto tempo, dentro ma anche fuori dall’acqua, è allora che si crea la crepa. Ren non ha voglia di raccontare che le manca suo padre, che il suo coach la tocca in punti “mai considerati illegali”, ma neanche mai appropriati, che invece dei noodles di sua madre preferirebbe mangiare duecento grammi di avena cruda misti a duecento di mousse di mela non zuccherata, o non mangiare proprio.
E poi chi mai sarebbe in grado di capire che le pastiglie di ibuprofene sono necessarie a ogni ora del giorno? Che se non si dice espressamente di no, ma neanche di sì, chiunque è libero di infilarti le mani nei jeans? Che senza il nuoto, senza l’acqua, non è niente? Ren non ha voglia. Nessuno capirebbe, perché nessuno è come lei. E, in ogni caso, è solo questione di resistere: lei è un corpo d’acqua, uno stato liminale dell’essere, una creatura ibrida che presto avrebbe trovato la pace.
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Cloro, romanzo d’esordio di Jade Song (Mercurio Books, traduzione di Sara Bresciani), non è un libro per tutti. È un romanzo di formazione, di resistenza, di scoperta di sé che scava le pieghe inquietanti dell’adolescenza più cruda. E nel farlo, tocca corde tanto profonde quanto attuali. È l’autrice stessa a esplicitarlo nella nota iniziale: “Queste pagine contengono episodi di razzismo, misoginia, autolesionismo, disturbi alimentari, omofobia, depressione e violenza sessuale“.
Un calderone di sofferenza che si respira sin dall’incipit, ma che pagina dopo pagina cresce senza che chi legge ne abbia piena coscienza, fino a travolgerlo. Proprio per questo, per evitare di essere travolto, chi si approccia alla lettura di Cloro deve possedere gli strumenti emotivi per sostenerlo. È un libro disturbante, feroce, tragico: le ondate di rabbia e di dolore, che a ogni riga si fanno più violente, in un crescendo che abbraccia le sfumature del fantasy e dell’horror, si scagliano con veemenza contro il lettore, che deve essere in grado di arginarle. Di assistere al dramma, di avere coscienza che esiste, di riconoscere i segnali utili a stanarlo e gli strumenti per guarirlo, senza però esserne travolto.
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Jade Song ha scritto Cloro utilizzando la prima persona. Sebbene non si tratti di un testo autobiografico, ma di un’opera di finzione, il romanzo attinge dai dodici anni di esperienza come nuotatrice agonistica dell’autrice. E questo è un dettaglio importante per comprendere la portata dell’opera. Song, in modo implicito, mette in guardia sui danni che la nostra società può arrecare su bambini e adolescenti, e in generale su individui che non sono ancora completamente formati. La competizione, la pressione di dover essere sempre al massimo delle proprie capacità, l’educazione al non fallimento, sono piaghe che si insinuano dentro chi non ha gli strumenti per salvaguardarsi e, in maniera subdola, lo consumano dall’interno.

Jade Song nella foto di Harish Balasubramani
È forse la chiamata alla sensibilizzazione, allora, la vera missione – magari inconsapevole – del libro. La depressione esiste, così come esistono tanti disagi e malesseri psicologici che esigono di essere visti, riconosciuti e presi in carico. Si tratta di malattie mentali e, come ogni malattia, il primo passo per combatterle è conferire loro la considerazione che meritano. Ignorarne i sintomi interni o non riconoscerne i segnali esterni è un passo in più verso la resa, verso l’ erronea convinzione che non esista una via d’uscita. È questo che Jade Song vuole mostrare con brutalità: l’esito drammatico della solitudine e della disinformazione.
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Ma la missione di Cloro non si esaurisce qui. Jade Song scrive un libro sul valore, prezioso, dell’individualità. Sulla bellezza di scoprire il proprio Io e sulla libertà di poterlo abbracciare ed esprimere senza restrizioni, svincolandosi dalle convenzioni sociali.
“Sebbene esiti nel dire che le cose migliorano, perché a dirla tutta spesso non è così – né sembra che lo sarà –, spero che, anche quando Cloro si avventura in abissi senza fondo, l’amore intenso, il trionfo gioioso e l’assurdità ironica di un’esistenza fedele al proprio io (che esso sia libero o nascosto) possano essere percepiti in tutto il libro”.
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Ren trascorre la sua infanzia e adolescenza imprigionata in un corpo che le permette di nuotare velocissima, certo, ma che non le appartiene fino in fondo, che detesta, che la limita. Immersa in una società che la opprime e la spegne, è comunque capace di ascoltarsi e di non perdere di vista la sua vera essenza.
Sempre fedele al proprio io, dunque, da questo punto di vista – e solo da questo – Ren non è soltanto un esempio da cui guardarsi, ma una fonte di forza e resistenza da cui trarre ispirazione. Ed è allora a questo punto, giunto straziato alla fine del libro, che chi legge comprende nel profondo le ultime parole dell’autrice: “Auguro a chiunque di trascendere verso qualsiasi stato d’essere desideri”.
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