“Prof, ma cosa si legge dopo un libro bello? Non bellino, non caruccio, proprio bello?! Bello da piangere perché è finito, bello bello, ma bello sul serio…”. La risposta di Valentina Petri, insegnante e autrice (in uscita con “Non ti sento”, il suo terzo libro), alla sua studentessa…

Mi si avvicina una studentessa nell’intervallo. La coda di cavallo, lo sguardo triste, un libro tra le mani. A fianco le sta l’amica di sempre, compagna di banco e di infinite chiacchiere e passaggi di bigliettini. “Prof, ho bisogno di un consiglio, sono in crisi“. Mi aspetto confidenze sentimentali, dubbi sulla preparazione dell’imminente esame di maturità, un’opinione sulle scelte universitarie future.

Avanzo guardinga come un esploratore nella giungla e disponibile come una zia danarosa.

“Che succede? Dimmi tutto”.

L’amica mi guarda scuotendo la testa. Si vede che non nutre in me e nelle mie illuminate possibili risposte nessun tipo di fiducia. “Una cosa brutta prof. Ho finito un libro“. Passano alcuni secondi di imbarazzato silenzio. Resto in attesa di un chiarimento. Che arriva, in effetti. “Un libro bello, prof“.

“Ah!”.

La guardo, poi mi volgo verso la sua amica che ricambia l’occhiata aggiungendoci anche un po’ di “lo sapevo io che non c’era soluzione, cosa le chiediamo le cose a fare a questa qui che sa solo dire AH”, poi torniamo a scuotere la testa tutte e tre.

Perché tutti sanno, ma soprattutto lo sanno i lettori che leggere è certamente una gioia, un rifugio e un piacere. Divorare un libro o centellinarlo, sforzarsi di finirlo per senso del dovere o sottolinearlo mille volte perché ogni paragrafo sta lì per te e per te soltanto, questo capita e si sa. Ma arrivare alla fine di un libro bello, uno che ci è piaciuto tanto, uno di quelli che ci hanno detto molto di più di quanto chi l’ha scritto possa mai immaginare, vuol dire trovarsi in una situazione scomoda. Intanto c’è il dispiacere. Poi il tentativo di tornare indietro e rileggerne qualche passo. L’ineluttabile accettazione che niente, è finito, non ce n’è più, non c’è un seguito, non c’è scampo, bisogna farci i conti, elaborare il lutto e passare a quello dopo. Sì, ma quale? Il dopo è sempre difficile. Amo la scuola perché studentesse e studenti mi buttano sempre in faccia le domande più difficili. E dire che le domande dovrei farle io.

“Prof, ma cosa si legge dopo un libro bello? Non bellino, non caruccio, proprio bello?! Bello da piangere perché è finito, bello bello, ma bello sul serio”.

Non è affatto una domanda banale. È una decisione da prendere in maniera ponderata.

Iniziarne subito un altro significa caricare il successore di aspettative altissime. Leggere un’altra opera dello stesso autore di quello che ci è piaciuto? “Non è detto, prof. Magari questo era il più riuscito e gli altri non reggono il confronto, devo lasciar passare del tempo”.

Cambiare genere? “Eh, ma quale? E se parto già con l’idea che lo sto iniziando ma non è niente di serio?”.

“È come con i ragazzi” chiosa la compagna, quella che, è ovvio, è destinata a dire cose sagge.

Cerco di mostrare i lati positivi della cosa. “Guarda che è bellissimo. Puoi iniziare quello che vuoi. Hai a disposizione tutti i libri che hai sempre pensato di voler leggere, sei libera, hai a disposizione la facoltà di scelta. Goditi il momento“.

La conosco. È il tipo che compra più libri di quanti non riesca a leggerne, però deve avere lo scaffale pieno di possibilità. Come me in vacanza, che per tre giorni porto dieci paia di scarpe, perché il concetto non è l’imprevisto, il concetto è che la devo poter scegliere.

“Come con i ragazzi”, ribadisce la saggia presenza.

“Prenditi del tempo. Non devi leggere un capolavoro dietro l’altro. Ho un’amica che per un po’ legge poesie, racconti, così intanto si stacca dall’ultimo libro letto”.

“Uhm”. Un mugugno è già un passo avanti.

“Oppure rileggi un libro che avevi già letto. Magari uno che non ti era piaciuto ma è il momento di dargli un’altra chance perché tanto hai già le aspettative a terra. Può essere la volta che ci trovi qualcosa di buono”.

“Uhm”. Due mugugni in un intervallo di dieci minuti sono rimarchevoli.

Oppure senti, un grande classico. Vai in libreria e lasciati incuriosire. Giri tra gli scaffali, leggi un po’ di quarte di copertina e aspetti che…”

“Che mi trovi lui”.

“Esatto!” confermo, lieta di vederla finalmente con gli occhi sbrilluccicanti.

“Lo vedi? Te lo dicevo, è come con i ragazzi. Lasci che ti trovi lui, ma tanto lo scegli tu. Oggi ti accompagno in libreria, dài”.

Io, a volte, a scuola mi sento superflua.

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Non ti sento valentina petri

L’AUTRICE  – Valentina Petri (qui i suoi articoli per ilLibraio.it) vive a Vercelli, dove insegna lettere all’istituto professionale Francis Lombardi. Dal 2017 condivide le sue storie di scuola sulla pagina Facebook Portami il diario. Pagina che ha dato anche il nome al suo primo romanzo, in libreria per Rizzoli. Un libro in cui racconta la scuola dal punto di vista (autoironico) di una prof di lettere in un istituto professionale.

Nel 2022 Petri è tornata in libreria con Vai al posto (Rizzoli), una storia di ordinaria follia, che ci racconta come, tra tutti gli insegnamenti che ci dà la scuola, lo stare insieme è senza dubbio il più bello. Un libro che nasce dalla volontà dell’autrice di restituire un anno di scuola normale, in cui si sta insieme a volto scoperto, attraverso il potere delle parole.

Il suo terzo libro, Non ti sento, in uscita a metà aprile 2024 sempre da Rizzoli, parla delle “vite scapestrate di prof e studenti”. Da una parte Laura, Francesco, Nené e gli altri prof: a spiegare Ungaretti e le formule di fisica davanti a uno schermo, con la rete instabile e le piccole icone nere e mute che ogni tanto si accendono rivelando cucine affollate, camerette in disordine, animali domestici e fratellini molesti. Dall’altra loro, i ragazzi. Mai avrebbero immaginato di sentire la mancanza di banchi e lavagne, eppure eccoli lì: Basma, che a casa è costretta a coprirsi col velo e a tenere il mascara nascosto in fondo allo zaino; Rambo e Tommy, che combattono la noia a colpi di challenge; Kevin che porta il cane a spasso e finisce sempre lì, davanti al cancello chiuso, sognando una gita che non si farà mai. La vita è in pausa ma, tra WhatsApp furtivi e lezioni hackerate, la maturità arriva lo stesso e la scuola – precaria e traballante, oggi come sempre – fa quello che sa fare meglio: intreccia i destini e li stringe insieme, regalando a tutti una gran voglia di futuro.

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