“Dalla cripta”, il nuovo libro di poesie di un autore di culto come Michele Mari, è molto diverso da “Cento poesie d’amore a Ladyhawke”, la raccolta di versi del 2007, diventata un longseller, nel suo genere. Si presenta come una raccolta più complessa ed elaborata, il cui legame con la letteratura del passato è decisamente più evidente, a partire dalla forma e dal linguaggio. Mari, infatti, si appropria delle “classiche” strutture metriche, componendo sonetti, canzoni, sestine, settenari, tenute insieme dal tema della morte: dalla fine della vita e, di conseguenza, della fine dell’esperienza amorosa e letteraria – L’approfondimento

Che i lettori lo sappiano subito: Dalla cripta, il nuovo libro di poesie di Michele Mari, è molto diverso da Cento poesie d’amore a Ladyhawke, la raccolta di versi del 2007 con cui lo scrittore, autore anche di romanzi e racconti come Di bestia in bestiaTu sanguinosa infanzia e Roderick Duddle, solo per citarne alcuni, aveva conquistato molti lettori.

dalla cripta Michele mari

Pubblicato nella collana bianca di Einaudi, il testo è diventato, nel suo genere, un “longseller”. Una rarità, per i libri di poesia, che solitamente raggiungono una nicchia di lettori. A molti, tra l’altro, sarà capitato di incontrare sulle bacheche di Facebook o sui feed di Instagram versi come “Verrà la morte e avrà i miei occhi/ ma dentro/ ci troverà i tuoi“, “Ci si illude/ che scriversi sia pur sempre/ un modo per fare l’amore” e “Come un serial killer/ faccio pagare alle altre donne/ la colpa/ di non essere te“, proprio perché la caratteristica più evidente di queste poesie è l’immediata fruibilità.

Ma i componimenti del professor Mari sono ben lontani dai tormentoni e dalle frasi a effetto degli instapoet, perché si presentano come fortemente letterari, pur mantenendo una naturale forza comunicativa che li rende capaci di coinvolgere lettori diversi, da quelli più avvezzi alla forma poetica, a quelli che ne sono completamente digiuni. Con questo, però, non si vuole dire che siano testi facili o banali, anzi: anche se è vero che Le cento poesie d’amore si leggono senza scogli nella comprensione, a un’analisi più attenta è possibile rintracciare molti riferimenti alla tradizione poetica italiana.

Dalla cripta, invece, si rivela da subito come un’antologia più complessa ed elaborata, il cui legame con la letteratura del passato è decisamente più evidente. A partire dalla forma. 

Mentre nella raccolta precedente Mari aveva scelto di utilizzare solo il verso libero, nel nuovo libro si appropria delle “classiche” strutture metriche, componendo sonetti, canzoni, sestine, settenari. Anche per quanto riguarda le tematiche si rintracciano echi e stilemi di un canone che va dalla poetica di Dante a quella di Foscolo e Leopardi. 

cento poesie d'amore a ladyhawke

Non che Cento poesie d’amore a Ladyhawke ne fosse completamente privo. Uno dei temi che emerge dai versi rivolti a Ladyhawke coincide con uno dei tòpoi cardine della letteratura duecentesca – ovvero la consapevolezza che il sentimento amoroso passi prima di tutto attraverso occhi (“Vederti e innamorarmi/ è stato un punto solo”) – ma c’è sempre un elemento (la lingua, il contesto) che colloca tutte le poesie in una dimensione di contemporaneità, mentre Dalla cripta sembra essere legato a un’atmosfera d’altri tempi.

L’immagine della donna gentile che si nega e fugge (“Donna gentile a l’amoroso guardo/ ch’ognor beltade e più severa mostra/ i’ vo’ campar de la persona vostra/ sì come quella a la cui face m’ardo”), il poeta che sospira e che soffre d’amore fino quasi a morire (“ed ora parmi vita d’uom deliro/ e trista assai e nel tempo sì lontana/ ché volto innate omai sol voi desiro,/ di voi sol vivo, e sol per voi sospiro”), il sentimento amoroso sentito come un miracolo che distrugge e al tempo stesso porta salvezza (“e tutta ti riveli mostro duplice/ che sovra ‘l vero e l’ideal s’astalla/ per fare del mio amore il tuo miracolo”), sono solo alcuni dei concetti che compaiono nella prima sezione delle Rime amorose, e che ricordano immediatamente i testi dei poeti del Dolce Stil Novo.

Per esempio, il sonetto “cameretta, che già fosti un porto” riprende il classico topos petrarschesco della cameretta come unico luogo sicuro per l’amante ferito, che in quello spazio può sentirsi libero di sfogare le sue pene e i suoi affanni (“intima pace e solida fortezza/ rifugio di penombra e mio conforto”). Anche il senso religioso che lega l’amore alla sfera del sacro, che pure avevamo letto nella scorsa raccolta (“Ma di soltanto una parola e l’anima mia sarà salvata”), in quest’ultima assume un valore ancora più alto e significativo. 

Perché qui, il filo rosso che tiene unite le poesie, il tema che imprime ogni componimento, è rappresentato dalla morte: dalla fine della vita e, di conseguenza, della fine dell’esperienza amorosa e letteraria. Per questo il poeta è chiamato a scendere nelle profondità, per scavare nel passato e ritrovare non solo un modo d’amare, ma anche una lingua in grado di raccontare quell’amore.

Una lingua che non appartiene al tempo presente e che quindi si fa difficile e ricercata, aulica proprio come quella dei suoi predecessori. È dalla loro cripta che Mari riesuma questa poesia: attraverso un lavoro che fa della sperimentazione linguistica il centro del suo essere.

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