Dopo “Svanire”, l’autrice canadese Deborah Willis, spesso accostata ad Alice Munro, torna con una nuova raccolta di racconti in cui l’amore, anche il più puro, mostra i suoi volti disfunzionali – L’approfondimento

Le origini canadesi fanno subito immaginare Deborah Willis (nella foto di Charles Roberts, ndr) come l’erede di Alice Munro, parentela letteraria assecondata dallo stesso premio Nobel, che le riconosce una profondità e un’abilità compositiva “stupefacenti”.

Ma il talento di Deborah Willis va oltre facili e inevitabili associazioni: con la seconda raccolta Il buio e altre storie d’amore (Del Vecchio Editore, traduzione di Paola Del Zoppo, Costanza Fusini e Michela Sgammini) la scrittrice restituisce ai lettori le poliedriche facce, imperfette e faticosamente incastrate alla bell’e meglio, di un cubo di Rubik emotivo che passa di mano in mano tra generazioni, continenti, persino pianeti.

Deborah Willis

Dalle prime esperienze in un campo estivo di due ragazzine unite da un morboso attaccamento all’addestramento televisivo per una missione su Marte di una coltivatrice di erba; dalla giovane donna addomesticata da un falconiere all’ex tossico che esorcizza la solitudine della separazione dalla figlia con una cornacchia da compagnia; dal bambino turbato dal suo primo Halloween con un padre “ripulito” e improvvisamente ricomparso nella sua vita alle adolescenti che fanno irruzione in case private per sentirsi padrone del proprio destino.

Sono solo alcune delle vicende che prendono vita tra le pagine di questi tredici racconti, diversi tra loro per ambientazione e tono narrativo, che passa spesso da un humor nero disincantato all’analisi cupa e introspettiva degli episodi più drammatici. I personaggi sembrano tutti gravitare intorno al buco misterioso che si apre un giorno nel salotto di Steve&Lauren e che costringe a una vita in bilico su una voragine di nulla percepita allo stesso tempo come minaccia e salvezza.

L’amore di cui parla Willis non è solo quello delicato e inesorabile di L’ultimo ad andarsene, che si fa strada tra lutti, guerre e vite precarie per diventare il senso stesso di una vita; ma è anche quello profondissimo di un bambino per il padre (Io sono Optimus Prime) e di un padre per la figlia (Todd); o, ancora, quello dello scrittore russo autoesiliato Alexei per la nonna di cui vuole scrivere la biografia (“Un ragazzino può essere innamorato proprio delle storie di sua nonna, della nonna stessa, in quell’appartamento di Moskovskaja, ottavo piano”, Valuta di scambio).

Un caleidoscopio di sfumature che trova terreno fertile in un universo narrativo deprivato di qualsiasi limite spazio-temporale, al confine tra surrealismo e distopia. In questo scenario rarefatto, i tredici racconti ospitano un vero e proprio bestiario “aereo”: tanti sono gli uccelli che ne popolano le pagine, sia con ruoli da coprotagonisti (come in L’uccello di passo e in Todd), sia come corollario metaforico di sfondo – in Volata, titolo già allusivo, Samantha/Rachel “segnava il tempo in base a quando le cornacchie volavano sopra la città: una volta la mattina, una volta la sera”.

Sono creature cupe che nell’immaginario simboleggiano sventura e cattiva sorte ma che, provviste di ali, evocano comunque la possibilità di evasione verso luoghi altri; oscuri, forse, ma alternativi a una realtà altrettanto desolante e priva di significato. Il pipistrello con l’ala tagliata de L’arca, chiuso nello scantinato buio della chiesa sembra rispondere, con la sua esistenza prima e con la fuga poi, alla domanda che apre il racconto e che regge l’intera raccolta: “Che cos’è l’amore, gente?”.

“Tesi entrambe le mani verso di lui, sapendo che avremmo costruito la nostra arca in questo mondo. Ma lui non mi afferrò. Si spostò con calma, un gradino più su. E io persi l’equilibrio, caddi per le scale, caddi così veloce che il mio cervello non tenne il passo. Il mio cervello non tenne il passo per anni. Ancora si allungava verso di lui, ancora provava sollievo, ancora credeva a quella storia: che era amore quello, e che mi avrebbe salvato”.

È l’equivalente animale del buco nel salotto di Steve&Lauren: tre storie d’amore – e non è un caso che le due storie rappresentino la vetta più alta dell’intera raccolta, in un’escalation di intensità che le colloca proprio a chiusura:

“Alle loro spalle una bocca scura si spalancava sempre di più. Steve e Lauren si tenevano la mano sul tavolo e la mattina, una di molte mattine, infinite mattine, passò nella consueta, tenera maniera”.

Con una sapiente tecnica narrativa che si avvale di espedienti reiterati e riusciti come le sequenze di flash forward, capaci di mantenere a un livello sempre sostenuto la tensione del racconto, Willis scandaglia l’amore disfunzionale e lo fa senza filtri, se non quello apparente di un contesto a tratti onirico e surreale.

Il risultato è lo stesso di quando si vede un film crudo e morboso prima di andare a letto e ci si addormenta leggermente inquieti ma comunque forti della distanza da una realtà che non ci appartiene – così crediamo; per poi svegliarci nel cuore della notte con la sensazione di una cornacchia che becca sui nostri piedi.

Fotografia header: Deborah Willis - foto di Charles Roberts ndr

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