La nuova raccolta di Amy Hempel, “Nessuno è come qualcun altro”, uscita a più di dieci anni di distanza dall’ultimo lavoro, è accompagnata dalla malinconia per qualcosa lasciato indietro, o che forse non si ha mai conosciuto. Le protagoniste camminano insieme ai loro demoni lucide e con cupa ironia, anche quando sono al centro del pericolo, perché, come recita un proverbio arabo, quando il pericolo si avvicina gli si canta una canzone… – L’approfondimento

Una pittrice regala a un’amica un quadro dipinto da lei. Rappresenta quattro bambine senza volto, in fuga da una tormenta che si sta addensando sopra le loro teste. È Cloudland, di Gloria Vanderbilt, e dà il titolo al racconto che chiude la nuova raccolta di Amy Hempel (nella foto di Vicky Topaz, ndr), Nessuno è come qualcun altro, uscita per SEM, nella traduzione di Silvia Pareschi, a più di dieci anni di distanza dall’ultimo lavoro della “dea degli scrittori”, come la definisce Chuck Palahniuk.

amy hempel

Hempel, originaria di Chicago e residente dagli anni Settanta a New York, è stata allieva di Gordon Lish, il celebre (e discusso) editor di Carver, e i suoi racconti le sono valsi numerosi premi, come il PEN/Malamud Award. In Italia i suoi libri precedenti sono stati pubblicati l’anno scorso per SEM in unico volume, Ragioni per vivere, sempre con la traduzione di Silvia Pareschi.

Nessuno è come qualcun altro è una raccolta particolare: dei quindici racconti che la compongono alcuni sono brevissimi e uno da solo, Cloudland appunto, ne prende la metà. “Cloudland”, stando al Merriam Webster, indica la zona dove si radunano le nuvole, ma anche il “regno dell’immaginazione poetica e delle speculazioni visionarie”: qui il regno si incarna in una Florida ammuffita, soffocata dall’umidità, infestata da bestie feroci quanto pigre, dove le case marciscono intorno agli abitanti che conducono piccole semplici vite illuminate da uno scandalo ogni tanto, e dove la protagonista del racconto si è rifugiata in seguito a un provvedimento disciplinare che le ha precluso l’insegnamento a New York. Tra il lavoro come assistente sanitaria a domicilio, la cura delle piante tropicali e i programmi di cronaca nera che segue insieme ai suoi pazienti, la donna non porta dentro di sé solo il ricordo dei giorni nella Grande Mela, in compagnia di amici brillanti e viveur che non ci sono più, ma si tormenta su un passato ancora più lontano, quando, appena diciottenne, aveva partorito in una clinica privata una bambina poi data in affido. L’ispirazione viene dalla terribile storia dei Butterbox Baby, un traffico di bambini organizzato in Canada tra gli anni venti e gli anni quaranta: questa vicenda, raccontata all’autrice proprio dall’amico Palahniuk, è il secondo dono che forma questo racconto, uno dei più lunghi mai scritti da Hempel, celebre per essere capace di condensare intere vite in una sola pagina.

Una costante dei suoi racconti è che ogni frase è dove dovrebbe essere e non si potrebbe pensare altrimenti; e ogni storia di Nessuno è come qualcun altro è accompagnata dalla malinconia per qualcosa lasciato indietro, o che forse non si ha mai conosciuto. Dalle due amiche al mare, dove una di loro vive nell’attesa di un uomo sposato, alla sfortunata storia di amore di una giovane con un attore playboy, fino alla donna che parla al telefono con la moglie dell’uomo che l’ha aggredita, le protagoniste camminano insieme ai loro demoni lucide e con cupa ironia, anche quando sono al centro del pericolo: e del resto, il proverbio arabo in apertura della raccolta recita “Quando il pericolo si avvicina, cantagli una canzone”. E Hempel canta, con quella sua connaturata precisione che va a toccare l’unica e sola nota possibile per quel periodo. Canta dei rifugi per cani “con tutti i servizi” (compresa quindi l’eutanasia: l’argomento è molto vicino all’autrice, che ha fatto volontariato in strutture simili); canta delle forze maligne che abitano una coppia, che siano altre relazioni o la vecchiaia, canta della malattia.

Le sue storie sono popolate da case malfunzionanti e da amori usa-e-getta, ma non c’è spazio per crogiolarsi nell’infelicità. Ogni parola allo stesso tempo può essere una stilettata ma anche dare sollievo, come la perdita di un marito può diventare una cena infinita in compagnia delle amiche. L’ironia di Hempel emerge nelle pagine dolorose, così come la sua coscienza politica riesce a infilarsi dove meno ce la si aspetta. Un’installazione artistica e un museo dei diritti civili si ammirano con la stessa devozione “per vedere ciò che adesso è considerato normale nel momento in cui ci è esploso davanti per la prima volta”. I suoi racconti, che pur appaiono legati a eventi così singolari, non mettono in pausa il mondo reale, ma lo accolgono e lo trattano come uno degli altri personaggi: assolutamente necessario.

L’apertura della raccolta gioca sull’incomunicabilità dell’esperienza umana, perché nessuno è come qualcun altro. Le pagine a seguire smentiscono questa paura: con le parole giuste si può dire qualsiasi cosa, condividere ogni vissuto, e se c’è un terzo dono che ha contribuito non solo a questi racconti, ma a tutta la sua opera, è che Amy Hempel sa sempre quali usare.

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