Nato nel campo profughi di Jabalia, il giornalista palestinese Sami al-Ajrami, di recente costretto a lasciare la Striscia di Gaza per rifugiarsi in Egitto, a lungo ha raccontato al pubblico italiano la situazione nella Striscia. La sua è la testimonianza dall’interno del dramma vissuto dai civili palestinesi. Lo abbiamo intervistato in occasione dell’uscita del libro “Le chiavi di casa”, scritto con Anna Lombardi, in cui intreccia reportage e vita personale: “Ci sono ancora decine di giornalisti che continuano a lavorare nonostante le difficoltà e il rischio di essere presi di mira dall’esercito israeliano”. E sui bambini: “Credo che la maggior parte di loro sia traumatizzata. I più piccoli hanno perso qualsiasi sicurezza e la fiducia nella giustizia”

“Quando sono arrivato al Cairo, ho tenuto sempre sul tavolo le chiavi della mia casa di Jabalia, quelle della mia auto e quelle del mio pezzo di terra su a nord. A ricordarmi di aver perso tutto e che anch’io condivido il destino del popolo palestinese”.

Sami al-Ajrami è un giornalista palestinese nato nel campo profughi di Jabalia, a pochi chilometri da Gaza. In Italia ha iniziato la sua carriera da corrispondente nel 2004, collaborando con la Repubblica e l’ANSA. Da aprile 2024, come sanno bene le sue lettrici e i suoi lettori, è stato costretto a lasciare la Striscia di Gaza per rifugiarsi in Egitto.

Dopo l’inasprimento del conflitto nel 2023 tra Israele e Hamas, quella di al-Ajrami è stata una delle voci più preziose presenti sul territorio, capace di offrire una testimonianza dall’interno del dramma vissuto dai civili palestinesi.

Il suo punto di vista è quello di un giornalista esperto, ma anche quello di un testimone degli eventi. Al-Ajrami ha sofferto gli spostamenti imposti dall’esercito israeliano, le bombe, la fame e la morte sulla propria pelle e il suo lavoro è l’emblema della forza di un popolo che non ha voce.

Secondo l’ONU, al 13 agosto 2024, 113 giornalisti palestinesi sono stati uccisi, rendendo il conflitto a Gaza il più mortale per gli operatori dei media negli ultimi trent’anni. Gli attacchi contro la stampa, anche quando chiaramente identificati come tali, sembrano essere una strategia deliberata per limitare la copertura mediatica di quanto sta avvenendo nella Striscia.

Nel libro Le chiavi di casa (Mondadori), scritto con la giornalista di la Repubblica Anna Lombardi, al-Ajrami racconta gli eventi dal 7 ottobre, mescolando reportage giornalistico e racconto personale di una vita stravolta dall’incedere della guerra.

le chiavi di casa

Sami al-Ajrami, il libro è basato sulla sua esperienza professionale nei mesi successivi agli eventi del 7 ottobre 2023 in Palestina. Com’è cambiato il suo lavoro di giornalista da quella data?
“Dal 7 ottobre il mio lavoro è diventato più difficile a causa della mancanza di elettricità, di comunicazioni, di internet, dei trasporti e di una residenza stabile. Non potevo più scrivere articoli facilmente, né ottenere informazioni. Questo mi ha costretto a camminare per ore solo per inviare notizie. Poco dopo, noi giornalisti siamo diventati bersagli degli attacchi israeliani, e non ho più indossato il giubbotto da reporter. Ho iniziato a lavorare principalmente dagli ospedali, o sotto copertura”.

A un certo punto del conflitto, lei era una delle poche voci sul campo. Cosa l’ha spinta a continuare il suo lavoro e cosa, invece, l’ha costretta a lasciare Gaza?
“Quello che mi ha motivato a continuare è stato il sostegno delle persone italiane che leggevano i miei articoli su La Repubblica ogni giorno. Se un giorno per qualche motivo non pubblicavo un articolo, mi mandavano messaggi per sapere se stavo bene. Ero l’unica voce da Gaza che poteva offrire al mondo un’immagine completa di questa terribile guerra”.

E cosa l’ha costretta a lasciare Gaza?
“Ho preso la decisione di lasciare la Striscia quando ho visto ciò che era rimasto della città di Khan Younis dopo il ritiro dell’esercito israeliano. I corpi senza vita ancora sotto le macerie e la distruzione totale della città che amavo tanto erano insopportabili. Quel giorno ho ricevuto anche delle foto dai miei vicini che mostravano la mia casa nel Nord completamente distrutta. Era il luogo che custodiva cinquantasette anni di ricordi della mia vita. In quel momento ho deciso di andare via”.

È ancora possibile fare giornalismo in Palestina oggi?
“I giornalisti stanno ancora facendo il loro lavoro con i mezzi minimi a disposizione. La maggior parte di loro ha già lasciato la Striscia, ma ci sono ancora decine di cronisti che continuano a lavorare nonostante le difficoltà e il rischio di essere presi di mira dall’esercito israeliano”.

Cosa riescono ancora a fare?
“Intervistano persone, scattano foto, girano video e li inviano all’estero con l’aiuto di connessioni e corrente elettrica fornite dai generatori degli ospedali. Non è facile, è molto rischioso, ma è ancora possibile”.

Sami al-Ajrami

Nell’intervista per il podcast Globo del Post ha parlato di come il popolo palestinese sia stato disumanizzato agli occhi del mondo. Può spiegarci meglio cosa intende?
“I palestinesi sono stati disumanizzati da molti fattori e strumenti messi in atto dalle politiche israeliane, non solo durante la guerra, ma anche nel corso di più di 75 anni di occupazione. Si uccidono ogni giorno molte persone, trasformando i palestinesi in numeri. Ai giornalisti vengono negati gli strumenti per raccontare le storie di queste persone, e intere città meravigliose vengono distrutte, presentando Gaza come un cumulo di macerie. I palestinesi vengono mostrati mentre lottano per cibo e acqua, dipingendoli nel modo più incivile possibile”.

Come può il giornalismo restituire un senso di realtà?
“I giornalisti palestinesi, con i mezzi minimi a disposizione, stanno cercando di raccontare le storie delle persone con i loro volti, concentrandosi sulla tragedia umana. Raccontano le storie delle persone ferite, seguendo il loro percorso di vita e i sogni che avevano. Cercano di mostrare le due facce: la vita e la morte attraverso le storie di persone straordinarie, artisti e donne che affrontano questa terribile situazione con la forza di sopravvivere”.

Scopri la nostra pagina Linkedin

Seguici su Telegram
Scopri la nostra pagina LinkedIn

Notizie, approfondimenti, retroscena e anteprime sul mondo dell’editoria e della lettura: ogni giorno con ilLibraio.it

Seguici su LinkedIn Seguici su LinkedIn

Nel suo libro, tra tante storie, racconta quella di Yezim, un ragazzo di Shijaiya che ha perso tutta la sua famiglia, tranne la sorella. Yezim le ha detto che vuole diventare giornalista per raccontare le storie delle persone. Cosa succede ai bambini a Gaza?
“Credo che la maggior parte dei bambini a Gaza sia traumatizzata, hanno perso qualsiasi sicurezza e la fiducia nella giustizia. Yezim ha perso la sua famiglia e pensa che le vittime siano senza voce perché crede che nessuno sia riuscito a raccontare il tipo di dolore e frustrazione che prova in questo momento. La guerra continua, e questi piccoli hanno bisogno di un intervento d’emergenza per porre fine alle loro sofferenze e per provare a risanare le loro ferite”.

Come influirà l’attuale drammatica realtà sul futuro dei bambini palestinesi?
“La perdita delle case, che rappresentavano una fonte di sicurezza e protezione, creerà un sentimento collettivo di natura selvaggia piuttosto che di società umana civilizzata. Ora la richiesta principale a Gaza è che la comunità internazionale intervenga per fermare la guerra e far cessare l’uccisione di civili”.

Scopri le nostre Newsletter

Iscrizione alla Newsletter
Il mondo della lettura a portata di mail

Notizie, approfondimenti e curiosità su libri, autori ed editori, selezionate dalla redazione de ilLibraio.it

scegli la tua newsletter Scegli la tua newsletter gratuita

Libri consigliati