Bastano le lettere dell’alfabeto per trovare la forza necessaria ad abbattere i totalitarismi. John Freeman ci conduce in un viaggio verbale alla riscoperta dei valori fondamentali delle parole, quelle capaci di unire, di abbattere muri e di accendere la speranza. Contro il dilagare della dissoluzione, un dizionario per cambiare il futuro… – L’approfondimento

Che cosa significa amore? Che cosa decoro? E giustizia?

Una ricerca etimologica ci spingerebbe a cercare le risposte sul vocabolario; ma è una ricerca di senso, ovvero di significato contestualizzato nella realtà, quella che ha portato John Freeman alla stesura di Dizionario della Dissoluzione (BlackCoffee, traduzione di Leonardo Taiuti), il compendio necessario per trovare le parole che inneschino una rivoluzione contro i totalitarismi.

Chi conosce la scrittura di Freeman starà già assaporando un’opera che non è narrativa, ma nemmeno saggistica o autobiografica, perché l’autore originario di Cleveland è innanzitutto un’attivista o, per essere più precisi, un’attivista della parola.

Questo perché i libri di Freeman, che lo hanno portato a essere prima direttore di Granta, poi presidente del National Book Critics Circle, hanno sempre una componente di azione che sovrasta la semplice necessità di comunicare. Nella sua natura di scrittore e di editor, la parola non può che essere strumento di mobilitazione collettiva. Cosa bisogna aspettarsi, allora, da un libro che promette di essere un dizionario, ricco di definizioni stabili in grado di instaurare una comunicazione tra individui, ma che è allo stesso tempo dissolto, disfatto, in rovina?

"Dizionario della dissoluzione" di John Freeman:

Gli appassionati di filosofia ricorderanno che nel 1989 Pierre-Andrè Boutan chiese un’intervista al grande Gilles Deleuze. Non erano state fornite domande, ma solo temi generali,  sui quali il filosofo francese argomentò non senza un certo sconforto, perché “pensare a una risposta senza avere una domanda è piuttosto inconcepibile per me”. Nacque L’Abécédaire, il celebre monologo in cui a ogni lettera corrispondeva un’idea, un concetto, una parola chiave.

Freeman cede qui alla stessa tentazione infantile nello stilare il proprio abbecedario. Infantile, non a caso, perché “le domande sono l’apparato respiratorio dei bambini”, e bisogna tornare indietro per liberarsi dai pregiudizi e interrogarsi sul significato di ogni parola. Laddove Deleuze esordiva con un A come Animale, Freeman impone A come Agitare.

LEGGI ANCHE – Libri sugli Stati Uniti per capire le elezioni USA 2020

Un’agitazione che è il contraltare dell’Apatia quotidiana, il fastidio generato dall’inadeguatezza, dall’impossibilità di essere inclusi, considerati, aiutati. Un’agitazione che può essere minatoria come quella degli attentati, ma anche speranzosa come quella delle proteste di Black Lives Matter. Non si può negare che l’opera nasca in un contesto preciso, ovvero quello del mandato del presidente Donald Trump, un’epoca segnata da irrequietezza da ambo le parti, destinata a diventare un massacro se non arginata in tempo.

Bisogna dunque accettare questo stato di mancanza di quiete e procedere oltre, affrontare parola per parola, lettera per lettera. Il campo dell’Agitazione non può che essere il Corpo (Body), ma affinché la lotta di questo corpo sia legittimata e ascoltata, deve trattarsi del corpo di un Cittadino (Citizen). Proseguire lungo questa catena alfabetica significa riconoscere non solo che abbiamo dimenticato il significato originario, profondo e autentico delle parole; significa anche ricordarsi che oggi, più che mai, le idee sono una rete, e basta una falda in una di queste perché la maglia si allarghi e la dissoluzione si infiltri inesorabilmente.

Cos’è dunque questa dissoluzione? Il terrore della perdita del senso affolla gli scaffali delle librerie da almeno un secolo. Dimenticarsi che “Amare è il contrario di uccidere” e che “lo Spirito è dare” può portare sicuramente a questa perdita, ma questa afflizione può diventare ancora più grave quando sulla dissoluzione fiorisce la Tirannia. Allora il problema non è qualcosa che non c’è più: è al contrario qualcosa di molto presente e minaccioso. La tirannia è proprio ciò che divide, non solo le persone ma anche i significati: rende possibile che “giusto” significhi una cosa per alcuni, ma l’opposto per altri; che per alcuni sia decoroso l’aiuto reciproco, per altri la chiusura delle frontiere. Che il corpo di alcuni possa essere esibito, mentre quello di altri viene rinchiuso, celato, violato.

“Sarebbe possibile arrampicarsi e risalire poco alla volta dal precipizio della tirannia, basterebbe usare meglio il concetto di ‘giusto’ e non limitarsi a ostentarlo in pubblico. Perché una società funzioni in modo corretto, infatti, a stimolare il cambiamento non dovrebbero essere sempre e solo le persone più svantaggiate, quelle che più di tutti ne hanno bisogno”. Ecco che allora Valeria Luiselli, curatrice della postfazione, ci illumina sulla potenza di Freeman, ricordandoci che ha come obiettivo quello di “facilitare il pensiero collettivo” affinché il totalitarismo non ci sottragga la gioia della comunità. Affinché si smetta di credere che la lotta climatica, quella femminista, quella anti-razzista, quella per i diritti degli animali, quella body-positive, siano focolai isolati: sono la stessa guerra, perché questa avviene nel linguaggio di tutti. E affinché si inizi a pensare che un dizionario della dissoluzione possa essere, in fin dei conti, un alfabeto della speranza.

Libri consigliati