Tra femminismo, identità e discorso politico, “Ripartire dal desiderio” è il saggio di Elisa Cuter che prende in considerazione la riflessione di genere per scompaginare le carte in gioco e offrire una nuova chiave di lettura sul nostro modo vivere la società: “Il femminismo come pensiero storico per me è fondamentale”, racconta in un’intervista a ilLibraio.it, ma quello che la interessa è “la questione più profonda di come ci soggettiviamo nel nostro rapporto con l’altro”. La parola d’ordine è “desiderio” e la dialettica che questo innesca, quel “conflitto costante tra soggetto e alterità”, che non può non avere anche risvolti politici…” – L’intervista, in cui si parla anche del ruolo dei social, “casse di risonanza in cui si riceve soltanto l’eco della propria opinione”

Di femminismo, questioni e parità di genere, identità e ruolo della donna si sente parlare spesso, secondo alcuni fin troppo, secondo altri non abbastanza; certo è che, negli ultimi anni, sono diventati aspetti sempre più rilevanti del discorso pubblico, aggrovigliati l’uno sull’altro all’interno di un dibattito polarizzato. All’interno di questa matassa difficile da districare si destreggia la riflessione di Elisa Cuter, bresciana classe ’87, residente a Berlino, redattrice del Tascabile e dottoranda presso la Filmuniversität Konrad Wolf, autrice del saggio Ripartire dal desiderio (minimum fax).

elisa cuter ripartire dal desiderio

“Volevo fare ordine su alcune mie riflessioni, anche per lasciarmele alle spalle; volevo scriverle per non parlarne più, per mettere la parola fine”, racconta Elisa Cuter intervistata da ilLibraio.it a proposito del suo primo libro. Ma Ripartire dal desiderio, lungi dal porre una conclusione netta, sembra invece spalancare nuove porte e possibilità di dibattito: l’autrice, che da anni si occupa di cinema e questioni di genere, costruisce il suo discorso come una riflessione personale, sì, ma anche un’analisi teorica che scava a fondo negli studi legati al genere, al femminile, alla sessualità e al ruolo di questi nella società e nella politica.

La trattazione prende le mosse da un programma televisivo italiano degli anni novanta, andato in onda tra il 1991 e il 1995 su Canale 5 e poi su Italia 1, ideato e diretto da Gianni Boncompagni: Non è la Rai, un varietà che ha fatto la sua parte nella storia della televisione italiana, con pomeriggi di intrattenimento leggero e Ambra Angiolini, diretta da Boncompagni. La bella figura di lei e la mente scaltra di lui si mescolano in una figura ibrida e fascinosa, immagine da cui Elisa Cuter prende le mosse, osservandone quattro aspetti che costituiscono l’ossatura fondamentale del suo discorso: da un lato, Ambra Angiolini incarna la costruzione del femminile attraverso lo sguardo maschile; dall’altro, quella in atto è una forma di femminilizzazione della società, per cui Boncompagni deve celarsi dietro la bellezza di lei per essere ascoltato; così facendo, il programma rappresenta la messa a valore del soft power, il capitale erotico che guadagna terreno rispetto alle forme di potere tradizionalmente maschili; ma è anche vero che quella figura ibrida è affascinante, innesca una forma di desiderio.

In breve, sono queste le premesse di Ripartire dal desiderio, una riflessione che affonda le proprie radici nel pensiero femminista, nelle questioni di genere e nel discorso politico, facendo particolare attenzione al linguaggio relativo a questi temi e alle derive che da essi si sono sviluppate nel corso degli anni. Nel complesso, il saggio di Elisa Cuter costituisce al tempo stesso una critica e una lettera d’amore al femminismo: “Il femminismo come pensiero storico per me è fondamentale – racconta – come una cassetta degli attrezzi inestimabile in cui pescare, per leggere il mondo in cui viviamo”.

Un’osservazione che mantiene salda nel fare riferimento al femminismo storico, quello della seconda ondata, mentre allo stesso tempo, spiega, oggi comincia a “dubitare dell’uso politico che si fa del femminismo, perché mi sembra che in Occidente, almeno in apparenza, sul piano istituzionale la parità di genere è più o meno garantita, anche se le cose non sono così semplici, naturalmente”.

Non fa mistero, nel libro, delle discriminazioni e delle imposizioni sociali che ancora gravano sul ruolo della donna all’interno della famiglia e della società, eppure ritiene che per affrontarle in modo efficace sia necessario un nuovo approccio, perché “chiedersi cosa significa essere donna o uomo riguarda molto di più la sfera del desiderio, dell’intimità e della sessualità, quindi la domanda va anche affrontata con strumenti diversi, che non siano soltanto quelli dell’analisi politica o programmatica, ma che tocchino la questione più profonda di come ci soggettiviamo nel nostro rapporto con l’altro”.

L’esigenza di strumenti diversi nasce anche dalla difficoltà di trovare la propria posizione all’interno di un sistema dove qualsiasi scelta sembra essere la scelta sbagliata e, quindi, occorre una presa di responsabilità, perché “sentire la necessità di prendere le distanze da un ruolo percepito come imposto (che poi non significa che uno non possa assumerlo perché lo desidera) implica il riconoscere che sei tu a scegliere, non una cosa che devi subire in quanto donna, non un ruolo a cui devi per forza corrispondere”.

All’interno del loop di moralismi e sensi di colpa a cui sembra impossibile sfuggire (“il punto è che qualsiasi cosa fai sbagli, perché ogni scelta è sbagliata, soprattutto in termini morali e soprattutto in questo momento”), è proprio il rapporto con l’altro a rappresentare il cuore pulsante della riflessione, in opposizione alla retorica dell’identità. Attraverso episodi personali e narrazioni biografiche sulla scia del personal essay, il testo ricostruisce il potenziale emancipatorio, sociale ed eminentemente politico del desiderio: “Quella situazione in cui l’io crea una dicotomia, una dialettica, il momento in cui quella soggettività può in qualche modo esplodere, quando realizza che l’identità non ha molto senso, quello è il desiderio: quando desideriamo siamo, sì, dei soggetti, ma siamo anche costretti a confrontarci con l’oggetto del nostro desiderio. Qualcosa che porta al conflitto costante tra soggetto e alterità”.

“Dopo averlo finito, ho pensato al libro come se fosse anche una riflessione sulla comunicazione politica”, e lo è davvero: Ripartire dal desiderio è inevitabilmente politico, non soltanto perché il femminismo e le questioni di genere sono entrate prepotentemente nel dibattito pubblico ma, soprattutto, perché è impossibile parlare di meccanismi così profondamente ingranati nella società senza andare a toccare quella sfera che, per eccellenza, dovrebbe essere preposta a strutturare la vita sociale. E quella dicotomia legata al desiderio, spiega, è “una dialettica che nella storia penso si dia anche a livello di classe”.

“Il motivo per cui penso che sia più importante concentrarsi sul desiderio anche quando si tratta di politica è strategico, oltre che teorico”, racconta, rifacendosi ai movimenti del ’68, del ’77, all’antilavorismo e a tutte “quelle cose che sembriamo esserci dimenticati”: “È una cosa che oggi si tende a fare sempre di meno, mettere in discussione il sistema, perché ci si sente impotenti: in questo mondo totalmente incomprensibile il senso di impotenza è così generalizzato che ci si sforza soltanto di stare a galla, accettando che l’unico modo per riuscirci è arrivare al burnout ogni due anni”.

All’interno di questo sistema complesso, Cuter manovra abilmente il timone, facendo continui riferimenti all’immaginario pop e cinematografico, pescando a piene mani da film e canzoni che, nelle sue mani, sembrano mettere a nudo ogni più piccolo aspetto della nostra società, offrendo nuovi punti di vista e chiavi di lettura. Anche la stand up comedy e la comicità, la risata e – perché no? – l’ironia giocano la loro parte, diventando parte della carrellata di esempi e facendosi  spunto di riflessione. “Penso che sia importante alleggerire. Le dinamiche del desiderio sono molto dolorose ma al tempo stesso molto buffe, perché il desiderio è anche imbarazzante, è qualcosa di molto umano e da guardare con empatia: il senso di imbarazzo che uno prova davanti all’oggetto del desiderio è una cosa da abbracciare dal punto di vista comico, guardandosi dal di fuori, per rendersi conto che è un dramma condiviso da tutta l’umanità. È un po’ come quando vai in analisi e, nel momento in cui riesci a ridere del tuo sintomo, quello è un ottimo segno, è una presa di distanza. Un po’ come Woody Allen”.

Mentre la psicoanalisi riveste un ruolo non secondario nel saggio, Ripartire dal desiderio individua uno dei suoi principali nemici nella polarizzazione dei discorsi, responsabile di una stasi, nemica della dialettica innescata. “Mi esprimo contro la polarizzazione non perché penso che non sia necessario prendere delle posizioni, assolutamente, ma perché penso che prima di prendere delle posizioni sia necessario capire come il discorso si sviluppa”.

Laddove il discorso si è polarizzato su posizione più o meno valide, l’obiezione dell’autrice è più strategica che teorica e sostiene “come dice Zizek, che ci troviamo in una fase in cui è più importante interpretare e capire il mondo piuttosto che cambiarlo; da questa comprensione può derivare un cambiamento, naturalmente, ma contro tutte le retoriche del fare sarebbe più importante soffermarsi un attimo a capire, perché ci troviamo davanti a meccanismi che sono molto più difficili da concettualizzare”.

Spesso è proprio questa complessità a garantire una conservazione dello status quo, poiché la difficoltà d’acquisire una visione d’insieme porta a cercare un capro espiatorio su cui sfogarsi, distogliendo lo sguardo da altri aspetti, magari più rilevanti: “il senso di impotenza che proviamo nei confronti della politica, della vita e di tante altre cose fa sì che le piccole cose su cui possiamo incazzarci davvero diventino valvole di sfogo, polemichette del giorno su Facebook. Ma è un grande spreco di energia mentale e sociale”.

Uno spreco che non solo si rivela inutile nell’innescare un reale cambiamento dello stato delle cose, ma rimane anche confinato a una bolla, quella dei social, che si rivela sterile: “Più usiamo i social più ci rendiamo conto che sono solo casse di risonanza in cui si riceve soltanto l’eco della propria opinione, lo stesso feedback che noi stessi emettiamo, perché esiste un algoritmo disegnato apposta, così che noi ci passiamo più tempo e qualcuno ne tragga profitto. Il problema è sempre chi detiene il mezzo di produzione non il mezzo di produzione stesso”.

Nell’esplorare nuovi aspetti e possibilità del discorso sul genere, Ripartire dal desiderio si insinua in tutte le aree della vita sociale, dalla sfera pubblica a quella privata, passando sotto la lente di ingrandimento ipocrisie e storture che agiscono come una zavorra sul dibattitto stesso. “Affermare che forse non è produttivo abbracciare la posizione del girl power e dell’empowerment e sostenere che in realtà la femminilizzazione della società è una precarizzazione totale, questa è forse la tesi forte del libro, quella che potrebbe far storcere il naso a qualcuno”, ritiene Elisa Cuter; eppure il saggio è costellato da ‘tesi forti’ e anche coraggiose, che si inseriscono a gamba tesa in una discussione più vasta e sempre più urgente, all’interno della quale “la sessualità e il desiderio possono essere chiavi di lettura secondo me rivoluzionarie, spero che ci sia un humus culturale pronto ad accoglierla come tesi”.

Come fili intrecciati su un unico telaio, psicoanalisi, questioni di genere, femminismo, lotta di classe e discorso politico fanno parte di una riflessione di ampio respiro che non può sfociare in soluzioni semplici; d’altronde, non è questo il punto del libro. “Sicuramente vorrei far parte di un mondo in cui i miei genitali non determinano il mio ruolo in società” ma, ancora una volta, le cose non sono così semplici e Elisa Cuter solleva domande, non offre risposte: la sua riflessione instaura una dialettica teorica efficace, incalzante, e mette in evidenza i vicoli ciechi in cui il dibattito si sta arenando, sollevando una precisa obiezione di metodo e proponendo un nuovo punto di partenza, uno strumento che possa dimostrarsi valido trasversalmente in tutti gli ambiti: Ripartire dal desiderio.

Fotografia header: © Francesco Lonigro

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