Dal mondo dello spettacolo a quello della cultura, dal giornalismo allo sport, dalle famiglie con padri padroni e madri coraggio, agli uffici di qualsiasi azienda: dove nasce e come si alimenta il maschilismo quotidiano? Su ilLibraio.it un capitolo dal nuovo libro di Tiziana Ferrario, “Uomini è ora di giocare senza falli!”

A tre anni da Orgoglio e pregiudizi, Tiziana Ferrario torna in libreria con un nuovo saggio, Uomini è ora di giocare senza falli! (Chiarelettere), un pamphlet provocatorio sugli uomini, per smascherare con ironia le loro contraddizioni e i loro atteggiamenti maschilisti, sia privati sia pubblici.

Le tipologie di maschilismo, infatti, sono molteplici: c’è il maschilista inconsapevole che non si rende conto di esserlo, quello silente che preferisce cambiare discorso, l’infastidito che trova le donne esagerate nelle loro rivendicazioni e l’indifferente a cui proprio non importa nulla. La Ferrario da un lato raccoglie e racconta queste tipologie, dall’altro elabora liste e questionari per riconoscere il maschilista nei vari ambiti della società, dall’ufficio alla famiglia, dallo sport al mondo della scienza e dello spettacolo.

Il testo, fotografia della società in cui viviamo (patriarcale e maschilista in ogni suo ambito), è arricchito da lettere che l’autrice rivolge ad alcuni protagonisti del mondo dello spettacolo e dell’informazione, ma lancia anche uno sguardo al futuro grazie al contributo inedito di quelli che l’autrice chiama “uomini nuovi”, uomini che hanno girato le spalle al modello machista: Roberto Vecchioni, Riccardo Iacona, Matteo Bussola, Federico Taddia, Frans Timmermans e molti altri di cui Ferrario ha raccolto la testimonianza.

C’è infine spazio per un intervento diretto di lettori e lettrici sul libro stesso, con la possibilità di compilarlo in alcune parti con la propria esperienza, come un diario di bordo nel viaggio verso la parità di genere.

Tiziana Ferrario Uomini è ora di giocare senza falli

L’autrice, giornalista e conduttrice, è stata per molti anni il volto del TG1. Inviata di politica estera, ha documentato guerre e crisi umanitarie dagli angoli più remoti del pianeta: Afghanistan, Medio Oriente, Iraq, Uganda. È stata per anni corrispondente Rai a New York, ha seguito il passaggio dalla presidenza Obama a quella Trump. Raccontando le tensioni e le divisioni crescenti nel paese, è rimasta colpita dalla ventata di orgoglio emersa tra le donne americane, che hanno chiesto maggiori parità e difesa dei loro diritti. Ha scritto un reportage, Orgoglio e pregiudizi (Chiarelettere, 2017), in cui ha affrontato il tema della parità di genere, indicato anche dalle Nazioni unite tra gli obiettivi da raggiungere entro il 2030.

L’APPUNTAMENTO – L’autrice presenterà il suo nuovo libro sabato 3 ottobre alle ore 10 in occasione di Link – Festival del giornalismo di Trieste, presso la la Fincantieri Newsroom in Piazza Unità d’Italia

Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, proponiamo un estratto:

Maschilismo in redazione: che vergogna!

«Ma se abbiamo anche un vicedirettore donna!» Questa è la scusa più maschilista di tutte.
Michela Murgia

Potrei scrivere pagine e pagine su come si muovono i giornalisti maschilisti. Sono diventata giornalista in anni in cui le donne erano proprio poche nelle redazioni. Negli anni Ottanta bastavano le dita di una mano per contare le redattrici del Tg1, mentre i colleghi maschi erano oltre un centinaio. Vi potrei raccontare di atti di bullismo subiti, non sono mancati purtroppo, ma preferisco ricordare chi mi ha teso una mano: la gentilezza e la disponibilità di un diretto­re come Albino Longhi, di un caporedattore come Sergio Modugno o di un caposervizio come Peppino Sicari.

Gli uomini non sono tutti uguali e crescendo si impara a distinguere, a difendersi e a contrattaccare. Quando si è giovani è più difficile e se non si è abbastanza forti si possono avere delusioni cocenti. Oggi le donne sono arrivate numerose nelle redazioni, ma gli atti di bullismo non so­ no scomparsi.

Vi racconto una storia su come, anche oggi, i maschilisti entrano in azione nei giornali. In pieno #MeToo, con il caso Weinstein che occupava le pagine dei giornali sulle molestie alle attrici, con un gruppo di giornaliste abbiamo deciso di indagare la situazione nelle redazioni. Siamo riuscite a reperire dei fondi dai nostri organismi di categoria e abbiamo distribuito un questionario anonimo a tutte le giornaliste assunte regolarmente nelle varie testate e in tv con contratto a tempo indeterminato. Avremmo voluto coinvolgere anche l’immenso esercito delle freelance che sono le più esposte alle molestie, perché senza tutele, ma non ce l’abbiamo fatta. Causa mancanza di denaro necessario per testare un campione più grande, abbiamo dovuto escluderle. Con stupore ci siamo rese conto che le colleghe non rispondevano alla nostra mail. Abbiamo dovuto insistere con varie sollecitazioni e ricordare che l’indagine era in for­ma anonima, prima di riuscire a ricevere delle risposte. Non capivamo il motivo di tanta reticenza su un tema così attua­le. Era un’opportunità che non andava sprecata, eppure… Paura? Disinteresse? Rassegnazione? Non so.

Alla fine hanno risposto 1132 giornaliste di quotidiani, agenzie di stampa, radio, televisione, cioè il 42 per cento del campione. Giudicate voi i drammatici risultati emersi e finiti subito nei cestini delle cause perse delle redazioni. Solo pochi giornali, infatti, hanno pubblicato con il giusto risalto l’indagine. Qualche trafiletto, brevi servizi tv e poi il silenzio. Come mai hanno ritenuto irrilevanti i dati e hanno riempito pagine e pagine di articoli pettegolezzo sulle molestie nel cinema? Semplice. Sono dei maschilisti e da tali si sono comportati. La definirei un’«operazione di insabbiamento» condotta da alcuni capiredattori e direttori che si sono sentiti chiamati in causa.

Ecco quanto emerso dall’indagine elaborata dall’esperta di statistica sociale Linda Laura Sabbadini: «Sono risultati orientativi di una situazione e vanno presi con cautela, ma segnalano la necessità di un’attenta riflessione e un’azione seria e concertata da parte di chi è a capo dei media e degli editori».(1)

Il 35 per cento, tre giornaliste su dieci, ha subito richieste di prestazioni sessuali in cambio di assunzioni quando erano precarie o successivamente per avanzamenti di car­riera. Più di un terzo ha subito approcci fisici contro la sua volontà. Otto su dieci hanno dovuto sopportare battute pesanti, allusioni, commenti sgradevoli. L’80,7 per cento delle intervistate ha detto che la forma di molestia più diffusa è quella verbale a sfondo sessuale con sguardi inopportuni o lascivi. Ma ci sono anche le molestie molto più pesanti: il 19,3 per cento delle giornaliste ha dichiarato, infatti, di essere stata sottoposta a esplicite richieste di prestazioni sessuali mentre cercava lavoro, il 13,8 per progredire nella carriera. Ci sono anche le molestie fisiche: il 34,9 per cento delle donne nelle redazioni dichiara di essere stato abbracciato, baciato, toccato o messo alle strette contro la propria volontà. Ridotti, ma comunque presenti, anche casi di vera e propria violenza sessuale (2,9 per cento) e tentata violenza sessuale (8 per cento) o minacce di violenza sessuale (1,9 per cento) e di altri tipi di violenze (11,7 per cento). Non sono mancati casi di revenge porn: l’1,4 per cento ha denunciato la minaccia o la con­ divisione di video o immagini intime e private contro la propria volontà. I molestatori chiamati in causa erano soprattutto superiori diretti (26,9 per cento), colleghi con maggiore anzianità (16,7 per cento), direttori e vicedirettori (14,8 per cento). Quasi la metà con più di quarantasei anni. Hanno colpito nell’89,5 per cento dei casi mentre si lavorava, a volte davanti ad altri colleghi che non hanno reagito. La sensazione è che non ci sia abbastanza consapevolezza su che cosa sia un luogo di lavoro sicuro e privo di pregiudizi. La maggior parte delle giornaliste non denuncia, ma il 15 per cento che lo ha fatto si è visto costretto a cambiare posto di lavoro o rinunciare alla carriera. Una vergogna!(2)

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Come si comporta un Maschilista in redazione:

  • Fa scrivere editoriali in prima pagina soprattutto agli uomini.
  • Fa titoli offensivi sulle donne: Patata Bollente rivolto a una sindaca è un esempio su tutti.
  • Nomina solo direttori uomini.
  • Insabbia le inchieste sulle molestie sessuali nelle redazioni.
  • Affida agli uomini i pezzi più importanti e di analisi, lascia quelli di colore alle donne.
  • Chiede alle donne pezzi che parlano di donne.
  • Non usa nei suoi articoli la declinazione femminile per gli incarichi delle donne, tipo «avvocata», «ministra», «sindaca»…
  • Continua a giustificare i femminicidi come raptus di gelosia o troppo amore.
  • Definisce l’assassino di una donna «gigante buono».
  • Pubblica foto in copertina di donne seminude.
  • Promuove più volentieri i giornalisti e li paga di più.

(1) Fnsi, Indagine Cpo Fnsi: l’85% delle giornaliste ha subito molestie sessuali, 5 aprile 2019; reperibile al link: https://www.fnsi.it/indagine-cpo-fnsi-l85-delle-giornaliste-ha-subito-molestie-sessual

(2) Per ulteriori informazioni si rimanda a: Fnsi, Indagini sulle molestie sessuali nel mondo dei media (reperibile al link: https://www.fnsi.it/upload/70/70efdf2ec9b086079795c442636b55fb/888388a4bf3ad115e1a76 504fc73fd2e.pdf) e a Linda Laura Sabbadini, I primi risultati dell’indagine Fnsi sulle molestie sessuali contro le donne nel mondo dei media (reperibile al link: https://www.fnsi.it/upload/70/70efdf2ec9b086079795c442636b55fb/309ba66c49f8316b7b7b28c46957f8a9.pdf ).

(continua in libreria…)

Fotografia header: Tiziana Ferrario, foto di Mirta Lispi