“Fame d’aria” arriva dopo il successo, anche in versione serie tv, di “Tutto chiede salvezza”, e parla ancora di verità, con una spietatezza limpida e pura che scava nei sentimenti più profondi, con una sacralità terrena, laica, fatta di uomini. La lingua di Daniele Mencarelli ha un’essenzialità potente, l’incedere spezzato di una poesia…

È un angelo caduto, Jacopo: un bel ragazzo di diciotto anni, alto, che a una prima occhiata può ingannare, poi ci si accorge che dondola di continuo, che i suoi sono occhi da sonnambulo, che la mano va avanti e indietro sulla coscia, a passare e ripassare, senza sosta.

Allora gli sguardi della gente si fermano, e interrogano con curiosità e pietà.

“«Non parla, da solo non fa nulla, si piscia e caca addosso.»
La scena si svolge per arrivare a un compimento. Pietro, da grande attore, la ripete ogni volta sperando nel successo, e per lui il successo è uno solo.
Il silenzio.
Togliere al mondo la voglia di parlare, continuare a chiedere.”

Uno schiaffo, una verità così feroce che spegne i sorrisi compassionevoli, fa abbassare gli sguardi. Jacopo è un autistico a basso, bassissimo funzionamento, un busto che ciondola, un corpo vuoto, un mugugno come interazione col mondo. Senza un perché. Un bambino bellissimo, poi la diagnosi, un miracolo in cui sperare, con le terapie che costano, le strutture pubbliche che non ce la fanno, lo stato che non c’è, sono soldi, tanti, e preghiere, e affanno, insieme a una regressione continua. Fino al nulla.

Accade così, i genitori dei sani non lo sanno, non conoscono la disperazione, la rabbia, le difficoltà di un supporto che non ha tregue, non ha stacchi, di una realtà così sciagurata che spaventa tutti, e fa scappare anche gli amici. Si resta soli, disperatamente, a rimboccarsi le maniche per gestire l’oggi, a pensare con terrore al domani, a cosa succede a questo figlio disgraziato quando i genitori non ci saranno più.

Si impazzisce, si diventa cattivi.

“Il figlio malato te lo manda il destino, e io non so dove andarlo a cercare per mettergli le mani addosso, ma non è solo quello che ti consuma, ci sono tanti, tanti maiali. Gente che dovrebbe aiutarti. Ma chi ti aiuta? Nessuno. Te l’ho detto. Maiali.”

Fame d’aria (Mondadori) di Daniele Mencarelli si apre con un sole accecante, una passeggiata sulla spiaggia, la scoperta dell’amore. È il 2000 quando Pietro e Bianca sono giovani, si vedono per la prima volta, si innamorano. È il prologo di una vita che promette tutto, luce e grazia.

daniele mencarelli fame d'aria

Nel 2022, quando la macchina di Pietro si ferma, in una strada qualunque del Molise, il cielo è un tappeto grigio. Pietro ha cinquant’anni, arrivati chissà come, veloci, spietati: le stagioni sono volate via, dietro la maledizione di una fatica senza fine, il tempo passato come una fucilata.

Si ritrova con pochi euro in tasca, i soldi contati per arrivare al lunedì, allo stipendio, il figlio Jacopo aggrappato al braccio, a dover chiedere, come sempre: una frizione rattoppata per andare avanti, arrivare in Puglia dove li aspetta la famiglia, una camera senza pretese in attesa della riparazione.

Sant’Anna di Sannio è un paese di dimenticati che resistono come possono, mani che in qualche modo si tendono, animi abituati alla durezza che sono buoni dentro, e trattengono la nostalgia. Il meccanico Oliviero, Agata, occhi di carbone e una pensione che vive dei fantasmi di un tempo passato, Gaia con il sorriso che racconta un sogno nuovo, la spontaneità di una nuova bellezza.

La povertà svuota dentro, con la vergogna e l’impotenza, ti rimane attaccata addosso, una convivente che ti tortura ogni giorno, spegne ogni luce. Pietro vive nel mondo umano di Pasolini, quello che “ai poveri toglie il pane e ai poeti la pace”, dove la normalità è una lotteria, e un figlio malato con un solo reddito una maledizione.

Pietro Borzacchi è un esperto di sopravvivenza, è un povero, che riconosce di non aver potuto dare al figlio le cure migliori, e di non potergli dare certezza di un futuro: un uomo prosciugato, inaridito da una vita senza bellezza, che ha svuotato tutto, anche l’amore, lasciandogli un cuore usurato che non sente più nulla, solo una rabbia carica di sarcasmo verso il mondo, verso Dio. E una domanda continua, ossessiva, e senza risposta.

“«Perché?»
Senza più forze, a Dio che vorrebbe pugnalare al cuore.
Oppure risparmiarlo.
Solo a patto che confessi quale ragione può esistere.
Quale disegno resistere.”

È una tenebra che scende, quando si esaurisce la forza di sperare: è in quel momento immobile che subentra l’odio, verso tutti, quelli che si riempiono la bocca di compassione e consigli, e non conoscono l’inferno. Quell’odio ricopre tutto, perché sotto ormai non c’è più nulla di vivo, e arriva anche al figlio, estraneo pure a se stesso. Nessuno, nemmeno la moglie, sa che Pietro lo chiama Scrondo, come quel personaggio disgustoso della tv, il prototipo degli strani, dei mostri. Un nomignolo vergognoso, il segno di una repulsione che usa solo nella sua testa, il suo margine di ribellione quando lo azzanna la realtà, che gli si stringe addosso soffocandolo e svelando il suo segreto: che lui quel figlio disgraziato, lo Scrondo, ha smesso di amarlo.

Drogato di rabbia, incapace ormai di vedere o chiedere salvezza, Pietro è un ragazzo invecchiato precocemente, malato di disperazione sul crinale della tragedia: in una terra dimenticata come lui, abbandonata da tutti, in un paese che è un residuato di sopravvivenze, Pietro trascorre tre giorni infiniti, continuando a scivolare giù, in attesa di riprendere il suo viaggio, gli occhi asciutti che non conoscono più le lacrime.

Fame d’aria arriva dopo il successo, anche televisivo, di Tutto chiede salvezza e parla ancora di verità con una spietatezza limpida e pura che scava nei sentimenti più profondi, con una sacralità terrena, laica, fatta di uomini.

La lingua di Daniele Mencarelli ha un’essenzialità potente, l’incedere spezzato di una poesia, che arriva inattesa e che con la dolcezza prende a pugni, la sincerità che fa male leggere, ti strappa la pelle pagina dopo pagina, e parla di abbandono, di caos, di forza, e di cuore.

Mencarelli è il poeta duro del mondo, sa scrivere la vita, senza generalizzazioni, senza semplificazioni, e sa raccontare il dolore di essere umani, qui e ora, sani e malati, fratelli, chi va giù e chi nonostante tutto ha ancora la forza e l’umanità sincera di tendere la mano, e offrire una rinascita.

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