“Sempre tornare” di Daniele Mencarelli è il terzo e ultimo capitolo di una trilogia autobiografica dedicata all’educazione sentimentale di un ragazzo che attraversa l’Italia esaltato e divorato dalla sua vitalità – Su ilLibraio.it la riflessione dell’autore, legata all’importanza di viaggiare per conoscere sé stessi, e di ritornare a casa per riconnettersi poi alle proprie radici

Dopo due anni di pandemia quanta fame di viaggio abbiamo, tornare a macinare strada, a nutrirci di incontri, sconosciuti che in breve diventano amici. Arrivare a dire come il giovane protagonista di Sempre tornare: stare da soli vuol dire stare con tutti. Ho scoperto che esiste questa possibilità.

Perché stare da soli non è naturale, perché siamo fatti per vivere l’arte dell’incontro.

Un viaggio a piedi e in autostop, dalla riviera romagnola ai Castelli romani. Un viaggio lungo due settimane, la seconda quindicina di agosto, nell’estate del ’91.

È quello che succede a Daniele, personaggio e autore sono uno alter ego dell’altro, passerà pochissimo prima che si accorga di una dimenticanza imperdonabile: nel momento in cui si congeda dai due amici con cui è partito, inizialmente la sua dovrebbe essere una vacanza in compagnia, non si ricorda di riprendere soldi e documenti dal marsupio dell’unico maggiorenne del trio.

Il viaggio, dunque, parte con questo inciampo iniziale, enorme. Attraversare l’Italia senza soldi né documenti. E per mangiare? Dormire?

Lo scrittore Daniele Mencarelli

Daniele Mencarelli (foto di Guido Fuà)

Daniele è sul punto di rinunciare ancora prima di partire.

Invece, sfodera il pollice, inizia a fare l’autostop. Accetta la difficoltà e nel fare questo la trasforma da nemica ad alleata, perché il viaggio grazie a quelle privazioni diventerà ancora più grande e indimenticabile.

Per riuscirci dovrà superare la sua vergogna, apparentemente invincibile, e dovrà imparare a chiedere aiuto. Un pasto. Un letto. Richieste difficilissime da fare, tutte le volte, ma che daranno a lui e al suo cammino un’altra profondità, gli apriranno davanti agli occhi paesaggi umani che mai avrebbe potuto conoscere.

Non si viaggia mai da soli.

Ma dobbiamo essere disposti a chiedere aiuto, amicizia, ed essere pronti a ricambiare.

Sorridere per primi.

E attraverso gli altri, un poco alla volta, scoprire la nostra vera identità. Farcela rivelare dagli altri, arrivare a sentire come propria compagna d’avventura la natura stessa, il cosmo intero, sino agli animali, sino a ogni singolo albero.

Un dialogo fatto di parole e di silenzi.

Questo è la radice di ogni viaggio che sia tale.

Metterci in discussione, noi e le nostre conoscenze.

Stare da soli ci apre al mondo intero, oppure ci fa precipitare dentro noi stessi, dentro una solitudine inscalfibile.

Ma cosa fa la differenza?

La capacità di farsi plasmare dal viaggio. Cogliere negli imprevisti uno slancio più grande per proseguire.

Nella letteratura accade poi qualcosa di apparentemente incomprensibile. Da Omero in avanti, e prima di lui i testi sacri di molte religioni, è il ritorno a casa, il nòstos, a catturare l’attenzione e l’arte di tanti autori.

Sembra un controsenso. La logica vorrebbe l’esatto contrario. È l’andata, la sfida con l’ignoto, la parte più avventurosa del viaggio. Perché non scrivere di quella?

La risposta è proprio in quel dolore speciale, al punto da diventare terribile, che ci prende quando iniziamo a sentirci lontani dalla nostra radice, quando i volti e gli affetti che ci aspettano a casa iniziano a bruciarci di mancanza.

Ogni viaggio deve prevedere un ritorno, altrimenti non è viaggio, è randagismo.

Dice un Daniele estenuato dal cammino, quando la sua casa invece di avvicinarsi sembra diventare, per ironia della sorte, via via più irraggiungibile.

Sempre tornare è il terzo e ultimo capitolo di una trilogia autobiografica che ha per filo conduttore l’educazione sentimentale di un ragazzo esaltato e divorato dalla sua vitalità, incapace di sottrarsi a se stesso e agli altri.

Per dirla in parole più semplici, un viaggiatore.

Copertina del libro Sempre tornare

L’AUTORE E IL LIBRO – Daniele Mencarelli è nato a Roma nel 1974. Vive ad Ariccia. È poeta e narratore. La sua ultima raccolta poetica è Tempo circolare (poesie 2019-1997), Pequod, 2019. Del 2018 è il suo primo romanzo La casa degli sguardi, Mondadori (premio Volponi, premio Severino Cesari opera prima, premio John Fante opera prima). Tutto chiede salvezza, il suo secondo romanzo, è uscito nel 2020 e ha vinto il premio Strega Giovani.

Con Sempre tornare, il romanzo con cui torna ora in libreria sempre per Mondadori, si chiude un’ideale trilogia autobiografica iniziata con La casa degli sguardi. Si tratta di un’opera che ha dentro il sole di un’estate in cammino lungo l’Italia e l’energia impaziente dell’adolescenza, e che si apre non a caso proprio nei mesi estivi del 1991.

Daniele ha diciassette anni ed è alla sua prima vacanza da solo con gli amici. Due settimane lontano da casa, da vivere al massimo tra spiagge, discoteche, alcol e ragazze. Ma c’è qualcosa con cui non ha fatto i conti: se stesso. È sufficiente un piccolo inconveniente nella notte di Ferragosto perché Daniele decida di abbandonare il gruppo e continuare il viaggio a piedi, da solo, dalla Riviera Romagnola in direzione Roma.

Libero dalle distrazioni e dalle recite sociali, offrendosi senza difese alla bellezza della natura, che lo riempie di gioia e tormento al tempo stesso, forse riuscirà a comprendere la ragione dell’inquietudine che da sempre lo punge e lo sollecita. In compagnia di una valigia pesante come un blocco di marmo, Daniele si mette in cammino, costretto a vincere la propria timidezza per chiedere aiuto alle persone che incontra lungo il tragitto: qualcosa da mangiare, un posto in cui trascorrere la notte.

Troverà chi è logorato dalla solitudine ma ancora capace di slanci, chi si affaccia su un abisso di follia, sconfitti dalla vita, prepotenti inguaribili. E incontrerà l’amore, negli occhi azzurri di Emma. Ma soprattutto Daniele incontrerà se stesso, in un fitto dialogo silenzioso in cui interpreta e interroga senza sosta ciò che gli accade, con l’urgenza di divorare il mondo che si ha a diciassette anni, di comprendere ogni cosa e, su tutto, noi stessi: misurare le nostre forze, sapere di cosa siamo fatti, cosa può entusiasmarci e cosa spegnerci per sempre.

Questo viaggio lo battezzerà infine all’arte più grande di tutte. L’arte dell’incontro. Daniele Mencarelli ha infatti scritto un romanzo picaresco e intimo al tempo stesso, in cui “fuggire” diventa sinonimo di ritornare all’origine, per capire chi si è stati e chi si è pronti a divenire.

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